CINEMA PARADISO

Il traduttore


Andrei è un giovane rumeno venuto in Italia per una specializzazione universitaria grazie a una borsa di studio. Oltre all'università cerca di mantenersi con altri lavori e mandare i soldi alla sua ragazza rimasta in Romania, di sera lavora infatti in una pizzeria e spesso viene chiamato come interprete per delle intercettazioni in questura. Schivo e riservato, Andrei conosce la vedova Anna, una ricca gallerista che lo incarica di tradurre il diario del marito. Tra i due nascerà una focosa relazione. Il traduttore è un film che sembra intraprendere diverse direzioni, il melodramma erotico, il noir, mettendo anche in ballo alcune questioni sociali, quello che però ne viene fuori è un lavoro confuso che non scava in nessuno dei generi e delle questioni qui citate. Il personaggio di Andrei (Kamil Kula) combatte una personale battaglia che sembra non avere delle motivazioni ben salde, si vorrebbe affrontare il problema dell'integrazione e della differenza culturale con un inspiegabile finale imposto da una sceneggiatura a dir poco traballante. Tutto è eccessivo, dalle ripetute scene di sesso ansimante messe lì solo per dare quel tono piccante al dramma, all'atteggiamento forzatamente tenebroso di Andrei, fino al momento in cui la Gerini, grazie a un'incomprensibile epifania scopre la verità su suo marito. Il secondo film di Massimo Natale si perde in situazioni buttate lì casualmente cercando più aperture e livelli di lettura, ma ottenendo soltanto un gran pasticcio che inizialmente sembra avere una certa ambizione. Tante piccole finestre si aprono senza mai portare a conclusione il discorso e senza creare un'uniformità del lavoro. Anche nel personaggio del capo della polizia (Anna Safroncik) si percepisce una forzatura nel voler creare una donna decisa e caparbia nell'ottenere risultati dal suo lavoro per un riscatto e una rinascita personale, ma lo si fa attraverso imbarazzanti frasi stereotipate, tipiche del doppiaggio poliziottesco. Il problema principale di questo film sta infatti proprio nella sceneggiatura che sembra essere ideata secondo modellini predefiniti. La scena del corteggiamento/danza all'interno della galleria rappresenta poi l'apice dell'intollerabile pathos che puntualmente viene esasperato, grazie anche allo scontato uso delle musiche.