CINEMA PARADISO

Mamma o Papà


Valeria e Nicola sono pronti a divorziare, d'accordo su tutto, e si preparano a comunicare la loro scelta ai tre figli: un adolescente no global, una pre-teen incollata allo smartphone e un piccolo nerd, tutti egualmente ostili nei confronti degli imbelli genitori. Ma quando viene accettata la richiesta di Nicola di esercitare la sua professione di ginecologo in Mali per sette mesi e contemporaneamente a Valeria, ingegnere edile, viene offerto un trasferimento in Svezia di analoga durata, quella che era una trattativa civile si trasforma in una lotta all'ultimo sangue non già per ottenere la custodia dei figli, bensì per rifilarla all'altro, e partire verso l'estero in tutta libertà. Mamma o Papà non decolla perché rincorre non uno ma due prototipi stranieri (Papa ou Maman e La guerra dei Roses), perdendo di vista la realtà specificamente nazionale. I problemi cominciano in sceneggiatura. Risulta ad esempio difficile capire perché Valeria non possa portare con sé in Svezia i ragazzi per un periodo di meno di un anno, non perché in quanto madre sia automatico che sia lei a prendersi cura della prole, ma perché in Svezia crescere i figli, anche da single, è reso molto più semplice che da noi. I figli, inizialmente villani e strafottenti, si trasformano inspiegabilmente in vittime imbelli non appena inizia la guerra per liberarsi di loro. I personaggi di contorno, fondamentali in una commedia, sono appena accennati e privi di un vero arco narrativo: la coppia degli amici, l'infermiera, il collega di Valeria, l'improbabile giudice sempre disposta a dare ascolto alla coppia (in Italia le consensuali si concordano con l'avvocato, non direttamente con il magistrato). Si salva solo il nuovo boss dell'ingegnera grazie alla bravura istrionica di Carlo Buccirosso, che ci fa (quasi) credere alle contorsioni laocoontiche del suo personaggio.