Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia ha visto nono solo una miriade di iniziative animate dalla Società civile, ma anche una ventata di aria nuova nella ricerca storica, che si è soffermata sulla dimensione locale, evidenziando come il Risorgimento sia stato un movimento diffuso in tutta Italia e non riducibile né ai grandi personaggi né ai più noti eventi bellici e cospirativi. Ne viene fuori un Risorgimento «in carne ed ossa», fatto da uomini ma anche da donne, da intellettuali ma anche da artigiani, ben consci di aspirare a recuperare il gap che, anche allora, separava l’Italia dall’Europa. Questa messe documentaria mette in discussione le vecchie interpretazioni storiografiche, specie quelle di matrice marxista, ma anche alcune delle più recenti.Quel che più colpisce è infatti la sonora smentita delle ipotesi interpretative della corrente storiografica oggi più accreditata editorialmente (da Einaudi a Laterza) ed acclamata anche all’estero –grazie alla volenterosa collaborazione i tanti nostri istituti di cultura – che ha preso le mosse dagli studi di Alberto Mario Banti. Soggiogata dalla moda delle spiegazioni mitiche e simboliche, retrodatando la psicologia delle masse di esperienza novecentesca,questa corrente non ha inteso procedere nella ricerca di nuove fonti, ma nella rilettura di quelle arcinote ed ha presentato i patrioti italiani come «marionette» intrise di egocentrismo intellettualistico. Certo, l’abnegazione personale viene loro riconosciuta, purché sia però disgiunta dalla benché minima consapevolezza etico-politica.Una conclusione, questa, che è la cartina al tornasole del più profondo, e forse non sempre volontario, esisto del post marxismo all’indomani della caduta del Muro di Berlino, che si potrebbe così sintetizzare: se le nostre idee si sono rivelate false, allora nessuna idea ha diritto di cittadinanza. Nel caso del Risorgimento, l’espunzione della politica è poi Funzionale alla sua bollatura come manifestazione nazionalistica precorritrice del fascismo, da cui prendere le distanze anche ed a maggior ragione nelle occasioni commemorative, in ossequio ai dogmi del politically correct. A nulla vale, infatti, che Mazzini abbia fondato la Giovine Europa ed abbia sempre predicato la religione dell’Umanità oppure che Garibaldi sia stato il protagonista del primo congresso mondiale per la pace a Ginevra nel 1867. Questa profonda incomprensione degli ideali patriottici è del resto comune anche ad altri indirizzi storiografici oggi in voga, che enfatizzano il «continuismo» della storia nazionale, in apparenza senza rendersi conto del salvagente assolutorio che in tal modo gettano alle classi dirigenti che hanno governato il paese negli ultimi 150 anni. Il che è grave soprattutto da parte di autori meridionali, come Pino Aprile (almeno nel suo libro-rivelazione), i quali non trovano di meglio che ripetere i luoghi comuni della propaganda reazionaria clericale e borbonica per sostenere le pur valide rivendicazioni del Sud. Insomma è evidente che se il Risorgimento è stato un’invenzione letteraria, un complotto, un «peccato originale» della storia italiana, ecco che abbiamo il «capro espiatorio» buono per tutte le stagioni. È facilmente immaginabile quale sia il naturale approdo di questa retorica antistorica. Il 2011 ci ha però mostrato come alcuni anticorpi comincino a serpeggiare nel popolo italiano, che non è refrattario alle lezioni della storia come a qualcuno farebbe comodo.Di Mario di Napoli Presidente dell'AMIapparso sul corriere della sera del 05/02/2012
Il risorgimento non fu una invenzione retorica
Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia ha visto nono solo una miriade di iniziative animate dalla Società civile, ma anche una ventata di aria nuova nella ricerca storica, che si è soffermata sulla dimensione locale, evidenziando come il Risorgimento sia stato un movimento diffuso in tutta Italia e non riducibile né ai grandi personaggi né ai più noti eventi bellici e cospirativi. Ne viene fuori un Risorgimento «in carne ed ossa», fatto da uomini ma anche da donne, da intellettuali ma anche da artigiani, ben consci di aspirare a recuperare il gap che, anche allora, separava l’Italia dall’Europa. Questa messe documentaria mette in discussione le vecchie interpretazioni storiografiche, specie quelle di matrice marxista, ma anche alcune delle più recenti.Quel che più colpisce è infatti la sonora smentita delle ipotesi interpretative della corrente storiografica oggi più accreditata editorialmente (da Einaudi a Laterza) ed acclamata anche all’estero –grazie alla volenterosa collaborazione i tanti nostri istituti di cultura – che ha preso le mosse dagli studi di Alberto Mario Banti. Soggiogata dalla moda delle spiegazioni mitiche e simboliche, retrodatando la psicologia delle masse di esperienza novecentesca,questa corrente non ha inteso procedere nella ricerca di nuove fonti, ma nella rilettura di quelle arcinote ed ha presentato i patrioti italiani come «marionette» intrise di egocentrismo intellettualistico. Certo, l’abnegazione personale viene loro riconosciuta, purché sia però disgiunta dalla benché minima consapevolezza etico-politica.Una conclusione, questa, che è la cartina al tornasole del più profondo, e forse non sempre volontario, esisto del post marxismo all’indomani della caduta del Muro di Berlino, che si potrebbe così sintetizzare: se le nostre idee si sono rivelate false, allora nessuna idea ha diritto di cittadinanza. Nel caso del Risorgimento, l’espunzione della politica è poi Funzionale alla sua bollatura come manifestazione nazionalistica precorritrice del fascismo, da cui prendere le distanze anche ed a maggior ragione nelle occasioni commemorative, in ossequio ai dogmi del politically correct. A nulla vale, infatti, che Mazzini abbia fondato la Giovine Europa ed abbia sempre predicato la religione dell’Umanità oppure che Garibaldi sia stato il protagonista del primo congresso mondiale per la pace a Ginevra nel 1867. Questa profonda incomprensione degli ideali patriottici è del resto comune anche ad altri indirizzi storiografici oggi in voga, che enfatizzano il «continuismo» della storia nazionale, in apparenza senza rendersi conto del salvagente assolutorio che in tal modo gettano alle classi dirigenti che hanno governato il paese negli ultimi 150 anni. Il che è grave soprattutto da parte di autori meridionali, come Pino Aprile (almeno nel suo libro-rivelazione), i quali non trovano di meglio che ripetere i luoghi comuni della propaganda reazionaria clericale e borbonica per sostenere le pur valide rivendicazioni del Sud. Insomma è evidente che se il Risorgimento è stato un’invenzione letteraria, un complotto, un «peccato originale» della storia italiana, ecco che abbiamo il «capro espiatorio» buono per tutte le stagioni. È facilmente immaginabile quale sia il naturale approdo di questa retorica antistorica. Il 2011 ci ha però mostrato come alcuni anticorpi comincino a serpeggiare nel popolo italiano, che non è refrattario alle lezioni della storia come a qualcuno farebbe comodo.Di Mario di Napoli Presidente dell'AMIapparso sul corriere della sera del 05/02/2012