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« Il ricordo del comandant...A Ennio Morricone »

Il ricordo del comandante Gallo... assoluto protagonista, anzi principale; della resistenza (3a parte)

Post n°15733 pubblicato il 27 Maggio 2020 da Ladridicinema

A conclusione di quella sessione, il CC e la CCC del nostro partito approvavano una risoluzione nella quale il valore permanente dell’unità antifascista veniva così sottolineato: «La lotta e la vittoria contro il governo Tambroni dimostrano che, al di sopra di ogni divergenza programmatica e politica, c’è un terreno comune per tutti i partiti usciti dalla lunga lotta antifascista e dalla guerra di liberazione: il terreno delle fondamentali norme costituzionali e della legalità democratica. Quando l’acutizzarsi della situazione e l’attacco reazionario pongono in discussione problemi di fondo, quando sono in gioco i grandi problemi dell’avvenire del paese, la coscienza unitaria delle masse ha ragione di ogni divergenza pure esistente».

Ma un altro grande ed importante fatto nuovo era emerso nella lotta contro il governo Tambroni: la nascita di una nuova Resistenza, espressa da una accesa rivolta di giovani e giovanissimi contro l’autoritarismo, l’ingiustizia, i privilegi ed il paternalismo.

Un ammonimento viene a tutti — rilevavo nello stesso rapporto del luglio ‘6o — dalla «larga, decisa, ardita partecipazione alle manifestazioni di queste settimane, di tanti giovani e giovanissimi, al di fuori di ogni organizzazione e influenza politica determinata. Anzi, molti di questi giovani hanno tenuto a far sapere una loro non nascosta sfiducia verso i dirigenti di tutti i partiti. Essi li accusano di non conoscere le reali condizioni di vita, i loro sentimenti, i loro bisogni, di non partecipare abbastanza alle loro sofferenze e alle loro aspirazioni.

Giovani lavoratori, giovani studenti, giovani garzoni di bottega, giovani in cerca ancora di prima occupazione, sono tormentati, agitati da una profonda insoddisfazione per il loro stato. Essi hanno trovato nei valori ideali e sociali della Resistenza — riagitati potentemente negli ultimi tempi — una adeguata risposta al loro bisogno di moralità, di rinnovamento, di prospettive. Sotto l’impulso della vecchia Resistenza è nata, per così dire, una nuova Resistenza: resistenza all’immoralità, alla corruzione, ai soprusi clericali, allo sfruttamento, alla ingiustizia sociale, alle condizioni di arretratezza civile, cui il sistema padronale clericale obbliga le nuove generazioni.

La vecchia e la nuova Resistenza — concludevo — si ritrovano, in uno slancio comune contro ogni residuo fascista, contro ogni prepotenza poliziesca, contro ogni involuzione reazionaria e clericale dei gruppi dirigenti. Esse vogliono una politica di progresso civile e sociale, di dignità nazionale e di pace, come sta scritto nella Costituzione».

Mi pare che questo sia un momento nodale, di svolta, dal quale non si può prescindere se si vogliono comprendere pienamente i processi unitari che si sviluppano e costituiscono la nota dominante nel periodo compreso tra la fine degli anni ‘6o e i nostri giorni.

È un fatto che la grande riscossa antifascista unitaria del ‘6o prepara quella operaia degli anni ’68-69; contiene in sé i fermenti delle lotte studentesche e giovanili e della partecipazione sempre estesa e combattiva delle masse femminili a tutte le lotte democratiche nelle quali le donne portano l’antica sete di emancipazione, rivendicando un ruolo adeguato in una società nuova, più libera, più giusta e progredita.

Una nuova unità operaia, popolare, democratica e antifascista crescerà e si consoliderà in questi ultimi anni sulla base delle grandi lotte di massa e delle importanti conquiste realizzate attraverso queste lotte. Cresce il peso dei lavoratori, nuovo spazio viene conquistato alla partecipazione democratica delle masse popolari, si estende, pressante e generale, la richiesta di profonde riforme indispensabili per affrontare i problemi sempre più gravi e complessi che, da un lato, sono il portato della politica conservatrice attuata dalla Dc, e, dall’altro, derivano dallo stesso sviluppo del paese avvenuto in forme disordinate e con drammatici squilibri. Sono questi processi a mettere sempre più in difficoltà e, infine, a fare esplodere la crisi della politica dei governi di centro sinistra.

La dominante unitaria di questi processi contesta e mette in crisi quello che è un elemento permanente, un cardine della politica democristiana: la discriminazione pregiudiziale, la preclusione nei confronti del partito comunista. Di fatto si tratta del tentativo ostinato di precludere, col pretesto dell’anticomunismo, l’accesso alla direzione politica del paese delle masse lavoratrici che, per tanta parte, sono rappresentate dal Pci e di cui il nostro partito esprime istanze, bisogni e porta avanti positive proposte.

Il tentativo ostinato dei dirigenti democristiani di eludere le spinte nuove del paese, di ignorare i problemi nuovi che sorgono da queste spinte e che esigono di essere affrontati con una politica nuova, con nuovi metodi di governo, con l’apporto di nuove forze, finisce per esasperare e approfondire la crisi che in ogni campo travaglia il paese.

Come uscire da questa crisi? Le nostre prese di posizione di questi anni insistono su una indicazione di fondo: per affrontare la crisi italiana, per avviarla a sbocchi positivi, occorre tornare — nelle nuove condizioni di oggi — sulla strada maestra indicata dalla Resistenza, sulla via, cioè, del confronto aperto, delle intese e di un lavoro comune delle grandi componenti popolari — comunista, socialista, cattolica — che furono il nerbo della lotta per riconquistare la libertà e l’indipendenza della patria.

Ecco, una grande idea, un grande obiettivo che viene proposto ai giovani in occasione del ventennale della liberazione. Una generazione imbracciò le armi contro il nazifascismo perché in Italia sorgesse una nuova società libera e giusta; le forze del passato hanno fatto blocco per ricacciare indietro il paese; alla nuova generazione il compito di portare avanti la rivoluzione democratica e antifascista.

Ma per far fronte a questo grande compito è anche indispensabile tradurre nell’azione, nel lavoro, nell’impegno di tutti i giorni gli insegnamenti della Resistenza. Da qui un maggiore approfondimento, cui abbiamo cercato di contribuire, nell’analisi di ciò che fu la Resistenza, della collocazione e del ruolo che nel seno stesso della Resistenza ebbero le sue diverse componenti, dei non facili rapporti tra queste componenti e della nostra costante ricerca dell’unità che fu alla base di questa vivace dialettica.

Del 2 giugno 1969 è l’invito rivolto a tutte le forze democratiche e antifasciste ad una riflessione, ad una comune assunzione di responsabilità per attuare integralmente, sulla base dei problemi concreti delle masse popolari e del paese, i contenuti e gli obiettivi della Costituzione, il cui svuotamento e insabbiamento è la costante del ventennale regime democristiano. Si pone il problema di rinnovare e di rispettare il patto unitario che, in sostanza, presiedette alla nascita della repubblica e al varo della Costituzione.

E’ chiaro, tuttavia, che nuove e più vaste lotte unitarie saranno necessarie per raggiungere questo obiettivo. In effetti una realtà nuova e matura emerge nel paese: dalla forza, dalla combattività, dall’unità del movimento operaio nelle lotte per una politica di riforme e di programmazione economica; dalle vigorose risposte di decine di milioni di democratici e antifascisti alle sanguinose sfide della destra; dalla volontà dei cittadini, dei giovani, delle donne di partecipare alla gestione e al controllo della vita pubblica; da una rete sempre più forte e ricca di organismi democratici unitari; dall’intervento nelle lotte democratiche e antifasciste di vasti e nuovi settori di intellettuali.

Da questa realtà nuova che emerge e che si manifesta con un peso sempre più grande, vengono duri colpi alla teorizzazione e alla pratica dell’anticomunismo. Sempre più ampio è il riconoscimento della funzione decisiva del Pci come grande forza operaia, popolare e democratica, garante delle istituzioni democratiche, e fattore determinante di una politica di rinnovamento e di risanamento della società e dello Stato.

Ma proprio contro questa realtà, ancora una volta per bloccarla, per ricacciare indietro il paese, si muovono su tutti i piani forze consistenti, giocando non solo la carta dello scontro frontale ma anche quella della provocazione sanguinosa e dell’avventura.

Di fronte al dispiegarsi della strategia della tensione e della provocazione, al moltiplicarsi delle stragi e dei crimini fascisti, volti a creare un clima di terrore e di caos ed a giustificare avventure autoritarie, le nostre indicazioni, proposte, richieste muovono nel grande solco della più ampia unità antifascista. Questa e non altra è la via per garantire che qualsiasi attacco alle istituzioni democratiche sarà sconfitto, per isolare e colpire i responsabili, i complici ed i mandanti dei crimini fascisti.

Si tratta, anzitutto, di lottare tenacemente per esigere che i pubblici poteri, preposti alla difesa delle istituzioni, facciano il loro dovere, stroncando la criminalità fascista. Si tratta di far luce sui tanti punti oscuri che costellano le indagini sulle delittuose trame fasciste e sui complotti eversivi venuti alla luce. Al tempo stesso non si può passare un colpo di spugna sulle gravi responsabilità che la Dc si è assunta con la sua politica, col suo modo di governare, che hanno consentito e persino incoraggiato le reviviscenze fasciste e altolocate protezioni e complicità nei confronti dei fascisti. I dirigenti democristiani che cercano di trar partito dalla teoria degli «opposti estremismi» devono invece spiegare al popolo italiano perché a trent’anni dalla liberazione è possibile l’esistenza di una trama fascista la quale osa attentare alle istituzioni democratiche e continua a spargere sangue innocente.

È un fatto che, imperando la legge dell’anticomunismo, è stata tollerata e resa possibile l’infiltrazione della destra fascista anche nei gangli più delicati dello Stato, se è vero come è vero che ammiragli italiani in prestito alla Nato e generali in servizio effettivo sono apparsi impigliati nella «trama nera» o sono usciti allo scoperto accanto ai caporioni del partito neofascista.

Nel paese è sorto uno schieramento vastissimo che isola il fascismo e dimostra che l’Italia del ’22 non potrà tornare più. Ma questo non basta. E’ necessaria una mobilitazione, una lotta, una pressione costante e incisiva, per mutare profondamente la situazione. Occorre liquidare l’anticomunismo che è stato alla base della degenerazione antidemocratica. Se non si supera il punto morto al quale i dirigenti democristiani hanno portato la direzione del paese si dà spazio alla reazione e alla destra. In primo luogo, alle forze democratiche antifasciste cattoliche chiediamo di contribuire a creare una situazione nuova, nella quale pesi e incida di più la grande forza unitaria dei lavoratori, dello schieramento democratico e antifascista.

Il voto del 15 giugno 1975 ha confermato quanto siano profonde e salde le radici che l’antifascismo e gli ideali progressivi della Resistenza hanno messo nella coscienza del nostro popolo.

La grande avanzata elettorale del Pci, la più grande che il nostro partito abbia realizzato dal 1946 in poi, «è stata ottenuta — come ha sottolineato una risoluzione della direzione — grazie ad una impostazione politica che ha le sue origini lontane per la repubblica e la Costituzione». Questa linea, confermata e sviluppata dal XIV Congresso nazionale del Pci, «fa della ricerca dell’unità tra tutte le forze democratiche e popolari la questione centrale per il superamento della crisi profonda che attraversa l’Italia e per l’avvio e la realizzazione, nella democrazia, delle necessarie trasformazioni economiche, sociali e politiche».

Su questa linea il nostro popolo è andato avanti, ha rinsaldato la sua unità, ha conquistato nuovi spazi democratici e li ha consolidati per affrontare le nuove battaglie sempre più forte e unito. Su questa linea, sulla linea della Resistenza, possiamo essere certi che il popolo italiano potrà costruire un migliore avvenire.

«Ora — diceva il compagno Togliatti al IX Congresso del nostro partito, sottolineando il carattere di “rivoluzione democratica” avuto dalla Resistenza — si tratta di riprendere l’opera e di condurla a termine ed esistono già, tra le forze che ebbero una parte nella Resistenza ed abbatterono il fascismo, legami tali, storicamente e politicamente non sopprimibili, che consentono di considerare non solo necessario ma possibile che a quest’opera ed al suo coronamento esse diano tutta la loro collaborazione. Lo spirito, il programma, le tradizioni dell’antifascismo, la grande esperienza positiva delle sue lotte e delle sue vittorie sono un faro che deve guidare tutta la nostra azione».

Luigi Longo, introduzione al libro Chi ha tradito la Resistenza, Editori Riuniti, Roma, 1975

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