CINEFORUM BORGO

Cineforum 2015/2016 | 2 febbraio 2016


SI ALZA IL VENTOTitolo originale: Kaze tachinuRegia: Hayao MiyazakiSoggetto: Tatsuo Hori (romanzo)Musiche: Joe HisaishiMontaggio: Takeshi SeyamaProduzione: Toshio Suzuki, Geoffrey Wexler per Studio Ghibli/KDDI CorporationDistribuzione: Lucky RedDurata: 126'Origine: Giappone, 2013Il film è ispirato alla vita di Jiro Horikoshi, l'uomo che progettò gli aerei da combattimento giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Fin da piccolo, suggestionato dall'ingegnere aeronautico italiano Gianni Caproni, Jiro fantastica di diventare un pilota e di costruire aeroplani. Quando il suo sogno di volare è reso irrealizzabile dalla miopia, Jiro ce la mette tutta per entrare a far parte di una delle maggiori industrie meccaniche giapponesi, finché il suo genio non lo aiuta ad affermarsi come uno dei più promettenti ingegneri aeronautici al mondo. Sullo sfondo dei grandi eventi della storia giapponese del primo novecento, mentre le sue innovazioni rivoluzionano il mondo dell'aviazione, la vita di Jiro è arricchita dall'amore per Nahoko e dall'amicizia con il collega Honjo. Una storia di formazione dalle cadenze epiche, in cui l'amore, le scelte e le capacità personali si intrecciano alla necessità di dover venire a patti con un mondo che muta.Una notte di nebbia, un volo liberatorio che squarcia le nuvole scure, un sogno presto infranto da uno sguardo fuori fuoco. Bastano quattro minuti di incipit per capire quanto è grande “Si alza il vento”. Una micro lezione di cinema in cui Miyazaki, con il solo ausilio della partitura di Joe Hisaishi, introduce suggestivamente Jiro Horikoshi: un bambino che vuole a tutti i costi volare, ma che è trattenuto a terra dalla miopia e da un paio di ingombranti occhiali. A venirgli in soccorso è il suo eroe, il celeberrimo progettista aeronautico italiano Giovanni Battista Caproni, che in sogno lo sprona a intraprendere quello che in pochi sono riusciti a fare, a essere creatore e non strumento: costruire una bellissima macchina per volare.Jiro attraversa da protagonista 20 anni di storia giapponese. È l’armoniosa ed esatta pace di un uomo di talento che si dedica anima e corpo a quello che è nato per fare; ed è, al contempo, la cacofonia stridente e contraddittoria di un genio alle prese con la realtà. Che Jiro tratta come una succursale del suo mondo onirico, come un luogo in cui dare vita materiale ai sogni che lo accompagnano sin da bambino. Ma nel mondo vero c’è il terremoto del 1923 che stermina più di 100 mila persone e brucia una Tokyo di legno, uscita troppo recentemente da un’epoca antica; c’è la tubercolosi che affligge l’unico amore della sua vita; ci sono la fame e la miseria, la caccia ai dissidenti dell’impero e dell’alleato nazista. E soprattutto c’è la guerra, che con crudele ironia tutta umana trasforma il lavoro di una vita di Jiro, votato unicamente alla bellezza e all’armonia, in una macchina di morte e distruzione, il famigerato cacciabombardiere Zero. Il testamento artistico di Miyazaki, che per la sesta e (pare) ultima volta ha annunciato il suo ritiro, è la catarsi irrisolta, autobiografica e trasudante umanità di un pacifista che ammira la bellezza degli aerei da guerra, di un privilegiato che, al contrario di quasi tutti i suoi concittadini, non ha vissuto gli stenti della guerra. Ed è il culmine di una riflessione cinematografica che per la prima volta si apre alla Storia e accoglie la lezione di altri maestri, da Ozu a Kurosawa, da Mikio Naruse a Isao Takahata. “Si alza il vento” è il modo più doloroso per dire addio a un genio che sceglie la pensione; ma, come insegna il film, «dobbiamo provare a vivere».Nicola Cupperi, FilmTvI film di Miyazaki vanno guardati entrandoci dentro. Bisogna togliersi le scarpe e avventurarsi a piedi nudi nel suo mondo, fatto di nuvole, paesaggi acquarellati, personaggi dai tratti infantili, con quelle smorfie buffe e i capelli che levitano leggeri sull’onda di un’emozione. Succede anche in un film come “Si alza il vento” (“Kaze Tachinu”), che in parte lascia disorientati per chi è abituato a vedere in lui il cantore dell’immaginazione libera e della meraviglia bambina. Stavolta il maestro dell’animazione giapponese sembra troppo preoccupato di spiegare chi è il suo protagonista, Jiro Horikoshi, progettista di aerei, e la sua storia vera. Sembra totalmente preso dal compito di introdurci nel mondo ermetico dei costruttori di aeroplani (con dovizia di dettagli, disegni, dialoghi didascalici), tradendo l’idea che ci siamo fatti del suo cinema, un esercizio di magia e poesia che trasfigura il mondo, che ce lo fa vedere come appare agli occhi di un bambino (non importa se ancora piccolo o già adulto). Eppure il mondo di Miyazaki è lì, in tutta la sua bellezza sussurrata, nella sua compresenza di sogno e realtà, è il mondo là fuori che si ostina a contrapporli. Anzi, c’è un protagonista che assomiglia proprio a Miyazaki, con la sua ossessione per il volo, la passione per le macchine e la meccanica, l’ostinata volontà di trasformare i sogni in realtà (attraverso i disegni). Un gioco-sogno infantile che però si realizza in un aereo di guerra (il Mitsubishi Zero) le cui gesta sono tristemente note.C'è chi ha rimproverato al regista giapponese di aver eliminato il contesto, bypassato la storia, limitandosi a risolvere il dilemma morale (ma c’è un dilemma?) in un ‘non volevamo questo’. Ma non era quello lo scopo del racconto. Vediamo la distruzione, conosciamo l’equivoco fatale, sappiamo come la tragica realtà finisca per usare e devastare i sogni, ma in questo film-testamento Miyazaki, attraverso la storia di Horikoshi, sembra in realtà voler raccontare la fatica e la bellezza del suo lavoro, la comprensenza di tecnica e visione, il cammino tortuoso che porta un sognatore a creare qualcosa capace di volare (di esistere là fuori).“Kaze Tachinu” sta tutto nella mente del protagonista, nel suo sogno ad occhi aperti, e in quella storia d’amore melò (una ragazza incontrata durante il terremoto del 1923 e ritrovata quando era malata di tubercolosi) in cui Miyazaki dispiega il suo magnifico repertorio con la consueta commovente (libera) semplicità. Gli effetti sonori sono sostituiti dalle voci, come si fa nei giochi dei bambini. L’amore tra il progettista e la ragazza si dispiega visivamente e metaforicamente in un gioco con un aereo di carta, nelle sue traiettorie imprevedibili, in quegli slanci (del corpo, del cuore) che rischiano ogni volta di farti precipitare. Ma «quando il vento si alza, bisogna provare a vivere», correndo il rischio di sbagliare o di perdere ciò che ami di più al mondo.A volte succede con i film di Miyazaki, e in questo caso (un cartoon ‘adulto’) accade certamente: guardandolo rimani come sospeso, indeciso, poi ti cresce dentro, come se un pezzo di quel mondo (che è solo di Miyazaki, perché la sua arte non ha eguali) ti fosse rimasto addosso.Fabrizio Tassi, CineforumHAYAO MIYAZAKIFilmografia: Lupin III - Il castello di Cagliostro (1979), Nausicaä della valle del vento (1984), Laputa - Castello nel cielo (1986), Il mio vicino Totoro (1988), Kiki consegne a domicilio (1989), Porco Rosso (1992), On your mark (1995), Principessa Mononoke (1997), La città incantata (2001), Il castello errante di Howl (2004), I racconti di Terramare (2006), Ponyo sulla scogliera (2008), Si alza il vento (2013)Martedì 9 febbraio 2016:LA FAMIGLIA BÉLIER di Eric Lartigau, con Karin Viard, François Damiens, Éric Elmosnino, Louane Emera, Roxane Duran