CINEMA PARADISO

Pazze di me


Andrea vorrebbe disperatamente un lavoro fisso e una compagna per la vita. Figlio maschio in una famiglia di femmine (il padre è scappato venticinque anni prima) è vessato da una madre generale, tre sorelle fastidiose, una nonna farneticante, una badante svogliata e una cagnetta imbronciata. Bambino trascurato, è cresciuto col complesso di inferiorità e l’annichilimento della volontà. Innamoratosi di Giulia, decide di ometterle l’ingombrante famiglia, fingendosi orfano felice. Ma la verità molto presto investe il suo sogno d’amore con la forza di un maremoto e di sette Erinni, decise anche questa volta, e loro malgrado, a comprometterne progetti e sanità mentale. Ostinato nel suo amore, Andrea trova in se stesso la forza di dire no e di costruirsi un futuro a trecentocinquantaquattro metri dall’appartamento materno. L’amore vero lo stanerà al supermercato, tra il reparto della frutta e quello della verdura.Se provassimo ad affrontare il nuovo film di Fausto Brizzi da un punto di vista squisitamente morale, facendone insomma una questione di libertà e non di qualità cinematografica, diremmo che ognuno ha il diritto di scrivere e di girare quello che vuole, che tutti i gusti sono naturalmente degni. Nondimeno resta che vi siano film buoni e film meno buoni. Pazze di me appartiene alla seconda categoria e possiamo portare le prove. La nuova commedia di Fausto Brizzi, scritta a sei mani con l’inseparabile Marco Martani e Federica Bosco, che poi ne ha tratto ispirazione per un romanzo, è cinema industriale, quel cinema che si limita a (ri)produrre all’infinito gli stessi racconti, che fabbrica stereotipi, fa commercio di buoni sentimenti, si serve di pretesti offerti dall’attualità per realizzare film di circostanza, studia a tavolino il mercato, individua una certa categoria di spettatore. Il soggetto poi è sempre il conflitto tra i sessi ripescato, rievocato ed enfatizzato fino a comporre una morale della favola che ‘castra’ il maschio di casa e suggerisce un modello femminile acido e ipernevrotico, molto di moda nelle serie televisive, condito di volgarità e di cattiveria. Cavalcando l’immaginario ormai collaudato di maschi contro femmine e femmine contro maschi, risultato di una riproduzione di formule prestabilite non certo di una creazione, Fausto Brizzi confeziona un’allucinazione mediale che non ha riscontro nella realtà ma è solo una proiezione del desiderio di chi l’ha generata. Pazze di me, sprecando letteralmente un cast di signore (del teatro e del cinema), è una commedia di semplificazione (e di menzogna) del mondo femminile, inaccessibile e lontano, di cui non dice la verità e la complessità. Insomma un film ‘usa e getta’ con finale accomodante che ‘accomoda’ le donne e generalizza grossolanamente gli uomini, sempre narcisisti, infedeli o insicuri. Talmente conciliante da far tornare nei titoli di coda il ‘cattivo padre’ di cui Andrea è il simbolico residuo aggiusta tutto, sorelle comprese. Pazze di me inquina il valore della faticosa indipendenza della donna e della sua realizzazione sociale. Brizzi perde l’ennesima occasione di fare un buon film. Appunto.