FRANCES HA Regia: Noah BaumbachSceneggiatura: Noah Baumbach, Greta GerwigFotografia: Sam LevyMontaggio: Jennifer LameScenografia: Sam LisencoArredamento: Hannah RothfieldInterpreti: Greta Gerwig (Frances Halladay), Mickey Sumner (Sophie Levee), Charlotte D'Amboise (Colleen), Adam Driver (Lev Shapiro), Hannah Dunne, Michael Esper (Dan), Grace Gummer (Rachel), Patrick Heusinger (Patch), Josh Hamilton (Andy), Cindy Katz (donna del Congresso), Maya Kazan (Caroline), Justine Lupe (Nessa), Britta Phillips (Nadia), Juliet Rylance (Janelle), Dean Wareham (Spencer), Michael Zegan (Benji), Christine Gerwig (sig.ra Haliday), Gordon Gerwig (sig. Haliday), Serena Longley (Abby)Produzione: Noah Baumbach, Scott Rudin, Lila Yacoub, Rodrigo Teixeira per RT Features/Pine District Pictures/Scott Rudin ProductionsDistribuzione: Whale PicturesDurata: 86'Origine: U.S.A., 2012 Frances vive a New York, ma non ha un vero e proprio appartamento. E' un'aspirante ballerina, ma non fa veramente parte della compagnia con cui danza. La sua migliore amica Sophie è per lei un'altra se stessa con capelli differenti. Ma quando Sophie conosce Patch e si trasferisce da lui, Frances deve imparare a badare a se stessa. Frances si butta a capofitto nei suoi sogni, anche se le loro possibilità di realizzarsi diminuiscono...«Scusa, non sono ancora una persona vera» si giustifica Frances/Greta Gerwig tentando di saldare un conto al ristorante con la carta prepagata. Non è una persona, ancora, Frances, e non soltanto perché a 27 anni non si è conquistata una fissa dimora, un lavoro stabile, un compagno di vita o una carta di credito. Ma anche perché Frances è un personaggio, creato a quattro mani da Baumbach e dalla compagna/musa Gerwig: non ancora una persona, più l’abbozzo di una sceneggiatura che un copione rifinito.“Frances Ha” è scandito in capitoli corrispondenti ai domicili della protagonista, che asseconda il fato e il languire delle finanze spostandosi di casa in casa nella Grande mela; ma è interamente ambientato nell’intercapedine, nel décalage incolmabile tra la vita come vorremmo che fosse e quella che realmente è. La goffaggine di Gerwig è stato esistenziale di inadeguatezza permanente, la prossemica di chi non ha alcun posto da occupare nel mondo. «Cosa fai nella vita?» «È difficile dirlo, perché... non lo faccio veramente»: la conversazione spicciola può solo far implodere il disagio di Frances, che non è malessere, ma semplice non-essere. E gli autori (difficile non attribuire all’interprete il 50% di un’opera che ha scritto, con la penna e col corpo, in ogni inquadratura) danno a quel disagio forme aggraziate e smaccatamente simboliche: il jet lag che risucchia un weekend parigino in un buco nero di noia; la sedia che straripa dal magazzino stipato; il cognome che non entra nell’etichetta del citofono.Di lei avanza sempre qualcosa, o manca un tassello: è a pezzi come l’Harry di Woody Allen, ma la New York del suo quotidiano, come la Parigi di una vacanza lampo, non si lascia realmente calpestare dai suoi piedi irrequieti. Il mondo le resta inconoscibile, inesperibile (e undateable è l’aggettivo, difficilmente traducibile, che gli amici affibbiano a Frances: ‘infrequentabile’), è solo un set posticcio in cui si muovono correnti cui lei non appartiene (il mondo viziato e hipster appena più anziano delle Girls di HBO, di cui non a caso compare qui l’ottimo Adam Driver). Contraltare meno agro del precedente “Greenberg”, “Frances Ha” scioglie, infine, la stasi della sua protagonista in un’ellissi che dai piedi immobili passa a una coreografia vincente: gli inciampi diventano passi di danza, perché a Frances piacciono «le cose che sembrano errori». E dall’adolescenza prolungata non è tassativo uscire grazie alla solidità confortante delle relazioni: Baumbach sceglie per Frances un’altra via, e confeziona, per interposta creatura, un inno in minore alla fatica gloriosa dell’atto creativo.Ilaria Feole, Film TV «I like things that look like they're mistakes». L'affermazione della protagonista è un riassunto pertinente della seconda collaborazione tra Noah Baumbach e Greta Gerwig. Il cineasta e l'attrice avevano lavorato insieme in Greenberg ma questa volta il contributo femminile è preponderante e “Frances Ha” contiene degli interessanti riferimenti autobiografici. L'eroina è una ragazza che cerca una sistemazione stabile a New York ma è costretta a cambiare continuamente abitazione: il ritorno dai familiari per le vacanze natalizie è girato nella vera casa californiana di Greta Gerwig e insieme ai suoi veri genitori. Il dettaglio è significativo perché l'attrice orbita intorno ad un movimento di autori che viene definito mumblecore e la loro idea di cinema richiede il massimo naturalismo possibile nelle situazioni e nei dialoghi. L'intervento di Noah Baumbach ha cercato di dare una struttura narrativa al film senza tradire la sua vocazione per la casualità e l'improvvisazione. Il regista ha organizzato “Frances Ha” come una storia di formazione che viene scandita dagli spostamenti della ragazza: dalla situazione ideale di Vanderbilt Avenue a Brooklyn fino a quella finale con l'arrivo definitivo a Washington Heights. Qualsiasi riferimento a New York chiama in causa Woody Allen: il bianco e nero della fotografia è un omaggio eclatante ma le influenze che determinano la messa in scena sono soprattutto europee.La protagonista corre spesso per la strada: la macchina da presa la segue con lunghe carrellate e l'accompagnamento della colonna sonora del truffautiano “Les quatre cents coups”… Greta Gerwig incarna questa positiva contraddizione tra il realismo e le tipiche deformazioni di Noah Baumbach: il suo corpo non solo ha i tratti distintivi dell'antidiva ma sfrutta efficacemente tutti gli eccessi della sua fisionomia. L'attrice è predisposta per essere la musa del cineasta e lo affranca dalle riletture culturali e vintage delle rievocazioni infantilistiche di Wes Anderson. L'incontrollabile spontaneità di Greta Gerwig è fuori posto in tutte le sequenze e i suoi comportamenti bizzarri sono un elemento imprevedibile perché rifiutano qualsiasi premeditazione: l'eroina dice quello che le passa per la testa con una disarmante ingenuità. “Frances Ha” è un film dichiaratamente irrisolto: la lotta contro gli eventi e i suoi desideri devono resistere contro le pessime coincidenze della vita quotidiana fino al punto che ogni traguardo arriva sempre attraverso la strada sbagliata. I suoi dialoghi incoerenti non hanno una precisa progressione drammatica ma trionfano per l'empatica normalità di Greta Gerwig: il suo entusiasmo malgrado tutto fa dimenticare persino l'inevitabile sfumatura sofisticata con cui Noah Baumbach sfoggia la sua estrazione culturale da new yorker.Emanuele Di Porto, Sentieri Selvaggi NOAH BAUMBACHFilmografia: Scalciando e strillando (1995), Il calamaro e la balena (2005), Il matrimonio di mia sorella (2007), Lo stravagante mondo di Greenberg (2010), Frances Ha (2012), Giovani si diventa (2014), De Palma (2015) Martedì 20 ottobre 2015:DIPLOMACY - UNA NOTTE PER SALVARE PARIGI di Volker Schlöndorff, con André Dussollier, Niels Arestrup, Burghart Klaussner, Robert Stadlober, Charlie Nelson
Cineforum 2015/2016 | 13 ottobre 2015
FRANCES HA Regia: Noah BaumbachSceneggiatura: Noah Baumbach, Greta GerwigFotografia: Sam LevyMontaggio: Jennifer LameScenografia: Sam LisencoArredamento: Hannah RothfieldInterpreti: Greta Gerwig (Frances Halladay), Mickey Sumner (Sophie Levee), Charlotte D'Amboise (Colleen), Adam Driver (Lev Shapiro), Hannah Dunne, Michael Esper (Dan), Grace Gummer (Rachel), Patrick Heusinger (Patch), Josh Hamilton (Andy), Cindy Katz (donna del Congresso), Maya Kazan (Caroline), Justine Lupe (Nessa), Britta Phillips (Nadia), Juliet Rylance (Janelle), Dean Wareham (Spencer), Michael Zegan (Benji), Christine Gerwig (sig.ra Haliday), Gordon Gerwig (sig. Haliday), Serena Longley (Abby)Produzione: Noah Baumbach, Scott Rudin, Lila Yacoub, Rodrigo Teixeira per RT Features/Pine District Pictures/Scott Rudin ProductionsDistribuzione: Whale PicturesDurata: 86'Origine: U.S.A., 2012 Frances vive a New York, ma non ha un vero e proprio appartamento. E' un'aspirante ballerina, ma non fa veramente parte della compagnia con cui danza. La sua migliore amica Sophie è per lei un'altra se stessa con capelli differenti. Ma quando Sophie conosce Patch e si trasferisce da lui, Frances deve imparare a badare a se stessa. Frances si butta a capofitto nei suoi sogni, anche se le loro possibilità di realizzarsi diminuiscono...«Scusa, non sono ancora una persona vera» si giustifica Frances/Greta Gerwig tentando di saldare un conto al ristorante con la carta prepagata. Non è una persona, ancora, Frances, e non soltanto perché a 27 anni non si è conquistata una fissa dimora, un lavoro stabile, un compagno di vita o una carta di credito. Ma anche perché Frances è un personaggio, creato a quattro mani da Baumbach e dalla compagna/musa Gerwig: non ancora una persona, più l’abbozzo di una sceneggiatura che un copione rifinito.“Frances Ha” è scandito in capitoli corrispondenti ai domicili della protagonista, che asseconda il fato e il languire delle finanze spostandosi di casa in casa nella Grande mela; ma è interamente ambientato nell’intercapedine, nel décalage incolmabile tra la vita come vorremmo che fosse e quella che realmente è. La goffaggine di Gerwig è stato esistenziale di inadeguatezza permanente, la prossemica di chi non ha alcun posto da occupare nel mondo. «Cosa fai nella vita?» «È difficile dirlo, perché... non lo faccio veramente»: la conversazione spicciola può solo far implodere il disagio di Frances, che non è malessere, ma semplice non-essere. E gli autori (difficile non attribuire all’interprete il 50% di un’opera che ha scritto, con la penna e col corpo, in ogni inquadratura) danno a quel disagio forme aggraziate e smaccatamente simboliche: il jet lag che risucchia un weekend parigino in un buco nero di noia; la sedia che straripa dal magazzino stipato; il cognome che non entra nell’etichetta del citofono.Di lei avanza sempre qualcosa, o manca un tassello: è a pezzi come l’Harry di Woody Allen, ma la New York del suo quotidiano, come la Parigi di una vacanza lampo, non si lascia realmente calpestare dai suoi piedi irrequieti. Il mondo le resta inconoscibile, inesperibile (e undateable è l’aggettivo, difficilmente traducibile, che gli amici affibbiano a Frances: ‘infrequentabile’), è solo un set posticcio in cui si muovono correnti cui lei non appartiene (il mondo viziato e hipster appena più anziano delle Girls di HBO, di cui non a caso compare qui l’ottimo Adam Driver). Contraltare meno agro del precedente “Greenberg”, “Frances Ha” scioglie, infine, la stasi della sua protagonista in un’ellissi che dai piedi immobili passa a una coreografia vincente: gli inciampi diventano passi di danza, perché a Frances piacciono «le cose che sembrano errori». E dall’adolescenza prolungata non è tassativo uscire grazie alla solidità confortante delle relazioni: Baumbach sceglie per Frances un’altra via, e confeziona, per interposta creatura, un inno in minore alla fatica gloriosa dell’atto creativo.Ilaria Feole, Film TV «I like things that look like they're mistakes». L'affermazione della protagonista è un riassunto pertinente della seconda collaborazione tra Noah Baumbach e Greta Gerwig. Il cineasta e l'attrice avevano lavorato insieme in Greenberg ma questa volta il contributo femminile è preponderante e “Frances Ha” contiene degli interessanti riferimenti autobiografici. L'eroina è una ragazza che cerca una sistemazione stabile a New York ma è costretta a cambiare continuamente abitazione: il ritorno dai familiari per le vacanze natalizie è girato nella vera casa californiana di Greta Gerwig e insieme ai suoi veri genitori. Il dettaglio è significativo perché l'attrice orbita intorno ad un movimento di autori che viene definito mumblecore e la loro idea di cinema richiede il massimo naturalismo possibile nelle situazioni e nei dialoghi. L'intervento di Noah Baumbach ha cercato di dare una struttura narrativa al film senza tradire la sua vocazione per la casualità e l'improvvisazione. Il regista ha organizzato “Frances Ha” come una storia di formazione che viene scandita dagli spostamenti della ragazza: dalla situazione ideale di Vanderbilt Avenue a Brooklyn fino a quella finale con l'arrivo definitivo a Washington Heights. Qualsiasi riferimento a New York chiama in causa Woody Allen: il bianco e nero della fotografia è un omaggio eclatante ma le influenze che determinano la messa in scena sono soprattutto europee.La protagonista corre spesso per la strada: la macchina da presa la segue con lunghe carrellate e l'accompagnamento della colonna sonora del truffautiano “Les quatre cents coups”… Greta Gerwig incarna questa positiva contraddizione tra il realismo e le tipiche deformazioni di Noah Baumbach: il suo corpo non solo ha i tratti distintivi dell'antidiva ma sfrutta efficacemente tutti gli eccessi della sua fisionomia. L'attrice è predisposta per essere la musa del cineasta e lo affranca dalle riletture culturali e vintage delle rievocazioni infantilistiche di Wes Anderson. L'incontrollabile spontaneità di Greta Gerwig è fuori posto in tutte le sequenze e i suoi comportamenti bizzarri sono un elemento imprevedibile perché rifiutano qualsiasi premeditazione: l'eroina dice quello che le passa per la testa con una disarmante ingenuità. “Frances Ha” è un film dichiaratamente irrisolto: la lotta contro gli eventi e i suoi desideri devono resistere contro le pessime coincidenze della vita quotidiana fino al punto che ogni traguardo arriva sempre attraverso la strada sbagliata. I suoi dialoghi incoerenti non hanno una precisa progressione drammatica ma trionfano per l'empatica normalità di Greta Gerwig: il suo entusiasmo malgrado tutto fa dimenticare persino l'inevitabile sfumatura sofisticata con cui Noah Baumbach sfoggia la sua estrazione culturale da new yorker.Emanuele Di Porto, Sentieri Selvaggi NOAH BAUMBACHFilmografia: Scalciando e strillando (1995), Il calamaro e la balena (2005), Il matrimonio di mia sorella (2007), Lo stravagante mondo di Greenberg (2010), Frances Ha (2012), Giovani si diventa (2014), De Palma (2015) Martedì 20 ottobre 2015:DIPLOMACY - UNA NOTTE PER SALVARE PARIGI di Volker Schlöndorff, con André Dussollier, Niels Arestrup, Burghart Klaussner, Robert Stadlober, Charlie Nelson