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Partigiani sovietici nella Resistenza italiana, ridare vita a una storia dimenticata

Post n°15702 pubblicato il 26 Aprile 2020 da Ladridicinema

Oltre ad aver sconfitto il nazifascismo i sovietici diedero un contributo diretto alla Resistenza italiana.

Sono circa cinque mila i partigiani sovietici che hanno combattuto fianco a fianco con i partigiani italiani, ma delle loro storie e delle loro imprese si conosce ben poco in Italia. Ricordarli oggi, scoprire le loro identità è fondamentale per ridare vita alla memoria e alla verità storica.

In Occidente, Italia compresa, si tende a sminuire il ruolo dell’Unione Sovietica nella vittoria contro la Germania hitleriana e a finire nel dimenticatoio è anche l’impresa dei partigiani sovietici che si sono uniti alla Resistenza italiana. Un capitolo della storia di cui in Italia non si parla.

“Dal recupero dei corpi al recupero della memoria” è il saggio di Anna Roberti, un libro ricostruzione dei nomi e delle storie dei partigiani sovietici caduti in Italia nella lotta al fianco della Resistenza. Ridare un nome e un volto a chi ha combattuto in quegli anni è il modo migliore per trasmettere oggi alle generazioni più giovani l’importanza del ruolo dell’Unione sovietica nella II Guerra mondiale e l’importanza della lotta contro il nazifascismo.

Saggio di Anna Roberti “Dal recupero dei corpi al recupero della memoria”
FORNITA DA ANNA ROBERTI
Saggio di Anna Roberti “Dal recupero dei corpi al recupero della memoria”

Nell’ambito del ciclo dedicato al 75-o anniversario della fine della II Guerra Mondiale Sputnik Italia ha raggiunto per un’intervista Anna Roberti, presidente onorario dell’Associazione RusskijMir, autrice del saggio “Dal recupero dei corpi al recupero della memoria”.

– Anna Roberti, di che cosa parla il suo libro?

– Il messaggio è quello di mantenere viva la memoria dei partigiani sovietici che hanno combattuto in Italia. Di questo argomento se ne sa pochissimo, la maggior parte della gente non ne sa niente. Da 15 anni mi occupo di questo argomento e mi fa sempre piacere parlarne il più possibile in modo che la gente lo sappia. Il libro è la ricostruzione della vita di una novantina di sovietici i cui nomi si trovano al Sacrario della Resistenza al Cimitero Monumentale di Torino. Ho ricostruito la loro storia e la storia di Nicola Grosa, un personaggio di cui si è persa la memoria.

– Chi era Nicola Grosa? Ci parli della sua impresa.

– Era un partigiano italiano che durante la Resistenza aveva già 40 anni e si sentiva un po’ il padre dei giovani partigiani con cui lui combatteva. Nel momento in cui è finita la guerra e tanti di questi giovani erano morti, lui ha deciso di andare in giro per il Piemonte a raccogliere i loro resti, perché tante volte erano stati sepolti sotto una betulla o un castagno. A mani nude ha raccolto circa 900 corpi.Ad un certo punto lui era stato visto come un folle, perché si era messo in testa di raccogliere tutti questi corpi a scopo gratuito. Lui era consigliere comunale a Torino ed era anche presidente dell’ANPI. Il comune di Torino gli dava una macchina e delle cassette, lui partiva e su indicazioni che raccoglieva dai compagni di brigata andava a cercare i resti.

 

Il suo lavoro è particolarmente importante per quanto riguarda i partigiani sovietici perché quando lui ha fatto questo lavoro per tutti gli anni ’50 e ’60, l’ha fatto in maniera molto seria, per cui abbiamo tutti i documenti dei posti dove si è recato. Laddove ci sono dei nomi dei sovietici i cui corpi sono stati raccolti da Grosa siamo sicuri che ci sono anche i loro resti. Dopo la sua morte negli anni ’80 è subentrato il Ministero della Difesa italiano che ha fatto un po’ di casino.

 

– Qual è stato il ruolo dei partigiani sovietici nella Resistenza?

– È stato fondamentale perché sono stati circa 4 mila in tutta Italia. Innanzitutto quando scappavano dai tedeschi scappavano con le armi, poi erano stati addestrati dall’Armata Rossa, quindi erano combattenti che sapevano cosa facevano. Tanti partigiani giovani italiani non se ne intendevano assolutamente. I sovietici sono rimasti fino alla fine con i nostri partigiani, gli altri stranieri invece quando era possibile tornare a casa se ne andavano. Molto preparati, molto coraggiosi, i partigiani sovietici infondevano molto coraggio ai nostri partigiani.

– Il suo libro dà un’identità ai partigiani sovietici in Italia, quale storia vorrebbe citare fra tutte? Che cosa l’ha emozionata di più?

– Sono tante le storie…Diciamo che la cosa più emozionante per me è che partendo da dei nomi segnati in maniera storpiata riesco a risalire all’identità. Unendo tutti i pezzetti, usando documenti russi e italiani, facendo un lavoro certosino sono riuscita a ricostruire la storia di quasi tutti. Alcuni sono ignoti e lì è difficile risalire al nome e alla loro storia.

Ultimamente mi hanno contattato dei nipoti dei partigiani sovietici; sono riusciti a venire in Italia e siamo andati insieme al Sacrario dove ho mostrato loro il posto dove è segnato il nome del nonno. Siamo anche andati in giro per le montagne a Torino dove hanno combattuto. Questa è una cosa che mi fa molto piacere. Si tratta già di 5-6 nipoti.

Vorrei citare il caso dell’unica donna partigiana sovietica il cui nome è indicato a Torino. Si tratta di Tamara Firsova, è morta nelle Marche. Si era sposata con un partigiano italiano ed è morta di setticemia mentre era incinta. Il suo nome era a Torino, ma io ci ho messo tantissimo tempo per capire chi fosse, non risultava che avesse combattuto in Piemonte. Tramite delle persone nelle Marche sono riuscita ad avere anche la sua fotografia. Quando dopo tanti mesi ti occupi di una persona la vedi in fotografia…è un’emozione molto forte. Ridai l’identità, ma anche il volto ad una persona.

Con l’associazione RusskijMir, di cui io sono presidente onoraria, ogni anno organizziamo un piccolo Reggimento Immortale a Torino. Abbiamo stampato le foto proprio di quei partigiani sovietici i cui nomi si trovano a Torino. È stata una grande emozione: vedere un volto, oltre che saperne la storia fa molto a livello emotivo.

– Quanto è importante oggi parlare dei partigiani sovietici della Resistenza?

– È molto importante perché si tende sempre a dimenticare soprattutto del ruolo del popolo russo-sovietico nella II Guerra Mondiale. Possiamo immaginare i motivi anche se sono assurdi. Alcuni storici l’hanno spiegato bene: dopo la fine della II Guerra mondiale il paradigma non è più l’antifascismo, ma l’anticomunismo in Italia. A quel punto si tende a sopravalutare l’aiuto degli alleati angloamericani e non parlare più del contributo sovietico. Questo si vede anche adesso.

 

L’anno scorso hanno coniato una medaglia commemorativa in America sulla vittoria e non hanno messo la bandiera dell’Unione Sovietica! Così come quando hanno commemorato lo sbarco in Normandia: c’era la signora Merkel, ma non c’era Putin. Qualcosa di senza senso.

 

Il contributo del popolo russo-sovietico è stato fondamentale, perché senza la vittoria della battaglia di Stalingrado e senza la resistenza a Leningrado, senza tutto quello che ha sopportato e fatto il popolo russo-sovietico l’Europa non avrebbe vinto contro Hitler. Questa cosa purtroppo non viene ricordata. Bisogna parlarne, sottolineare le verità storica. I 30 milioni di morti vogliono dire qualcosa.

 
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