CINEMA PARADISO

Foxcatcher: il prezzo del talento da cinecittà news


Andrea Guglielmino19/05/2014
CANNES – E’ un fatto di cronaca nera a ispirare il plot diFoxcatcher, il film di Bennet Miller con Channing Tatume Mark Ruffalo nei panni di due fratelli campioni di lotta libera che si ritrovano ingaggiati da un magnate con turbe psichiche (un eccezionale e irriconoscibile Steve Carell, che siamo abituati a vedere in ruoli brillanti) che finisce per assassinarne uno dei due. Il fratello superstite, Mark Schultz, dopo aver vinto i campionati ha raccontato il tutto in una biografia che è stata la base per la sceneggiatura del film. “Abbiamo cercato di avere contatti con gli Schultz il più possibile – racconta il cast – ci è capitato di mangiare con loro e di parlare del triste destino di Dave. Mark è veramente una persona sensibile e speciale”. “Mi ha allenato – dice in particolar modo il suo interprete Tatum, calatissimo nella parte complice un trucco molto ben fatto che gli inasprisce i tratti del viso – la sua presenza sul set era una cosa polarizzante e in qualche modo mi terrorizzava”.  Il fratello ucciso è invece interpretato da Mark Ruffalo: “Per il mio omonimo Mark era terribile e io lo sentivo. Sostanzialmente, stava rivivendo il momento più brutto della sua vita. E’ diventato una sorta di consigliere anche per me e ho stretto molta amicizia anche con la vedova di Dave e con i bambini. Lei è una donna straordinaria”. Più difficile il ruolo di Carell con inediti toni drammatici. John du Pont non è solo il magnate dietro all’omonima azienda chimica, ma soprattutto un uomo insoddisfatto e con un rapporto conflittuale con la madre (Vanessa Redgrave). Il suo sogno è entrare nel mondo della lotta libera e i suoi soldi glie lo permettono,  anche se non ha il minimo talento. Prima finanzia la migliore squadra americana, infine addirittura la allena. “Il processo non è diverso da quello di una commedia – spiega – l’attore non si pone il problema di essere in un dramma o in una commedia. Approccia un personaggio e ne racconta la storia, semplicemente. Non ho potuto incontrare il vero du Pont, che è morto in carcere nel 2010. Ho letto il più possibile su di lui e mi sono documentato, grazie soprattutto a dei video documentari che aveva commissionato per sé e per la sua famiglia. Non capiremo mai quali demoni si portasse davvero dentro ma abbiamo cercato di renderli al meglio”. “E’ chiaramente una storia assurda e con un finale tragico – dice il regista Miller – ma iò che mi ha colpito è che ha temi universali, che riguardano il mondo dove viviamo e il nostro paese. Non è un film politico ma parla di declino. E’ come se avessimo filtrato il mondo attraverso un microscopio”.  “Si tratta fondamentalmente di capire – conclude Ruffalo – cosa accade a persone semplici e talentuose che si trovano però catapultate in un sistema dove ogni cosa, compreso il talento, ha un prezzo. Non possono dedicarsi alla loro passione senza essere comprati. Questo è il prezzo della modernità”.