Il Cinecaffettino

Corsi e ricorsi della nostra fiction: Il commissario Corso


 Chi ha imparato nel tempo a conoscere questo piccolo spazio di cinema saprà che le tazzine che sono via via passate su questi lidi hanno sempre emanato aromi e fragranze cinematografiche (di genere). Ma saprà altresì che la fiction (o il vecchio sceneggiato che dir si voglia) non è mai stato un argomento da pretermettere. A ricordarcelo sono le parole spese qui esattamente un anno fa, per rimarcare l'influenza sull'immaginario televisivo di casa nostra di due esponenti della giustizia sul piccolo schermo: il commissario Maltese e il suo celebre omologo Montalbano (il post, per chi vuole rintracciarlo è "Maltese o Montalbano?" del 5 dicembre 2017, nds). Nel caso che esaminiamo in questa occasione il Cinecaffettino fa invece un passo indietro nel tempo, sino agli inizi degli anni novanta, andando a pescare una serie dal respiro internazionale dal titolo IL COMMISSARIO CORSO. Parliamo di internazionalità perché i primi quattro film della serie - che andarono in onda sulla seconda rete della RAI a partire dal dicembre del 1991 - furono partoriti da un progetto europeo detto Eurocops. L'idea era quella di sensibilizzare i vari Paesi ad una convergenza di risorse e tematiche al fine di creare una sorta di antitesi poliziesca all'imperante serialità americana. I dodici episodi di Corso vedono all'opera un insolito Diego Abatantuono, ben lontano dalle fatiche comiche del terrunciello e intenzionato a portare sulla scena un poliziotto integerrimo, leale ma con una fragilità che deriva da una vita familiare non particolarmente facile (è separato dalla moglie e deve accudire un bambino di undici anni). Ad aiutarlo nella quotidianità l'eccellente attrice Rosalia Maggio nel ruolo di mamma apprensiva ma molto perspicace e reattiva di fronte agli imprevisti della vita (in un caso si infiltra addirittura in una bisca clandestina per compiacere il figlio). Le vicende affondano le radici nella violenza tipica delle grandi città, mantenendo i toni tipici di una cinematografica di genere più vicina ai dettami krimi tedeschi che non a quelli più solari del Belpaese. Ed è qui che sta la sua peculiarità, la sua ragion d'essere riscoperta, trasmettendo negli occhi di chi la guarda una realtà che documenta il malessere che ancora germina ai tempi nostri. Si parla diffusamente di droga, gioco d'azzardo, tratta di prostitute, zingari, tematiche di un'attualità sconcertante, al punto da indurci a riflettere sul significato manzoniano di progresso ("non sempre ciò che vien dopo è progresso"). Molti i volti noti impiegati, da Gioia Scola a Lino Troisi, da Chiara Caselli a Claudio Bisio, da Nini Salerno a Alessandro Gassman. La regia è di Alberto Sironi per i primi quattro film (Piccoli angeli, Notte di luna, Stelle cadenti, Nel uuore della notte), di Gianni Lepre per tutti gli altri. Vale la pena gustare questi vecchi ma sempre attuali sapori... ;-)))