CINEMA PARADISO

Redford premia i film godardiani (ilmanifesto)


Proiettato come work in progress, senza essere citato sul programma. Il nuovo film di Steven Soderbergh, The Girlfriend Experience, è stato una delle belle sorprese del festival che quest'anno - sarà che c'è meno gente, sarà che ci sono meno soldi- è stato piacevole come non si ricordava da tempo (persino Robert Redford, che in genere se ne sta piuttosto appartato dal caos, era spesso visibile su Main Street). Girato a bassissimo costo (da Soderbergh, come ormai quasi tutti i suoi film), in digitale (la minuscola Red) e con troupe ridottissima, secondo lo stesso principio di Bubble (anche questo sarà distribuito contemporaneamente in sala, dvd e online), The Girlfriend Experience è un detour godardiano nella vita di una escort newyorkese (la porno star Sascha Grey) ambientato sullo sfondo del progressivo collasso del mercato finanziario, l'autunno scorso. Filiforme, gli occhi a mandorla, una serie di mise nere che fanno tutt'uno con i capelli lucidi e nerissimi anche loro Chelsea (che «fuori servizio» si fa chiamare Christine) è una presenza più opaca che misteriosa, metodica al limite del sonnambulismo, che porta al cinema, in gallerie d'arte, a cena e poi a letto un alternarsi di Wallstreeters stressati, giovani padri di (buona) famiglia e persino l'occasionale sceneggiatore hollywoodiano di passaggio. Non importa quanto elegante e disponibile sia Chelsea, e quanto eleganti siano l'immagine e la costruzione frammentata, il sesso si vede poco ed è asettico - Soderbergh pare meno interessato al commercio del corpo (o ai dettagli del mestiere) che al commercio in senso metaforico. Il film è infatti punteggiato di incontri con uomini vestiti di scuro, con cui Chelsea discute come strutturare il suo business. Tratteggiati intorno alla ragazza, in pennellate di luce e frammenti di conversazione, il sogno di scrivere dei libri, il momento di gelosia quando una collega le soffia il cliente abituale... l'illusione di un week-end in campagna con un cliente che potrebbe essere «qualcosa di più», un blogghista repellente che la «recensisce» male su internet e un fidanzato trainer ginnico/disegnatore di moda tra l'opportunista e l'ottuso. È l'occhio timido, quasi «cavalleresco» di Soderbergh (la cui libertà in questo film si avvicina a quella di Solaris) che scalda a malapena questa fiaba bellissima da guardare e molto fredda.Temperatura decisamente sottozero nel fuori concorso The Informers, diretto dallo stilizzato australiano Gregor Jordan. Nonostante Bret Easton Ellis, autore della sceneggiatura e del libro da cui è tratta, non fosse in sala (a sentire il regista era troppo nervoso per venire) il gelo polare emanato dallo schermo, e dai bellissimi corpi biondo dorati che lo popolavano, ha confermato ancora una volta che Ellis è «il» miglior ritrattista/moralista di certa dissoluzione anni ottanta. Winona Ryder, Billy Bob Thornton, un cattivissimo Mickey Rourke e lo scomparso Brad Renfro (il film è dedicato all'ex teen star) nel cast di questo Short Cuts dei quartieri alti di Los Angeles, con montagne di coca, tutto il sesso che non si vede da Soderbergh, Aids, rock star australiane e tutto il senso di disastro interiore che emana il volto bello e sofferente di Kim Basinger. L'effetto - totalmente anacronistico rispetto all'oggi - è quello di un incantesimo sordido e tristissimo.Strutture frammentate, non lineari (il fantasma di Godard non aleggiava solo intorno a The Girlfriend Experience), film scritti solo sotto forma di canovaccio e semi improvvisati durante le riprese: oltre al maggior numero di titoli «di genere» tra le anteprime (The Informers e Brooklyn's Finest, per esempio - due oggetti di ricerca visiva patinata), un'altra piacevole sorpresa di Sundance 2009 è il numero di titoli in concorso che sfuggono alla tirannia dello script densissimo, ammiccante e strutturalmente tradizionale che, negli anni, sembra essere diventato più o meno «l'estetica» del festival. Diretto da Nicolas Jasenovec, Paper Heart, per esempio, è un ibrido di non fiction, fiction e performance teatrale, costruito intorno alla «comedienne» losangelina Charlene Yi (anche sceneggiatrice), a una serie di interviste sull'amore che conduce un po' dappertutto negli States (per un ipotetico documentario) e ai suoi duetti timidi/comici/dolci con Michael Cera (la buffissima star di Superbad e Juno), che qui interpreta se stesso mentre si innamora di Yi (pettegolezzo vuole che i due siano «fidanzati» anche nella vita reale).Narrativamente avventuroso, arditamente venato di realismo fantastico e di una violenza feroce è Push: Based on the Novel by Sapphire che, come dice il titolo, è tratto dal famoso romanzo della poetessa newyorkese Sapphire (tradotto in Italia, qualche anno fa, da Rizzoli). Anche qui bisogna fare un salto nel tempo, verso gli Eighties, ma la storia è ambientata al polo opposto dell'universo di Bret Easton Ellis - in un temibile complesso di case popolari del Bronx, tra i corridoi di una scuola differenziale, negli uffici squallidi di un'assistente sociale (Mariah Carey) in un ospedale macilento. Ma, più di tutto, nel coraggio (feroce anche quello) della protagonista Precious Jones (l'esordiente Gabourney Sidibe) una liceale, obesa, regolarmente picchiata da sua madre e incinta del secondo figlio di suo papà. Scritto inizialmente per Woody Allen dalla regista francese Sophie Barthes, Cold Souls è invece una commedia acida/surreale su un attore (Paul Giamatti, che interpreta se stesso) che si fa estrarre l'anima perché intralcia una sua performance (Zio Vania). Con il commercio d'anime tra Usa a Russia, il suo protagonista stressatissimo ed iperegocentrico, tanti marchingegni bianchi come quelli di Sleeper, in effetti ricorda molto un «Woody» anni settanta.