Giuseppe Cotta

2 Giugno Abolire la festa?


 “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personalecortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa considerarecome imputato e l’essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loroconclusioni in una lunga e faticosa elaborazione.” (…)“Signori, è vero: ho il dovere innanzi alla coscienza del mio paese e per difendere la vitalitàdel mio popolo di parlare come italiano; ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anchecome democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che,armonizzando in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universalistedel cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella paceduratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete ilcompito di stabilire.”Sono le parole del primo e del terzo capoverso del discorso tenuto da Alcide De Gasperi allaconferenza di pace di Parigi del 10 agosto 1946.Basterebbero solo queste parole per sciogliere ogni dubbio sulla opportunità di mantenere la festa del 2 giugno ferma nella data a prescindere dal giorno settimanale.La Repubblica italiana era nata solo 53 giorni prima; il 18 giugno, a seguito del referendum costituzionale del 2 giugno dello stesso anno.Già una volta, con la legge 5 marzo 1977, n.54, la festa venne spostata, sempre per infime ragioni di congiuntura economica alla prima domenica di giugno. Le cause erano da ricercare in qualche rigurgito monarchico? Era un caso che si volesse tornare a prima della proclamazione della Repubblica, quando la festa nazionale italiana era la prima domenica di giugno, festa dello Statuto albertino? Solamente nel 2001 su impulso dell'allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il secondo governo Amato, con la legge n. 336 del 20 novembre 2000, riportò le celebrazioni al 2 giugno, che quindi tornò ad essere un giorno festivo e di memoria.Si di memoria! perché è alla memoria che dobbiamo far ricorso e noi, che già abbiamo appreso dalla memoria altrui, abbiamo un compito più arduo ancora: trasmettere questa memoria, ora nostra, ai figli e nipoti.Quando però la memoria di chi visse quei periodi e fu coinvolto in ciò che accadde, non vuol più raccontare o ha rimosso da tempo quelle brutte pagine occorre fare ricerca di fonti che ci dicano cosa è veramente successo e spesso si trova.Così abbiamo che in un recente saggio storico lo studioso  Carlo Spartaco Capogreco approfondisce un fatto noto ma finora poco studiato, l'esistenza cioè anche in Italia di una forma organizzata di repressione del dissenso, una macchina burocratica ben strutturata fatta di campi di internamento, di concentramento, di tribunali e fantomatici processi imbastiti ad hoc per giudicare crimini inesistenti.Quei luoghi che qualcuno ebbe lo spregio di definire centri turistici riservati temporanei.Ne I campi del duce. L'internamento civile nell'Italia fascista (1940-1943) (Torino, Einaudi, 2006, prima edizione 2004) Capogreco ricostruisce una mappatura dei luoghi che tra il 1940 e il 1943 svolsero la funzione di campi di concentramento fascisti per ebrei, stranieri, zingari, stranieri delle zone occupate, omosessuali (in questo ultimo caso la condanna al confino era giustificata dalla necessita' di arginare l'immoralita' e la devianza sessuale al fine di salvaguardare la salute pubblica). L'istituto del concentramento non fu un aspetto ascrivibile esclusivamente all'esperienza nazista anche se da questo fu soverchiato ma costituì uno degli elementi chiave attraverso cui la dittatura fascista organizzò la repressione dei dissidenti. Da questi campi molti partirono per la deportazione nei campi di sterminio tedeschi.Scopriamo cosi' che Gonars, Melada, Arbe, Ponza, Tremiti svolsero la funzione di campi di internamento. Anche se non proprio di sterminio.Studiare il Passato anche attraverso i luoghi è dunque un'operazione possibile. E spesso anche terribile se è vero che molto di quel Passato, accuratamente insabbiato all'epoca anche da buona parte della stampa connivente con la dittatura fascista, appartiene a una pagina poco gloriosa della storia italiana. .A questi fatti occorre aggiungere tutta la storia della monarchia sabauda, o almeno quella parte relativa agli ottantacinque anni che passarono dal 1861 al 1946, che quando non fu attivamente responsabile fu responsabilmente complice. Solo per considerarne alcune elenchiamo:l’allargamento del territorio già sabaudo con una finta unità nazionale, sanzionato dal fatto che il Re di Sardegna Vittorio Emanuele II non sentì il bisogno di modificare la dinastia monarchica assumendo il titolo di primo Re dell’Italia Unita, dando ragione a Alberto Mario il quale, criticando l’adesione di Garibaldi al progetto sabaudo, in quel periodo scriveva: “La monarchia, non essendo nazionale, non avendo origine, genio, interesse, storia, tradizioni nazionali, non può cessare di essere sarda o sia provinciale”. Lo dimostrerà bene negli ottant’anni successivi al 27 marzo 1961, con la terza guerra d’indipendenza del 1866 contro l’Austria e del 1870 contro lo Stato Pontificio per completare l’unità del regno.Nel 1895, con l’invasione dell’Abissinia inizia l’odissea coloniale per la conquista del termine Imperatore; nel 1911 invade la Libia; nel 1915 ancora contro L’Austria, nella prima guerra mondiale*; nel 1936, con la dittatura fascista avvallata e sostenuta dalla monarchia ormai da 15 anni, si provvede all’invasione dell’Etiopia, con le stragi  d’Eritrea, la guerra di Somalia; nel 1940, con Mussolini e Hitler entra nella seconda guerra mondiale. Sette guerre dichiarate nel giro di 80 anni e sempre dalla parte dell’aggressore. Non va dimenticato il sostegno fascista a Franco nella guerra civile di Spagna, alla quale presero parte almeno 50.000 soldati del regio esercito.I risultati di quegli atti, misti di presunzione e vigliaccheria, avranno il loro epilogo con la fine della guerra; quel 25 aprile da non dimenticare e anch’esso da festeggiare: i possedimenti coloniali furono tutti perduti; l'Albania e l'Etiopia diventarono subito indipendenti, la Libia, l'Eritrea e la Somalia incominciarono il rapido processo di emancipazione; Rodi e il Dodecaneso passarono alla Grecia. I trattati di pace di Parigi del 1946, firmati il 10 febbraio del 1947 riguardavano anche il territorio italiano:Briga e Tenda passarono alla Francia con il "rattachement", promosso dalla Francia; si disse a seguito di una mancata promessa dei Savoia fatta ai tempi della cessione di Nizza Marittima. Anche questa è una pagina di storia poco conosciuta e da 65 anni taciuta o solo sussurrata.Passarono alla Jugoslavia: Fiume, il territorio di Zara, le isole di Lagosta e Pelagosa, gran parte dell'Istria, del Carso triestino e goriziano, e l'alta valle dell'Isonzo.Si potrebbe continuare a lungo; facendo notare che i Savoia nel 1861 prendono un Regno; come ha detto ironicamente qualcuno “amorevolmente ricomposto” e consegnano indietro nel 1946 un paese devastato dalle guerre e bollato da marchi di infamia come colonialismo fascismo e leggi razziali e sottolineare che abbiamo dovuto aspettare il 1948 per trovare scritto nero su bianco frasi come “L’Italia è un Repubblica democratica” e “l’Italia ripudia la guerra”;Con il referendum del 2 giugno e l’elezione della Costituente, iniziarono i lavori dell’Assemblea per la formulazione della Costituzione che, pur essendo considerata da tutti e non solo in Italia, l’erede della Costituzione della Repubblica Romana, si macchiò dell’ indelebile articolo 7.  Questo regola i rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica, recependo i Patti Lateranensi, stipulati nel 1929 da Mussolini e Pio XI, e si sovrappone proprio a quell’art. 7 dei diritti fondamentali della Costituzione della Repubblica Romana che prevedeva: “dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici.” E dimentica del tutto l’art.8 il quale diceva: “Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale.”Sulla base di questi ricordi e la presa di coscienza che è nostro dovere trasmetterli, festeggiamo, senza enfasi ma con profonda religiosità laica, questa giornata ricordandoci  anche e sempre ciò che diceva Mazzini e che ripeto rivolgendolo anche a me stesso: Non siete colpevoli perché ignorate; siete colpevoli perché vi rassegnate a ignorare. Tratto dalle fonti:http://it.wikipedia.orghttp://www.webandcad.it/ami/index.phphttp://www.storiain.nethttp://www.edizionitrabant.it/ilrefuso   Giuseppe CottaAssociato AMI sezione di Savona