CINEMA PARADISO

99 homes


Dennis Nash, sua madre e suo figlio vengono buttati fuori dalla casa in cui hanno sempre vissuto nel giro di pochi minuti, il tempo di raccogliere due cose, le foto ricordo, i giochi del bambino, una piantina in vaso. L'agente immobiliare Rick Carver non ha tempo da perdere e si fa accompagnare dalla polizia. Dopo Nash, tocca a molte altre case, famiglie da spedire in qualche motel, anziani da parcheggiare alla croce rossa: tutta gente che non ce la più a pagare il mutuo, tutte case che fruttano a Carver un sacco di soldi. Ma Nash non si vuole arrendere, è deciso a ridare al figlio la sua stanza, dovesse vendere l'anima al diavolo. Ed è così che comincia a lavorare per Carver stesso, dentro e fuori la legalità, infliggendo ad altri come lui le sofferenze che ha appena subito, perché "l'America è stata costruita per i vincenti" e non sarà lui il perdente di turno. "A che prezzo?", domandava Barahni nel suo ultimo film, e la domanda ritorna, ancora calata in un'attualità drammatica e in un'età della crisi di cui il regista si è eletto narratore lucido ma anche simpatetico. Trasportatosi dall'America rurale del businnes delle sementi geneticamente modificate a quella urbana e residenziale di Orlando, Florida, Bahrani riposiziona gli stessi elementi sulla nuova scacchiera senza far pesare la ripetizione, ma declinandola in fruttuosa coerenza di temi e di stile. Andrew Garfield è il protagonista in lotta con se stesso e col destino, emblema del giovane uomo per bene, che una volta si sarebbe detto timorato di Dio ("Vai in chiesa?" gli chiede il boss, "Certo", risponde lui a denti stretti) e non avrebbe versato una lacrima fino ad un minuto dalla fine e invece oggi ha sempre gli occhi rossi perché i nuovi duri non nascondono la tenerezza e perché tensione e empatia in questo film procedono appaiate e inseparabili per definizione. Diviso in coscienza dal turbamento morale, il suo personaggio si divide anche idealmente nei due alter-ego che lo attorniano, come un cattivo ladrone e un buon ladrone ai lati della croce. Da una parte il mefistofelico Carver, il "padre" che potrebbe rendere orgoglioso e di cui potrebbe ereditare fascino e impero, dall'altra il padre di famiglia che Dennis stesso ha incarnato fino a un attimo prima, che si aggrappa con le unghie alla legge degli uomini, insufficiente e corruttibile, non potendo concepire un altrimenti. Non c'è molto spazio per farsi sorprendere in questo genere di prosa cinematografica, e il regista, in aggiunta, si lascia prendere un po' la mano e conduce i tempi oltre la misura ideale. Il commento musicale, ansiogeno e pomposetto, ribadisce il concetto sforando nel superfluo. Ma il messaggio ha trovato una bella dicitura filmica: vincere non è fare cento, ma sapersi fermare (foss'anche) a novantanove.