CINEMA PARADISO

Laurie Anderson: il mio haiku sulla morte


Andrea Guglielmino09/09/2015
E' senza dubbio una delle principali animatrici della scena d'avanguardia newyorchese.I suoi lavori spaziano dalla musica alle performance multimediali passando per il teatro, le installazioni museali e la spoken poetry. Non è nuova dunque al racconto per immagini, a cui torna con poetica potenza in Heart of a dog, in concorso a Venezia 72. Il film, una serie di sequenze di varia origine (da immagini di taglio documentaristico a vecchi filmini familiari in super 8 e perfino una breve sequenza di rudimentale animazione) con sopra la voce narrante dell’autrice, parte da esperienze personali: la morte, a breve periodo di distanza, di sua madre e della sua cagnolina Lolabelle, che lei amava come una figlia. Di qui parte una parabola che affronta con filosofia temi fondamentali dell’esistenza, amore e morte, linguaggio e politica, con un risultato sorprendentemente coeso e affascinante. Partiamo dalla musica, come ha scelto il commento musicale del film? Beh, inizialmente mi concentravo solo sulle immagini, ma poi mi sono detta, dopotutto sono una musicista. Per cui osservando il film sul mio computer ho iniziato a comporre col violino delle parti orchestrali, in totale libertà, senza beat di accompagnamento. Poi ci sono delle canzoni, che parlano d’amore, creando un’atmosfera nostalgica e fluida. In fondo si tratta di quello che cerco di esprimere nella pellicola. Come nasce l’idea di fare un film? La proposta è arrivata da Artè. Mi hanno chiesto di fare un film come se fosse un saggio personale e proprio da quello sono partita, da storie che mi erano capitate. E’ stato un processo entusiasmante, perché alla fine non è una cosa che parla di me ma di come si raccontano storie. Sono usciti dei simboli forti, il dualismo, la divisione tra i mondi, come se tutto fosse visto da un vetro o da una lastra di ghiaccio. Come un mondo dopo la morte. Ho cercato attorno a me delle immagini che evocassero l’arte bizantina, con l’oro e la luce tipica del periodo. E’ il mondo dopo la morte. In una parte della pellicola parla del fenomeno misterioso della ‘morte in culla’, attribuendola a dei sogni della fase pre-natale...Ho trovato questa teoria per caso, facendo ricerca sui sogni. E’ incredibile quanto poco sia affrontato il tema del sognare, che è quello che facciamo per la maggior parte del tempo. Ci sono varie teorie, mi affascina l’idea che il sogno possa essere come uno screen saver, che avviene per evitare che il cervello si fermi. In questo caso il tutto era legato anche al tema della memoria quindi si legava perfettamente con il mio percorso. Che metodo ha usato per costruirlo? Si chiama NSA, è un modo per raccogliere dati e trasformarli in storie. Il principio è quello che utilizzano gli store online come Amazon. Compri un libro e il sistema sa già cos’altro ti potrebbe piacere, e quali altri acquisti consigliarti. Ho cercato di capire come le persone si guardano intorno e come guardavano me. E sua madre? Ho inserito nel film il discorso che ha fatto sul letto di morte...Era una persona molto formale e dunque mentre il suo cervello andava spegnendosi ringraziava tutti. Era come se volesse dire, davanti a un microfono: “grazie per aver partecipato a questa serata”. Poi ha iniziato a parlare di animali che vedeva radunati sul soffitto, e iniziava a parlare loro, con grande tenerezza. Dopodiché tornava in sé e continuava il suo discorso. Questa cosa mi ha colpita perché era proprio come vedere il suo linguaggio sgretolarsi pian piano, ed è stato molto forte anche perché lei è la persona che ha insegnato il linguaggio a me. E lo vedevo man mano andare in pezzi. Ha usato anche delle immagini in super 8… Mi ha incoraggiata il produttore. Le ho trovate e ho chiesto ai miei fratelli se potevo usarle. Inizialmente erano perplessi ma comunque mi hanno dato il permesso, mi hanno detto che non ne sarebbero stati infastiditi. C’era questo lago ghiacciato vicino casa nostra dove andavamo a pattinare e un giorno vi siamo sprofondati dentro. Nel film ci sono molti elementi di questo tipo. Fa molto riferimento anche alla filosofia, a Wittgenstein, a Kierkegaard… Wittgenstein l’ho studiato a scuola, più come artista che come filosofo, con le teorie sulla sensualità dell’arte e sull’inadeguatezza del linguaggio a esprimerla. Alle volte per esprimere il concetto di libertà è meglio dipingere una tela blu enorme piuttosto che fare mille discorsi. Il filosofo più importante però è stato il mio maestro Zen, mi ha insegnato la differenza tra ‘sentirsi tristi’ ed ‘essere tristi’ e l’importanza dell’amore. Tutto gira attorno all’amore, anche il suicidio. Può essere un gesto di ricerca d’amore e libertà. E’ un filosofo hardcore. Parla anche dell’11 settembre e delle sue conseguenze… Soprattutto di come si sia venuta a creare una società basata sulla sorveglianza continua, che ha reso la paura sfocata, non so dire molto altro su questo argomento. Nel film non c’è un eroe di cui sposare il punto di vista, per questo è impegnativo. Vediamo con gli occhi del narratore o con quelli di un cane, ma il punto di vista principale è il vostro. Non c’è un significato particolare dietro, ho affrontato la pellicola come se fosse un Haiku, badando solo a mantenere l’intensità di quello che raccontavo. E’ come se fosse un radiodramma. I personaggi non li vedete, vi vengono solo descritti. Nel film compare anche il suo compagno Lou Reed, scomparso nel 2013...Sì, recita la parte di un dottore, è stato divertente avere a disposizione un’ala di ospedale e fingerci medici senza sapere nulla di medicina. Lo spirito di Lou è molto presente nel film, volevo fare qualcosa che fosse un omaggio ma anche rispecchiasse una parte della sua personalità perché volevo riflettere sulla sua energia.Come si affronta il tema della morte negli USA? E’ un tabù enorme. Escono centinaia di film pieni di morti ma nessuno parla veramente del processo del morire, tendono a tenerlo molto controllato. L’idea è che mentre si muore si debba sentire il meno possibile, essere meno coscienti possibile. Nel film parlo del mio veterinario che voleva sopprimere il mio cane, spiegandomi che era per non farlo soffrire, ma per me questo approccio è aberrante. Mi sono affidata invece spesso al ‘Libro Tibetano dei morti’, una lettura per me fondamentale. La pellicola è piena di simbolismi che rimandano alla dualità... E’ una metafora di sdoppiamento, apparenza e significato. E il mondo dall’altra parte, come dicevamo prima. Non volevo inserirla nel film ma ci è arrivata. L’idea occidentale della bellezza implica che le cose si somiglino. Non so bene perché ma mi sono ritrovata alla NASA a parlare di questa cosa con degli scienziati e ho capito che noi artisti e loro non siamo così diversi. Entrambi facciamo una cosa e poi ci diciamo: cos’è, esattamente?