CINEMA PARADISO

CIAO FRANCESCO!!!


Oggi che triste notizia. Se ne è andato un assoluto maestro del cinema italiano e mondiale. Prima di Oliver Stone e di qualsiasi altro grande autore del cinema d'inchiesta e "impegnato" c'è stato lui, colui che da tutti viene riconosciuto come l'inventore di questo genere: Francesco Rosi. I suoi film rimarranno nella storia del cinema: La sfida, I magliari, Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Uomini Contro, Il caso Mattei, Lucky Luciano, Cadaveri eccellenti, Cristo si è fermato a Eboli, Tre fratelli, Cronaca di una morte annunciata, Dimenticare Palermo, La tregua. Tutti capolavori. Facendo propria la lezione di Luchino Visconti, di cui era stato aiuto regista nella realizzazione di un'opera fondamentale del cinema italiano come La terra trema, Rosi ha sempre saputo evitare la tendenza al bozzetto e la suggestione del dialetto che, negli anni del suo esordio, spingevano il Neorealismo ad acquisire altre connotazioni sino ad arrivare agli esiti del cosiddetto Neorealismo rosa, ma al tempo stesso non si è mai lasciato affascinare da giochi narrativi troppo sofisticati.  Il silenzio per anni è stato posto su di lui, perchè come naturale dava fastidio, come Elio Petri e come Gian Maria Volontè, suo attore preferito. Un grande autore come Giuseppe Tornatore permise di togliere questo velo vergognoso, con un libro intervista che invito tutti gli amanti del cinema a leggere: Io lo chiamo cinematografo. Per capire la grandezza di Rosi basterebbe citare Le mani sulla città, dove denunciò le collusioni esistenti tra i diversi organi dello Stato e lo sfruttamento edilizio a Napoli; o ancora Salvatore Giuliano, dove anticipa le risposte ai misteri della morte del bandito Giuliano e alla strage di Portella della Ginestra. Basti pensare che non c'è nessuna immagine di quella strage, ma solamente le immagini del film di Rosi. Infine Il caso Mattei, che inaugura il filone con Volontè. Film in cui Rosi 30 anni prima da una risposta al mistero della morte dell'ingegnere. Tornatore lo incitava a tornare sul set e Rosi non rispondeva «sono stanco» ma «il mestiere del regista richiede grande energia fisica e non so se l'avrei più. So invece che in quest'Italia è difficile fare cinema e che la realtà si degrada così in fretta che il suo passo è troppo più frettoloso di quello del cinema. Rischierei di raccontare un paese che già non c'è più». E riguardandosi indietro aggiungeva: «Il cinema, allora, era una grande famiglia, è vero. C'era un rapporto di comprensione, anche di affetto. Poi ci sentivamo tutti parte di una grande avventura, far rivivere sullo schermo la vita.» In quello stesso 2012 Francesco Rosi era sul palcoscenico della Mostra di Venezia per ricevere il Leone d'oro alla carriera. Un premio in più in una carriera che già gli aveva regalato il Leone d'oro per Le mani sulla città, la Palma di Cannes per Il caso Mattei, la Legion d'onore, i tributi alla carriera di Locarno e Berlino, per non parlare di Grolle, David, Nastri, caduti a pioggia su ogni titolo della sua formidabile filmografia. Anche in occasione dell'ultimo premio veneziano la sua lezione è venuta forte e decisa: «Fare cinema - ha detto - significa contrarre un impegno morale con la propria coscienza e con lo spettatore. Gli si deve l'onestà di una ricerca della verità senza compromessi. Un assoluto maestro che ci mancherà, ma che lascerà a memoria e ricordo di sè i suoi capolavori. Sta a noi non dimenticarlo, facendolo conoscere, perchè autori come Rosi o come Petri non possono essere dimenticati