CINEMA PARADISO

La vita possibile


Anna abbandona la sua abitazione romana insieme al figlio tredicenne Valerio per sfuggire a un marito violento che la tormenta, e che le denunce e le diffide non sono riuscite a tenere a bada. La donna si rifugia a Torino nel microscopico appartamento soppalcato di Carla, attrice teatrale squattrinata ma ricca di entusiasmo, assai generosa nell'accogliere a braccia aperte l'amica in difficoltà. A Torino Anna cerca lavoro e una vita sicura per sé e per suo figlio, ma Valerio patisce la lontananza dal padre e dagli amici romani e cerca di alleviare la propria solitudine accompagnandosi a due stranieri (come lui): una prostituta dell'est che potrebbe essere sua sorella maggiore e un ristoratore francese ex calciatore e, dicono, ex carcerato.Dopo La bella genteGli equilibristi e I nostri ragazzi, Ivano De Matteo torna a raccontare una famiglia italiana di oggi scegliendo l'ambiente borghese che conosce a fondo e che fa da cartina di tornasole della crisi economica e sociale in corso nel nostro Paese. La sua attenzione è sempre per i più fragili: in questo caso Anna, vittima di un prepotente manesco, Valerio, esposto all'isolamento e alla paura, e Carla che, pur essendo caratterialmente ottimista, si ritiene un fallimento nel lavoro e nella vita poiché non ha costruito né una famiglia né una carriera. In particolare la parabola di Valerio è la ricerca di un'identità maschile della quale non doversi vergognare, passando attraverso le pietre miliari del percorso di crescita di un ragazzo italiano: il calcio, il sesso, la bicicletta.Ma il passo della narrazione è (troppo) lento, anche se il montaggio sagace di Marco Spoletini, sempre efficace nel potare una scena prima che ramifichi oltre il necessario, aiuta ad eliminare tempi morti ed eccessivi sentimentalismi. Resta però qualcosa di inerte e di irrisolto, come se la tensione interna alla storia si perdesse nell'allineamento ordinato delle stazione della via crucis di Anna e Valerio. Quel che difetta a La vita possibile è un maggior equilibrio fra le parti dolenti e quelle che suggeriscono la possibilità della rinascita suggerita dal titolo, che arriva solo in extremis, dopo che i protagonisti hanno affrontato una serie continua di colpi bassi. Il cinema medio italiano, di cui De Matteo è più che dignitoso rappresentante, funziona al meglio quando aderisce alle regole del genere, ma La vita possibile è per tre quarti melodramma e per un quarto storia di rivalsa e di riscatto: sarebbe stato più opportuno decidere per un genere solo portandolo fino in fondo, preferibilmente l'underdog movie di cui oggi c'è parecchio bisogno. L'altro problema di credibilità è creato dal personaggio di Valerio, che da un lato gode di una libertà impensabile per un tredicenne, dall'altro mostra comportamenti e reazioni da bambino più che da preadolescente, il che è in parte spiegabile con il trauma che ha vissuto, in parte però sembra denotare una scarsa conoscenza del mondo dei preteen di oggi, cresciuti di fronte a Internet e ai tg: ragazzi per cui la concretezza del lavoro di una prostituta non sarebbe certo una sorpresa, per dirne una.Molto più convincente è la descrizione della stupidità di certe leggi inadeguate che in Italia non tutelano le donne malmenate o i loro figli. Ma si fa fatica a credere che un padre che non ha rinunciato alla patria potestà e che si comporta verso la famiglia con atteggiamento proprietario non mobiliti la polizia per rintracciare il proprio figlio minorenne fatto scomparire (seppur con buon motivo) dalla madre.