CINEMA PARADISO

Tokyo love hotel


Toru e Saya sono una coppia sulla soglia di una crisi. Lei troppo concentrata sulla sua carriera di musicista, lui su quella mancata di albergatore a cinque stelle, trasformatasi in un lavoro come manager in un albergo a ore frequentato da amanti clandestini e prostitute. Tra gli avventori una ragazza coreana al suo ultimo giorno di lavoro come squillo prima di tornare a Seoul.Per la carriera di Ryuichi Hiroki Kabukicho Love Hotel rappresenta il punto di arrivo di due percorsi apparentemente paralleli. Un passato remoto nel pinku eiga, il codificato softcore giapponese di cui ha rappresentato una voce autorevole, e uno più prossimo, alle prese con un cinema mainstream in cui ha sempre saputo mantenere un tocco autoriale. Il regista sceglie l'albergo a ore del quartiere a luci rosse di Tokyo per un affresco corale e per riconciliare le due anime del suo percorso. Attraverso il nocchiero Toru, frustrato manager dell'albergo, entriamo nelle vite di personaggi in bilico tra disperazione e un possibile riscatto. La macchina da presa si muove spesso sorretta da una mano quasi tremolante, ricercando inquadrature sghembe, dal basso, grandangoli che ritraggano l'albergo dell'amore come un luogo multisfaccettato, in cui possono avvenire epifanie inattese e abiezioni morali della peggior specie. Senza tirarsi (quasi) mai indietro di fronte alla nudità dei corpi, ancor meno di fronte a quella dei sentimenti. Lo sguardo è tendenzialmente e forse astutamente benevolo. Nessuna demonizzazione per il cinema porno, ad esempio, visto come un lavoro che non si può raccontare ai propri genitori ma che in fondo garantisce un guadagno certo e cospicuo, mentre lo sguardo sulla prostituzione cerca di essere il più possibile quello di una humana pietade.Kabukicho Love Hotel sfiora il nichilismo e la dolorosa constatazione che una buona fetta di have-nots in tempi di precarietà sia costretta a prostituirsi, ma poi ripiega su un atteggiamento consolatorio. Due ricercati si tramutano in una romantica coppia di vecchietti, evidentemente perdonati per i crimini commessi; Hena e Cheong-su, immigrati sudcoreani, dopo aver svenduto il proprio corpo e la propria anima, si sentono umiliati ma in fondo arricchiti da un punto di vista umano (estremamente ambiguo il ritratto di Hena, prostituta che stabilisce un contatto umano con i propri clienti, comprensiva e "samaritana", per dirla con Kim Ki-duk). La negatività rimane tutta concentrata sul personaggio della sempre più brava ex pop idol Atsuko Maeda (Tamako in Moratorium), che paga un prezzo elevato per aver barattato l'amore con la carriera. Quasi l'invisibile giudizio del regista ristabilisse una gerarchia tra prostituzione vera o presunta e soprattutto tra scelte e necessità.