CINEMA PARADISO

Un maledetto imbroglio (1960)


da filmtv.it[Italia 1960Drammatico, durata 110', b/n]   Regia di Pietro Germi Con Claudia CardinalePietro GermiClaudio GoraEleonora Rossi Drago 
Il commissario Ingravallo indaga su un furto, ma presto si trova alle prese con un assassinio. I due crimini sono collegati e, dotato di umanità quanto di acume, risolve il caso a modo suo. Non facile e perciò ancora più apprezzabile, robusta trasposizione di uno dei maggiori romanzi del '900 italiano,Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana, di Gadda. Al non-finale del libro Germi sostituisce una soluzione verosimile, trasformando il delirio metafisico in un semplice giallo. Ottimi i luoghi e le figure di contorno. Nel cast, la non ancora ventenne Claudia Cardinale. La canzone finale di Rustichelli, "Sinnò me moro", cantata da Alida Chelli (figlia del musicista) è un must. Incluso nelle taglist: Il commissario della squadra mobile di Roma Ciccio Ingravallo (Pietro Germi) indaga su un furto di oggetti d'arte avvenuto in casa del commendator Anzeloni (Ildebrando Santafe). Qualche giorno dopo, nello stesso palazzo ma in un diverso appartamento, viene rinvenuto il cadavere della signora Liliana Banducci (Eleonora Rossi Drago). I due fatti criminosi sono legati o forse no, certo è che al dottor Ingravallo la coincidenza appare alquanto strana. Vengono interrogati Assuntina (Claudia Cardinale), la "servetta" dei Banducci, il fidanzato Diomede (Nino Castelnuovo), un elettricista che si scopre aver fatto dei lavori in casa della vittima, il cugino di Liliana, il "dottor" Valderana (Franco Fabrizi), e il marito Remo Banducci (Claudio Gora), i quali hanno avuto entrambi una relazione con Virginia (Cristina Gaioni), l'ex cameriera di casa. Accompagnano Ingravallo nell'indagine il maresciallo Saro (Saro Urzì) e il brigadiere Oreste (Silla Bettini). "Un maledetto imbroglio" di Pietro Germi è una rivisitazione in chiave cinematografica di "Quer pasticciaccio brutto di via merulana" di Carlo Emilio Gadda, ormai considerato uno dei grandi romanzi del novecento europeo. Il film ne accentua la connotazione poliziesca (prevedendo peraltro un finale risolutivo quando nel libro questo è tenuto volutamente in sospeso per sottolineare ulteriomente il carattere transitorio di ogni indagine particolare) ma ne depura, per esigenze evidentemente cinematografiche, sia la matrice filosofica che sostanzia lo spirito del romanzo, che la complessità linguistica derivante dall'uso di diverse inflessioni dialettali e dalle licenze idiomatiche in puro stile gaddiano. Ne esce fuori un opera di una solidità invidiabile, tale che rimane a tutt'oggi uno dei migliori risultati di genere prodotti dal cinema italiano, oltre a rappresentare una sorta di apripista ideale per la stagione prossima a venire della "commedia all'italiana" per l'attegiamento oscillante tra il serio e il faceto con cui si indaga nel suo insieme composito la società italiana. A mio avviso, l'intuizione più felice avuta da Pietro Germi, quella che più di ogni altra fa aderire il film allo spirito del romanzo, è l'aver mantenuto la fondamentale connotazione antropologica dell'opera scritta, che se nel romanzo si esprime innanzitutto attraverso l'intreccio continuo di diversi idiomi (soprattutto dell'Italia centromeridionale a cominciare col molisano Ciccio Ingravallo) e nel passaggio repentino da un dialetto impuro a un italiano aulico e forbito, qui si evidenzia nella varia umanità che di volta in volta passa in rassegna davanti allo sguardo indagatore del commissario. Ognuno di loro fornisce delle notizie e fa mostra della propria personalità, cose che possono aiutare o intralciare le indagini, portarle per percorsi lontani o accorciare la strada affidandosi alle umane sensazioni di partenza. Tutto dipente dal dove si vuole puntare maggiormente l'attenzione e sul come si intende proseguire la ricerca