CINEMA PARADISO

Abdellatif Kechiche: il mio non è uno sguardo maschilista


VENEZIA. Quarta partecipazione alla Mostra per il regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche che porta in Concorso il chilometrico, tre ore, Mektoub, My Love: canto uno (Concorso) per la cui realizzazione, rimasto senza fondi nella fase di montaggio, ha messo all’asta una serie di memorabilia raccolti durante la sua carriera. Tra questi la Palma d’Oro del 2013 vinta per La vita di Adele, che raccontava l’iniziazione sentimentale e sessuale di una ragazza, attraverso il turbolento rapporto amoroso con una pittrice.Anche Mektoub, My Love: canto uno, ispirato dal romanzo "La blessure, la vraie" di François Bégaudeau, è un racconto di formazione ambientato nel 1994 che ci porta dentro l’ansia di vivere, la libertà e la passione amorosa della gioventù. Protagonista è il giovane Amin (Shaïn Boumedine) che, lasciati gli studi di medicina, cerca la sua strada tra la scrittura di sceneggiature e la passione per la fotografia. Amin, che vive a Parigi, torna per l’estate nella sua cittadina natale sul mare, nel sud della Francia, ritrovando la famiglia e gli amici d’infanzia. Trascorre la vacanza insieme al cugino Tony (Salim Kechiouche) seduttore impenitente, all’amica Ophélie (Ophélie Bau), promessa sposa a un uomo, militare nella Guerra del Golfo, che non ama, alle tante ragazze in vacanza e ai familiari che gestiscono un ristorante di specialità tunisine.La vita di Amin trascorre tra spiaggia, mare, bevute, discoteca e soprattutto sguardi e incontri con le tante giovani che lo circondano con la loro sensualità e i loro corpi. Amin pare incantato da tanta vitalità e voglia di cogliere l’attimo, ma rispetto ai coetanei  vive da spettatore, quasi timido e incerto, in attesa di quel tempo dell’amore che solo il destino, 'mektoub', può decidere.Per ottenere dagli attori spontaneità e naturalezza il regista si è impegnato in un lungo processo di conoscenza fatto di prove su prove, in un intenso lavoro quotidiano di ricerca e analisi.Perché ambientare il film a metà degli anni ’90? “Credo che per capire il presente è necessario comprendere il passato. Ho descritto la fine di un secolo che ho conosciuto bene, un’epoca in cui la gente viveva in modo più armonioso. Spesso nella Storia accade che capiamo l’inizio del nuovo secolo guardando a quello precedente”.Amin, il personaggio principale del film, non è il suo alter ego. Kechiche non ritiene che il film sia autobiografico, anche se riflette qualcosa di se stesso. “Non voglio parlare di me stesso o spiegarmi. Certo noi tutti abbiamo vissuto in gioventù vicende amorose. Osservo invece i miei personaggi, li guardo, li amo, li analizzo e non li giudico. Questo è un film anarchico, nel senso nobile del termine cioè, destinato a rompere le catene della gerarchia”.Il film, come ci rivela la scena di Amin in mezzo al gregge di pecore, intento a fotografare il momento della nascita dei piccoli agnelli, vuole essere “un inno alla vita e alla luce, un’ode alla bellezza, un racconto gioioso e euforico che interroga le conseguenze delle azioni passate sul presente. Questa luce è la libertà di pensiero, la libertà che rivendico”.E a una giornalista che lo critica per il suo sguardo maschilista, insistito solo sui corpi delle donne, di averle addirittura rappresentate come oggetto sessuale, Kechiche risponde perentorio di “avere solo mostrato le donne come forti, potenti e libere”.E a chi gli chiede se i produttori (i partner italiani Good Films, Bianca Film e Nuvola Film) gli imporranno di intervenire sulla lunghezza di Mektoub, il regista ricorda che nulla gli è stato imposto e anche lui con la Quat’sous Films è coinvolto nella produzione. E in chiusura annuncia che ci sarà un seguito, un Canto due nel quale i diversi nodi drammatici visti nel Canto Uno si scioglieranno, e tra questi ci sarà il ritorno dalla Guerra del Golfo del militare fidanzato di Ophélie.