CINEMA PARADISO

The boss


Michelle Darnell, nonostante la sua difficile infanzia, è diventata la 47^ donna più ricca d'America e non perde occasione per ricordarlo a tutti. E' quindi decisamente poco amata dai suoi competitors i quali non vedono l'ora di farle pagare il successo ottenuto con metodi spicci. L'occasione si presenta quando Michelle viene arrestata con l'accusa insider trading. Nonostante il vuoto che le si è creato intorno al momento dell'uscita dal carcere Michelle decide di non abbattersi. Decide di ricominciare organizzando un gruppo di giovanissime volontarie impegnate a cercare fondi per attività sociali.Melissa McCarthy, con alle spalle il buon esito e anche la qualità di Spy, compie un passo falso alle cui radici sta probabilmente la famiglia. Perché Melissa è moglie del regista e co-sceneggiatore del film Ben Falcone e, come hanno dimostrato al festival di Cannes Sean Penn e Charlize Theron, non c'è nulla di più pericoloso per un'attrice di affidarsi al partner. Il quale si mette al suo servizio ma non sa trovare la giusta misura e, soprattutto, non ha la voglia o la forza per contenerne in questo caso l'esuberanza. Perché The Boss poteva essere una commedia acida e politically uncorrect su una bambina cresciuta in un orfanotrofio condotto da suore (come i Blues Brothers) che da adulta sente un profondo bisogno di rivalsa su tutto e tutti, seguita da una fedele assistente (qui affidata a una Kristen Bell disponibile al ruolo di spalla).La fisicità della protagonista era a disposizione (viene sfruttata come al solito per le cadute) e anche il suo piglio deciso nell'utilizzare un linguaggio privo di pruderie. Si decide invece di impostare il tutto sulla gestione di un gruppo di Dandelions (una specie di associazione di ragazze scout) che passano, grazie alla sua guida, da una timorosa ricerca di fondi a ruoli d'assalto con tanto di divisa che le configura come un piccolo esercito. Intanto l'attore nano più famoso e ironico del mondo (grazie a Il trono di spade) tenta di contrastarne il ritorno.Il desiderio di un happy end fa poi il resto e invita a suggerire allo spettatore di vedere la compilation di errori inseriti nei titoli di coda che fanno ridere più di buona parte del film.