CINEMA PARADISO

Lo Sherlock Holmes di Miyazaki e Pagot ha 30 anni


09 maggio 2014
 Se avete visto Porco Rosso di Hayao Miyazaki, dovreste sapere che il suo protagonista si chiama Marco Pagot, come il nostrano autore d'animazione, figlio del Nino Pagot che col fratello Toni è stato uno dei padri della nostra tradizione cartoon.Ora, non è un caso se il maestro indiscusso dell'anime ha deciso per questo curioso battesimo, dato che proprio Hayao e Marco collaborarono insieme su una serie dal titolo Il fiuto di Sherlock Holmes, avviata nel 1981 ma completata e trasmessa solo a partire dal 1984.All'inizio degli anni Ottanta, Miyazaki si trovava alla Tokyo Movie Shinsha, per la quale aveva appena debuttato alla regia cinematografica con l'indimenticabile Lupin III - Il castello di Cagliostro (1979). Il progetto di Il fiuto di Sherlock Holmes nasce infatti come coproduzione tra la TMS e la RAI, un vero e proprio gemellaggio culturale in nome di un mito internazionale.I Pagot collaborano a sceneggiatura e character design, Miyazaki lavora sui primi sei episodi, ma la produzione si ferma momentaneamente per problemi con gli eredi di Conan Doyle. Riprenderà e si concluderà nel 1984, con gli ulteriori venti episodi dell'unica stagione firmati da Kyôsuke Mikuriya, un artista che aveva dato l'anima sulla seconda stagione di Lupin III (1977-1980), dirigendo poco dopo anche svariati episodi di Georgie. Avvicendamento necessario, perché Miyazaki stava per diventare... Miyazaki con Nausicaa della valle del vento.
 Tutti i protagonisti de Il fiuto di Sherlock Holmes sono cani, seguendo l'associazione subconscia dell'animale con la capacità appunto di "fiutare" una pista. Come mi è accaduto con Chobin, registro due reazioni a questo curioso esperimento.La prima è legata a una visione adulta, col senno di poi: c'è tanto del futuro (e contemporaneo) Hayao in quelle prime sei puntate. Viene spontaneo associare queste sortite di uno Sherlock Holmes canide (serio e severo ma sottomesso alle divagazioni cartoon), al tono trascinante ma all'occorrenza solenne che aveva reso così coinvolgente l'avventura di Lupinpochi anni prima.C'è la rivisitazione solo leggermente fantasiosa dell'Europa, un legame che Miyazaki ha sempre sentito con il Vecchio Continente. C'è la sua capacità di definire in un sorriso la tenerezza di un rapporto tra i personaggi: non solo Holmes e Watson, ma anche per esempio Watson e Mrs. Hudson, la governante che riesce a far battere il cuore persino a Moriarty. E c'è naturalmente il volo, con un'acrobatica sequenza che viene citata nella sigla.
Quando l'appassionato lascia il passo ai ricordi di bambino, ecco che il filtro mi setaccia sopratutto un'emozione scolpita nella memoria: l'elegantissima edizione italiana (prevedibile che i Pagot tenessero fino in fondo alla loro creatura). Elio Pandolfi e Riccardo Garroneportavano tutta la loro esperienza in teatro e nel doppiaggio, risultando subito familiari persino alle mie orecchie d'allora, che furono anche deliziate da Enzo Consoli-Lestrade: in Lupin eraZenigata, quindi mi sentivo a casa.Canticchiavo senza stancarmi la centrata sigla di Zavallone-Malavasi-Poli-Depsa, ironica, con un incipit irresistibile.Ma soprattutto... amavo e avevo allo stesso tempo paura di Moriarty per l'incredibile performance di Mauro Bosco. Perché il "profèssor" parlava con accento torinese? Filologicamente è un'idea delirante, eppure il tasso di reinvenzione della serie era tale che non mi pesava allora e non mi pesa adesso. E grazie al lavoro dei Pagot, di Miyazaki e di Bosco, il personaggio rimaneva austero e divertente allo stesso tempo.Se potete, recuperate questa serie, porca menta!