CINEMA PARADISO

I racconti dell'orso


Da qualche parte tra Finlandia e Norvegia c'è un'auto che corre e dentro quell'auto una bambina che sogna e dentro il suo sogno un omino rosso e un monaco meccanico, che giocano a vivere insieme ai loro creatori. Samuele Sestieri e Olmo Amato li abitano e dirigono lungo piani di formale splendore che possiamo percorrere, pescando ciascuno la propria verità. Suddiviso in capitoli, I Racconti dell'Orso disegna due personaggi affamati di avventura e pieni di infinita poesia. Eterni bambini, la loro lentezza scivola sulle immagini, increspa laghi limpidissimi e accarezza lo sguardo di chi considera il cinema un'avventura, un viaggio senza navigatore in terre sconosciute. I Racconti dell'Orso non è destinato a un pubblico che ama il conforto del già visto e le formule consuete. Dolce e radicale invita lo spettatore a un'esperienza totale, liberando l'immaginazione nei paesaggi spogliati dall'uomo e attraversati da creature che intercettano le nostre proiezioni. Linea di Osvaldo Cavandoli o Irma Vep di Louis Feuillade, Jawa di Tatooine o creatura trascendente di Apichatpong Weerasethakul, i protagonisti de I Racconti dell'Orso sono evocazioni ipnotiche che parlano la lingua dei sogni e un linguaggio elettronico di emissioni sonore. Un'onda lunga di beep, sottotitolata per lo spettatore in forma testuale. Tra sogno e realtà, incontrati in una dissolvenza incrociata, la favola di Sestieri e Amato produce un cinema magico che anche scomposto e sondato, resta un mistero irriducibile. Al centro dei racconti e nel cuore del bosco, l'orso del titolo, che converte quello bruno delle no man's land in un pupazzo di pezza che solo la luna può 'ricucire'. Ma è il sole a indicare la strada, implorato con 'parole' leggere da manichini di stracci vagheggianti vesti, capelli e cappelli.A unire questo universo di fughe, di bivi e ritorni, è lo stile singolare di due giovanissimi registi che in quaranta giorni, un anno e mezzo di post-produzione e una raccolta fondi online hanno realizzato un film di cui è impossibile definire i contorni. Possiamo solo abbandonarci alla vocazione sonnambolica che sorge l'inatteso, lo straordinario come le cose più banali (un biscotto 'spinto' nel latte). La durata 'infusa' dei piani e la purezza naturale delle immagini combinate ai suoni abbracciano due fantasmi fragili che avanzano aprendo porte invisibili. Passaggi verso un cinema che illustra il vuoto mentre fonda una nuova pienezza.