CINEMA PARADISO

san andreas


La faglia di Sant'Andrea si sta animando e il terremoto previsto è il più disastroso di sempre. Un gruppo di sismologi è riuscito a prevederlo e annunciarlo in televisione ma manca troppo poco. Mentre tutta San Francisco cerca di scappare dalla città una famiglia spezzata (genitori divorziati, una figlia deceduta sulle spalle e un'altra in giro per la città) cerca di ricongiungersi all'interno della tragedia, tra scosse, palazzi che crollano e uno tsunami.Gloriosissima distruzione in computer grafica di buona parte della costa Ovest degli Stati Uniti d'America, tripudio del massacro e sublimazione della massima paura californiana, quella del Big One, il terremoto dei terremoti, Brad Peyton sembra aver capito immediatamente cosa conti in un film come San Andreas: la distruzione. Dalle prime immagini (le migliori del film) la tragedia è imminente e la regia gioca al gatto col topo con l'incidente, fino a che un'avvisaglia non sta per mietere la prima vittima. Potrebbe essere un inizio nello stile di Lo squalo ma l'entrata in scena del protagonista, eroe di mestiere, pilota d'elicotteri di salvataggio, chiarisce cosa stiamo guardando.Quelli iniziali sono gli unici momenti in cui San Andreas sembra rispondere in pieno al genere cui appartiene, il catastrofico, i soli cioè in cui il film ha una dimensione extra familiare. Il resto di questa grande parabola distruttiva in cui Dwayne Johnson attraversa uno stato nell'atto del suo collassare, è un'epopea privata, la storia di come una famiglia si cerchi e si trovi durante un cataclisma. Sembra di vedere le classiche idee del disaster movie per come fu canonizzato da L'inferno di cristallo (i personaggi eterogenei e le diverse individualità costrette a convivere in una situazione estrema) contaminato dagli spunti "realisti" di The Impossible, in cui una famiglia cerca di ritrovarsi durante lo tsunami indiano.Con molta meno prospettiva e molto meno gusto melodrammatico del film di J.A. Bayona, Brad Peyton mette in scena il primo script per la televisione di Carlton Cuse (sceneggiatore televisivo diventato famoso per Lost), immaginando un evento dalle proporzioni impensabili e puntando tutto sull'effetto finale (la distruzione) senza passare per le cause. I terremoti arrivano subitanei e la loro portata non è lontana dal passaggio di un Godzilla o qualsiasi creatura immane. I palazzi si sbriciolano anche più di quanto avevamo visto accadere in 2012 (che aveva comunque un impianto spettacolare superiore), le autostrade si piegano, i ponti si avvitano e su tutto le proporzioni impossibili (ma vere) di Dwayne Johnson attraversano onde, crepe nel terreno ed edifici diroccati per giungere da sua figlia. Lo stesso, anche di fronte a tanta esasperazione della plausibilità, i dialoghi appaiono come la componente meno accettabile in San Andreas.Il dolce spirito naive che anima questo tipo di produzioni fieramente popolari e dalle dinamiche teneramente semplici, viene sporcato di un gusto per l'esagerazione e l'eccesso che, per come è ripetuto e sbattuto in faccia allo spettatore, sembra uscire da una produzione Asylum. La dinamica esasperata del salvataggio all'ultimo secondo è utilizzata di continuo per ogni situazione e del resto ogni distruzione lascia i protagonisti illesi o al massimo graffiati, tranne quando ha delle conseguenze mortali, le quali tuttavia vengono iperbolicamente risolte. Morte e vita perdono in breve di ogni valore, quella tensione alla sopravvivenza, quel sottile senso di precarietà di fronte ad una tragedia di molto superiore all'umano che anima il genere catastrofico si perde quasi subito. L'obiettivo di una simile deroga alle normali leggi della fisica sembrerebbe quello di dare più enfasi al melò familiare (di suo molto blando), poichè i sentimenti non sono là dove dovrebbero essere (nei personaggi, dunque negli attori) ma si trovano riflessi nell'esagerazione della distruzione. Tuttavia il sacrifico sembra servire a poco, San Andreas fatica a coinvolgere e più distrugge più genera assuefazione alle immagini invece che stupore.