CINEMA PARADISO

Io, dio e ben laden


Gary Faulkner è disoccupato, ha alle spalle qualche condanna per reati minori e davanti a sé forse qualche birra di troppo, quando riceve la "chiamata" divina per una missione a cui non può sottrarsi: partire per il Pakistan e catturare Osama Bin Laden. Armato di una spada da samurai comprata tramite una televendita e della convinzione, risalente all'infanzia, di dover fare qualcosa di grande, Faulkner, malato di reni ma psichiatricamente dichiarato sano, lascia la donna che lo ama e lo sopporta per inseguire il suo destino. Ci proverà ben undici volte, ma il film se ne fa bastare tre o quattro, che rendono perfettamente l'idea.Ispirato ad un articolo del 2010, a firma di Chris Heath, il racconto dell'ossessione di Mr Faulkner per "il barbuto" nemico degli Stati Uniti d'America, viene caricato, sullo schermo, sulle spalle di Nicolas Cage, che risponde piuttosto bene, con una performance comica, tutta urla e occhi sgranati, dietro la quale si riconosce facilmente la direzione del regista di Borat e Bruno ma anche l'umana, strascicata debolezza che l'attore si porta dietro da sempre.In quanto a ritratto della stupidità siamo dalle parti di Tonya, ma con meno accenti tragici e una messa in scena più elementare. Del patriota Gary Faulkner, contrario alle birre, alle macchine e persino ai soffioni per doccia di marche non americane, felice di autodefinirsi "il re degli asini" perché il somaro è il suo animale guida, Larry Charles mira infatti a dare un'immagine in fondo innocua, al limite autolesionista, che susciti anche tenerezza. Il risultato cammina meno sul filo rispetto a Borat (un film che prendeva in giro il razzismo strisciante di buona parte di americani o un film a sua volta al limite del razzista?) e si concentra di più sulla commedia umana di un uomo che "non sarebbe stato all'altezza delle aspettative di nessuno" e ha dunque pensato bene di avere aspettative esagerate su se stesso.Dei tre del titolo, l'"Io" di Faulkner/Cage è sicuramente il personaggio più riuscito, non a caso la prima parte, che coincide con la sua lunga presentazione, è la migliore, e contiene scene memorabili come il dialogo con il commesso del negozio di articoli sportivi dove Faulkner si reca per acquistare il deltaplano col quale è intenzionato a sorvolare le alture del Pakistan. Poiché il racconto delle imprese di quest'uomo ha senza dubbio dell'incredibile, il film sottolinea l'aspetto narrativo con l'ausilio di una voice over che serve anche a tenere nei binari un treno che spesso ripete la stessa corsa, guidato com'è dall'ossessione più in voga del momento, quella che mescola smarrimento di sé e delirio religioso.