CINEMA PARADISO

Johnny Depp: con la mia parte malvagia siamo vecchi amici


Andrea Guglielmino04/09/2015
Johnny Depp, dopo l’apertura con Jake Gyllenhaal e Jason Clarke, è decisamente la star più attesa della Mostra con Black MassIl divo americano è protagonista con Benedict Cumberbatch e Joel Edgerton di Black Mass, un gangster movie alla Scorsese, in cui indossa pancia e capelli finti e compie orrendi misfatti. Si tratta di una storia vera. Quella di James “Whitey” Bulger, criminale irlandese cresciuto a Boston, capobranco malavitoso negli anni ’70 e ’80, fratello di un senatore, amico intimo di un agente dell’FBI che lo convinse a diventare un informatore per garantirgli l’immunità e far fuori la concorrenza della mafia italiana. Capelli radi e bianchi, pancia prominente, reduce da Alcatraz, con traffici fino a Miami, droga, prostituzione, gioco d’azzardo, perfino lotterie truccate, almeno 19 omicidi sulla coscienza una tragedia in famiglia che acuisce la sua aggressività trasformandolo definitivamente in una bestia assassina. Un Depp intenso che ha di nuovo l’occasione di far ricorso alle sue doti di trasformista, in un thriller asciutto e stilisticamente impeccabile grazie alla mano ferma di Scott Cooper (Out of the furnace – Il fuoco della vendetta). Ha dovuto far ricorso nuovamente al suo lato oscuro, dopo aver interpretato John Dillinger inNemico Pubblico ? Oh, io e la mia parte malvagia siamo vecchi amici. L’ho incontrata molti anni fa. Ma nel lavorare su Bulger ho pensato fosse corretto affrontarlo semplicemente come se si trattasse di un essere umano. Nessuno si sveglia la mattina, si lava i denti, si fa la barba e pensa: ‘Quanto sono malvagio. Oggi farò qualcosa di cattivo’. Siamo nel contesto del suo business: lui è un uomo d’affari che pensa di fare la cosa giusta, e parla il linguaggio che parlano i suoi colleghi. Magari a volte capisce di muoversi goffamente, ma crede di fare del bene. C’è qualcosa di poetico nel personaggio, e anche nella sua storia. Viene da una generazione di migranti irlandesi che erano ancorati ai vecchi valori, avevano un buon rapporto con la famiglia e il vicinato. Magari aiutava la vecchietta a portare la busta della spesa e dieci minuti dopo ammazzava brutalmente una persona. Il personaggio è interessante proprio perché ti permette di andare prima a venti, poi a novanta, poi tornare indietro e poi di nuovo a centoventi. E’ un continuo cambio di registro. E’ una sfida. Non posso dire che sia sempre stato facile o soddisfacente. La soddisfazione non è una buona cosa perché bisogna sempre tornare sul punto e sbatterci la testa. Cosa ne pensa dell’accoglienza così calorosa che le regalano i fan? Sono qui da stanotte solo per dirmi ‘ciao’, per darmi il benvenuto o per supportare il film. Io non li chiamo fan. Per me non funziona così. Quelle persone sono il mio Capo, che mettono i soldi per guardare i miei film, e io sono il loro impiegato. Questo desiderio così caloroso di condivisione è sempre commovente, non posso che ringraziarli. Recita veramente in ogni genere di film. Preferisce ruoli come questo, ispirati a personaggi reali, o magari fantasy come in Pirati dei Caraibi? Non è la prima volta che mi capita di entrare nei panni di un personaggio realmente esistito. E’ molto responsabilizzante, non puoi semplicemente decidere se è buono o cattivo, devi cercare di essere veritiero. Nel caso di Dillinger l’ho pensato come una specie di Robin Hood. Chi lo conosceva di persona diceva che era una persona dolce e molto divertente. Per Bulger è stato più difficile, ci sono meno filmati, se non qualcosa di sorveglianza, che viene dall’FBI, e qualche registrazione. Ho cercato di trattare le sue diverse facce: da un lato l’uomo d’affari, come abbiamo detto, dall’altro anche il padre di famiglia, amorevole e devoto alla moglie, al figlio, ma anche alla sua famiglia d’origine, mamma e fratello. Ci sono dei momenti molto brutti nel suo percorso ma è responsabilità d’attore fargli giustizia. Mi ha aiutato moltissimo la sceneggiatura, e naturalmente anche le indicazioni del regista. Ancora una volta si trasforma completamente, anche da un punto di vista fisico, per entrare nel personaggio. E’ un modo di tenere un basso profilo? Forse. Io all’inizio nemmeno volevo fare l’attore. Non è per sputare nel piatto dove mangio, ci mancherebbe. Ma ero un musicista e speravo che la mia strada sarebbe stata quella. Comunque, una volta entrato nel giro sono stato subito intrappolato in una serie tv, e mi creda, per me era frustrante. Dover dire le parole di un altro, scritte da qualcun altro, per giunta male, spesso e volentieri. I miei eroi del cinema erano tutti trasformisti: John Barrymore, Lon Chaney Senior, Marlon Brando, John Garfield. Per me è diventata presto un’ossessione. Ho sempre preferito essere un caratterista piuttosto che un ragazzino da copertina, che era quello che cercavano di fare di me all’inizio. Ma è stato più di vent’anni fa. Come dicevo prima, un vero attore ha un grado elevato di responsabilità per il pubblico, deve provare a rinnovarsi senza annoiare. E non c’è niente di più noioso che interpretare sempre sé stessi. Cambiare ruolo è meno sicuro ma più stimolante. Preferisco rischiare, magari fare la figura del cretino, ma provare a reinventarmi sempre. Ha deciso lei il look da adottare nel film? Ne ho parlato con il regista e abbiamo pensato che sarebbe stato molto importante riprodurre i tratti di Bulger fedelmente, soprattutto gli occhi blu. Io li ho neri, ma era assolutamente necessario che perforassero lo sguardo delle persone. Ha già portato i suoi cani a fare un giro in gondola? Li ho uccisi e li ho mangiati, su ordine diretto di un ciccione australiano.