CINEMA PARADISO

Il Portaborseregia di Daniele Luchetti da storiadeifilm.it


recensione di Claudia MastroLu­cia­no Scan­dul­li (Sil­vio Or­lan­do), ap­pas­sio­na­to pro­fes­so­re li­cea­le, viene in­gag­gia­to da Ce­sa­re Bo­te­ro (Nanni Mo­ret­ti), gio­va­ne mi­ni­stro delle par­te­ci­pa­zio­ni sta­ta­li, per­chè scri­va i suoi di­scor­si dopo una car­rie­ra da "ghost wri­ter" per un noto scrit­to­re sco­per­ta dalla bella tra­dut­tri­ce del suo staff, Ju­liet­te. No­no­stan­te le age­vo­la­zio­ni l'uo­mo la­scia il ma­leo­do­ran­te posto in­tui­ti gli in­tral­laz­zi die­tro alla sca­la­ta pra­ti­ca­men­te senza osta­co­li e che ormai porta il bo­te­ro drit­to allo scran­no più alto del go­ver­no. Fi­na­le d'im­pat­to.Co­min­cia­mo col dire che da un film cosi so­li­do e a com­par­ti­men­ti sta­gni ci si aspet­ta­va degli av­ve­ni­men­ti più de­ci­si­vi: il tanto sot­to­li­nea­to, anche dal fi­na­le in­can­de­scen­te, cam­bia­men­to "dai buoni ai cat­ti­vi" di Scan­dul­li è tutto negli idea­li degli sce­neg­gia­to­ri: i nuovi pri­vi­le­gi come l'ot­te­ne­re un libro raro in pre­sti­to o una ri­strut­tu­ra­zio­ne gra­tis di casa, sono vir­go­le en pas­sant, non lo con­vi­co­no di nulla ne lo met­to­no a ta­ce­re,a dire la ve­ri­tà è lon­ta­no anche da una ba­si­ca rea­zio­ne di gra­ti­fi­ca­zio­ne, ap­prez­za­men­to o anche solo stu­po­re (a parte ov­via­men­te, quan­do rie­sce ad avere i temi per gi esami della ma­tu­ri­tà della sua clas­se) . E poi c'è lui, Bo­te­ro: qual è la pos­si­bi­li­tà che un mi­ni­stro che deve na­scon­de­re azio­ni non solo mo­ral­men­te non ir­re­pren­si­bi­li ma anche giu­ri­di­ca­men­te, pren­da al suo ser­vi­gio un uomo che è evi­den­te­men­te 1)non cor­rut­ti­bi­le 2)im­pos­si­bi­li­ta­to per mo­ti­vi di in­tel­let­to bril­lan­te e vi­vi­do a bersi la quan­ti­ta di ca­stro­ne­rie dello staff del mi­ni­stro? Do­vreb­be es­se­re un en­ne­si­ma an­no­ta­zio­ne su quan­to Bo­te­ro creda nel suo po­te­re, ma sem­bra più un fiam­man­te segno di stu­pi­di­tà (in ogni caso, non vi era bi­so­gno di nes­su­na delle due re­pe­ti­ta non-ju­vant, es­sen­do­ne co­stel­la­ta tutta la trama, al punto che essa, quan­do pensa a torto di es­se­re trop­po si­bil­li­na, fa ad­di­rit­tu­ra dire a mo­ret­ti "io non ho mai fi­ni­to un libro! mai!") in­som­ma, molto si regge sulla so­li­ta mae­stria di Rulli e Pe­tra­glia e Lu­chet­ti , qua aiu­ta­ti da un mon­tag­gio che ha evi­den­te­men­te ta­gia­to rami e rami e da una vera regia, ma con qual­che ve­ri­di­ci­tà  in più e un colpo di scena vero e non te­le­fo­na­tis­si­mo avreb­be detto e fun­zio­na­to di più, senza la­scia­re quel senso di in­com­piu­tez­za e di opera a metà che de­va­sta il giu­di­zio fi­na­le. Raro caso di pel­li­co­la che parla al cuore della na­zio­ne, che svi­lup­pa anzi an­ti­ci­pa -uscì due anni prima di Mani Pu­li­te- temi veri e sa­cro­san­ti, ma fred­da come un cu­bet­to di ghiac­cio, ge­ne­re pi­lo­ta di un for­mat te­le­vi­si­vo.