Roberto Rossellini è stato uno dei più grandi registi della storia del cinema mondiale. Uno dei maestri illustri del Neorealismo, un movimento che grazie a lui ed ai suoi film arrivò alle vette più alte. Non c’è infatti scuola di cinema che non mostri ai propri studenti la cosiddetta “trilogia della Guerra antifascista”: Roma Città Aperta, Paisà e Germania Anno Zero. Tre pellicole che Rossellini ideò e girò nel mentre e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tre racconti di devastazione umana, di macerie, di anime distrutte. Oggi vogliamo ricordare Rossellini, esattamente a 40 anni dalla morte, attraverso due sequenze che hanno fatto la storiaRoberto RosselliniRoma Città Aperta (1945)Rossellini iniziò a pensare a Roma Città Aperta già nel 1943, quando il conflitto era nel vivo. La realtà, e quindi l’orrore della Guerra, è colta nel suo farsi: nella Roma del 1943-44, occupata dai nazifascisti, la lotta, le sofferenze, i sacrifici della gente sono raccontate attraverso le vicende di una popolana (Anna Magnani), di un sacerdote (Aldo Fabrizi) e di un ingegnere comunista (Marcello Pagliero). Il secondo verrà fucilato all’alba, salutato dai ragazzini della parrocchia; il terzo morirà sotto le torture.Ma è la morte di Anna Magnani – il cui talento venne mostrato al mondo con questo film – ad entrare violentemente negli occhi e nel cuore dello spettatore. Nel pieno turbine della guerra, finalmente un barlume di luce e speranza: Pina (Magnani), madre vedova, e Francesco (Francesco Grandjacquet) si stanno per sposare. Ma il testimone dell’uomo, Giorgio (Pagliero), è uno dei capi della Resistenza e, mentre lui e Francesco si stanno vestendo per il matrimonio, Pina arriva trafelata ad avvertire che i tedeschi e i fascisti hanno circondato l’edificio. Messa in fila fuori con tutti gli altri, Pina cerca di consolare un’altra donna, rintuzzando al tempo stesso le avances fastidiose di una SS.Dopo averne allontanato con uno schiaffo la mano indiscreta, si accorge con orrore che Francesco e Giorgio vengono caricata su un camion. Gridando il nome di Francesco, supera la barriera e corre dietro al mezzo che si allontana. La vediamo dal punto di vista dell’uomo mentre insegue il veicolo, gesticolando e chiamando più volte il suo nome. Poi, un’improvvisa scarica di mitra: Pina muore. La macchina da presa inquadra il suo corpo sulla strada, le gambe leggermente scoperte, la giarrettiera in vista.Questa è senza dubbio “una delle sequenze più iconiche della storia del cinema” (come scrisse Gino Moliterno), in grado di condensare in pochi istanti e alcune immagini indelebili l’imperscrutabilità del fato e le sofferenze insensate che la guerra infligge alla gente comune. Inizialmente, Pina doveva morire per un colpo sparatole in mezzo alla folla. L’idea di farla colpire mentre insegue il camion venne allo sceneggiatore, Sergio Amidei (una sera vide la Magnani inseguire a piedi la macchina con la quale l’amante se ne stava andando dopo una lite accesa).
Roberto Rossellini, immortale maestro del Neorealismo da cameralook
Roberto Rossellini è stato uno dei più grandi registi della storia del cinema mondiale. Uno dei maestri illustri del Neorealismo, un movimento che grazie a lui ed ai suoi film arrivò alle vette più alte. Non c’è infatti scuola di cinema che non mostri ai propri studenti la cosiddetta “trilogia della Guerra antifascista”: Roma Città Aperta, Paisà e Germania Anno Zero. Tre pellicole che Rossellini ideò e girò nel mentre e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tre racconti di devastazione umana, di macerie, di anime distrutte. Oggi vogliamo ricordare Rossellini, esattamente a 40 anni dalla morte, attraverso due sequenze che hanno fatto la storiaRoberto RosselliniRoma Città Aperta (1945)Rossellini iniziò a pensare a Roma Città Aperta già nel 1943, quando il conflitto era nel vivo. La realtà, e quindi l’orrore della Guerra, è colta nel suo farsi: nella Roma del 1943-44, occupata dai nazifascisti, la lotta, le sofferenze, i sacrifici della gente sono raccontate attraverso le vicende di una popolana (Anna Magnani), di un sacerdote (Aldo Fabrizi) e di un ingegnere comunista (Marcello Pagliero). Il secondo verrà fucilato all’alba, salutato dai ragazzini della parrocchia; il terzo morirà sotto le torture.Ma è la morte di Anna Magnani – il cui talento venne mostrato al mondo con questo film – ad entrare violentemente negli occhi e nel cuore dello spettatore. Nel pieno turbine della guerra, finalmente un barlume di luce e speranza: Pina (Magnani), madre vedova, e Francesco (Francesco Grandjacquet) si stanno per sposare. Ma il testimone dell’uomo, Giorgio (Pagliero), è uno dei capi della Resistenza e, mentre lui e Francesco si stanno vestendo per il matrimonio, Pina arriva trafelata ad avvertire che i tedeschi e i fascisti hanno circondato l’edificio. Messa in fila fuori con tutti gli altri, Pina cerca di consolare un’altra donna, rintuzzando al tempo stesso le avances fastidiose di una SS.Dopo averne allontanato con uno schiaffo la mano indiscreta, si accorge con orrore che Francesco e Giorgio vengono caricata su un camion. Gridando il nome di Francesco, supera la barriera e corre dietro al mezzo che si allontana. La vediamo dal punto di vista dell’uomo mentre insegue il veicolo, gesticolando e chiamando più volte il suo nome. Poi, un’improvvisa scarica di mitra: Pina muore. La macchina da presa inquadra il suo corpo sulla strada, le gambe leggermente scoperte, la giarrettiera in vista.Questa è senza dubbio “una delle sequenze più iconiche della storia del cinema” (come scrisse Gino Moliterno), in grado di condensare in pochi istanti e alcune immagini indelebili l’imperscrutabilità del fato e le sofferenze insensate che la guerra infligge alla gente comune. Inizialmente, Pina doveva morire per un colpo sparatole in mezzo alla folla. L’idea di farla colpire mentre insegue il camion venne allo sceneggiatore, Sergio Amidei (una sera vide la Magnani inseguire a piedi la macchina con la quale l’amante se ne stava andando dopo una lite accesa).