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È morto Michel Piccoli: aveva 94 anni, da Ferreri a Moretti, ha lavorato con tutti i più grandi

Post n°15706 pubblicato il 19 Maggio 2020 da Ladridicinema
 
Tag: news, STORIA

da corriere.itIl grande attore francese è scomparso il 12 maggio, ma la notizia è stata data il 18

È morto Michel Piccoli: aveva 94 anni, da Ferreri a Moretti, ha lavorato con tutti i più grandi

Con un annuncio all’Agenzia France Press fatto dai suoi familiari, il mondo ha saputo della morte di Michel Piccoli. Aveva 94 anni (il prossimo compleanno sarebbe stato il 27 dicembre) e se ne è andato dopo aver interpretato 233 film. Così almeno testimoniano i certosini compilatori dell’International Movie Data Base in un elenco dove brillano alcuni dei più grandi registi della storia del cinema, da Buñuel a Godard, da Ferreri a Hitchcock, da Sautet a Moretti, da Rivette a Manoel de Oliveira.

 

Era nato a Parigi nel 1925 in una colta famiglia borghese di origini italiane, da due genitori entrambi musicisti. Lui invece aveva scelto molto presto la carriera d’attore, riuscendo ad entrare nella compagnia di Jean-Louis Barrault e Madeleine Renaud. Per il suo primo film, Silenziosa minaccia di Christian-Jaque (1945) il suo nome non era neppure citato nei titoli e per molti anni dovette accontentarsi di ruoli di secondo e anche terzo piano. Erano gli anni Cinquanta e al cinema spopolavano attori capaci di «bucare lo schermo» con il fascino o lo charme. Non erano quelle le qualità più evidenti di Piccoli che dovette aspettare che tramontassero quegli ideali maschili (quelli incarnati da Gérard Philippe o da Jean Gabin, per intenderci) perché le sue qualità di interprete, basate su una ironia fredda e distaccata, su un fascino enigmatico e stravagante potessero essere pienamente apprezzate.

 

 

Il primo ad accorgersene fu Luis Buñuel che nel 1956 lo volle nel ruolo di uno missionario anticonvenzionale in La selva dei dannati. Poi sarà la volta dei registi della Nouvelle Vague che vedranno il lui l’attore perfetto per ruoli fuori dalle norme e dalle convenzioni, come lo sceneggiatore di Il disprezzo di Jean-Luc Godard (1963), lo scrittore di Les Créatures di Agnès Varda (1966), il mite Monsieur Dame di Les Demoiselle de Rochefort di Jacques Demy (1967, dove fatica a convincere la bella Daniel Darrieux a sposarlo perché lei non vuole chiamarsi Madame Dame). E mentre continua il sodalizio con Buñuel, cui lo legherà una lunga amicizia (Diario di una cameriera nel 1963, Bella di giorno nel 1967 e poi Il fascino discreto della borghesia nel 19782) Piccoli viene «scoperto» anche dal grande cinema internazionale, chiamato nel kolossal Parigi Brucia? (1966) e poi da Hitchcock per Topaz (1969).

Ma negli anni Settanta è Marco Ferreri a sfruttare meglio la sua arte, affidandogli i ruoli che l’hanno imposto nella memoria dello spettatore, almeno italiano: il borghese annoiato di Dillinger è morto (1969) il sacerdote postconciliare e arrivista di L’udienza (1972) e soprattutto il regista televisivo di La grande abbuffata (1973), tutti ruoli (cui vanno aggiunte parti meno significative in La cagna e L’ultima donna) dove l’attore può dimostrare la sua straordinaria capacità interpretativa, sempre sul filo di un disperato cinismo e una compiaciuta vena di controllata follia. Ormai entrato nel novero dei grandi attori su cui si può «montare» un film, Michel Piccoli è il protagonista di Life size – Grandezza naturale (1973) di Luis García Berlanga (dove è un dentista di successo che si innamora di una bambola gonfiabile).

Claude Sautet lo vuole per L’amante(1970) poi Il commissario Pellissier (1971) e Tre amici, le mogli e, affettuosamente, le altre (1974), Marco Bellocchio lo sceglie per Salto nel vuoto (1980, con cui vince la Palma d’Oro a Cannes per la miglior interpretazione) e poi Gli occhi, la bocca (1982), Liliana Cavani per Oltre la porta (1982), Léos Carax per Rosso sangue (1982). L’età non sembra fermare la sua carriera: Louis Malle lo vuole per Milou a maggio (1990), Jacques Rivette per La bella scontrosa (1991), Peter Del Monte per Compagna di viaggio (1996), Manoel de Oliveira per lo straordinario Ritorno a casa (2001) dove sa rendere con struggente intensità il ruolo di un vecchio attore alle prese con l’inevitabile distacco dalle cose terrene, Raul Ruiz per Ce jour-là (2003). Fino al suo ultimo trionfo, Habermus Papam (2011) di Nanni Moretti, dove è il cardinale francese che eletto al soglio pontificio non ha il coraggio di presentarsi sul balcone di San Pietro.

 
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