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Messaggi del 04/03/2016

 

Room

Post n°13065 pubblicato il 04 Marzo 2016 da Ladridicinema
 

Poster

Room racconta la straordinaria storia di Jack, un bambino vivace di 5 anni che viene accudito dalla sua amorevole e devota Ma' (Brie Larson, vincitrice dell'Oscar 2016 come migliore attrice protagonista). Come ogni buona madre, Ma' fa di tutto affinché Jack sia felice ed al sicuro, ricoprendolo d'amore e calore e passando il tempo a giocare e raccontare storie. La loro vita però, è tutt'altro che normale - sono intrappolati- confinati in uno spazio senza finestre di 3 metri x 3, che Ma' eufemisticamente chiama "Stanza". All'interno di questo ambiente Ma' crea un intero universo per Jack, e fa qualsiasi cosa per garantire al figlioletto una vita normale ed appagante anche in un luogo così infido. Ma di fronte ai crescenti interrogativi di Jack circa la loro situazione, e la ormai debole resistenza di Ma', decidono mettere in atto un piano di fuga molto rischioso, che potrebbe metterli però di fronte ad una realtà ancora più spaventosa: il mondo reale.

NOTE:

Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2015.
Premio Oscar 2016 come miglior attrice protagonista a Brie Larson.

 

SOGGETTO:

Basato sul premiato bestseller di Emma Donoghue che è anche sceneggiatrice del film.

 
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Film nelle sale da ieri

Post n°13064 pubblicato il 04 Marzo 2016 da Ladridicinema
 

Locandina: Human
Human
Human
  • DATA USCITA: 29/02/2016
  • GENERE: Documentario
  • NAZIONALITA': Francia
  • ANNO: 2015
  • REGIA: Yann Arthus-Bertrand
  • CAST:

Locandina: Astrosamantha
Astrosamantha
Astrosamantha
  • DATA USCITA: 01/03/2016
  • GENERE: Documentario
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Gianluca Cerasola
  • CAST:

Locandina: Attacco al potere 2
Attacco al potere 2
London Has Fallen
  • DATA USCITA: 03/03/2016
  • GENERE: Azione, Thriller
  • NAZIONALITA': USA
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Babak Najafi
  • CAST: Gerard Butler, Morgan Freeman, Aaron Eckhart

Locandina: Legend
Legend
Legend
  • DATA USCITA: 03/03/2016
  • GENERE: Thriller, Drammatico
  • NAZIONALITA': Gran Bretagna
  • ANNO: 2015
  • REGIA: Brian Helgeland
  • CAST: Tom Hardy, Taron Egerton, Emily Browning

Locandina: Marie Heurtin - dal buio alla luce
Marie Heurtin - dal buio alla luce
Marie Heurtin
  • DATA USCITA: 03/03/2016
  • GENERE: Biografico
  • NAZIONALITA': Francia
  • ANNO: 2014
  • REGIA: Jean-Pierre Améris
  • CAST: Isabelle Carré, Ariana Rivoire, Brigitte Catillon

Locandina: Mi rifaccio il trullo
Mi rifaccio il trullo
Mi rifaccio il trullo
  • DATA USCITA: 03/03/2016
  • GENERE: Commedia
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Vito Cea
  • CAST: Uccio De Santis, Lorena Cacciatore, Pietro Genuardi

Locandina: Pedro - Galletto coraggioso
Pedro - Galletto coraggioso
Un gallo con muchos huevos
  • DATA USCITA: 03/03/2016
  • GENERE: Animazione
  • NAZIONALITA': Messico
  • ANNO: 2015
  • REGIA: Gabriel Riva Palacio Alatriste, Rodolfo Riva-Palacio Alatriste
  • CAST:

Locandina: Regali da uno sconosciuto - The Gift
Regali da uno sconosciuto - The Gift
The Gift
  • DATA USCITA: 03/03/2016
  • GENERE: Thriller
  • NAZIONALITA': Australia, USA
  • ANNO: 2015
  • REGIA: Joel Edgerton
  • CAST: Jason Bateman, Rebecca Hall, Joel Edgerton

Locandina: Room
Room
Room
  • DATA USCITA: 03/03/2016
  • GENERE: Drammatico
  • NAZIONALITA': Irlanda
  • ANNO: 2015
  • REGIA: Lenny Abrahamson
  • CAST: Brie Larson, Jacob Tremblay, William H. Macy

Locandina: Suffragette
Suffragette
Suffragette
  • DATA USCITA: 03/03/2016
  • GENERE: Drammatico
  • NAZIONALITA': Gran Bretagna
  • ANNO: 2015
  • REGIA: Sarah Gavron
  • CAST: Carey Mulligan, Helena Bonham Carter, Meryl Streep

Locandina: Urge
Urge
Urge

  • DATA USCITA: 03/03/2016
  • GENERE: Commedia
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Riccardo Rodolfi
  • CAST: Alessandro Bergonzoni

 
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Confusi e felici

Post n°13063 pubblicato il 04 Marzo 2016 da Ladridicinema
 


Marcello è uno psicanalista che esercita senza vocazione in uno studio di Roma. Cinico e svogliato, assiste una messe di pazienti sull'orlo di una crisi di nervi. Nazareno è un pusher di borgata che soffre di attacchi di panico e ha un figlio in arrivo, Pasquale ha quarant'anni e una dipendenza dalla madre e dai carboidrati, Vitaliana è una ninfomane che vorrebbe realizzare i suoi sogni erotici, Betta e Enrico sono una coppia in debito di sesso e di passione, Michelangelo ha un problema a gestire la sua rabbia e il tradimento della moglie con un tedesco. Congedati improvvisamente da Marcello, che ha scoperto di soffrire di una rara malattia agli occhi, i suoi pazienti decidono di aprirgli gli occhi sul mondo. A guidarli appassionata c'è Silvia, fedele segretaria di Marcello che lo accompagnerà nel suo percorso di rinascita.
Da qualche tempo è lui, Massimiliano Bruno, il signore indiscusso della monocommedia all'italiana. Attore, autore, commediografo, sceneggiatore, Bruno è il frontman di un cinema medio che alla maniera della sua attività teatrale ha ambientazione e spirito romanesco. Capace di rendere più commerciali e appetibili anche i temi più respingenti, Bruno ha sceneggiato pure il film di Rolando Ravello (Tutti contro tutti), il regista romano ha imposto il suo marchio e le sue modalità in miracoloso equilibrio tra moderazione e trivialità, ambiguità e ambizione morale.
Dopo il successo di Nessuno mi può giudicare e Viva l'Italia realizza una nuova commedia corale con vecchi ingredienti e un ensemble di attori condotti neanche a dirlo da Claudio Bisio. Abile a tracciare figure minori e secondarie, anche questa volta Bruno si avvale di un cast efficace che finisce per disorientare davvero lo psicanalista di Bisio. Raffinato interprete teatrale e incisivo presentat(t)ore televisivo, Claudio Bisio ha perso sensibilità e stile nel tempo, quello del cinema di cui è interprete irriducibile da circa un decennio. Protagonista della nuova commedia italiana, benvenuta a nord e a sud, Claudio Bisio è oscurato dai pazienti di Marco Giallini e Rocco Papaleo e dalla segretaria 'intonata' di Anna Foglietta, volti e corpi codificati nei ruoli e che si vorrebbe invece smarcati da identità attoriali troppo segnate. Confusi e felici, storia di un uomo che impara a vedere diventando cieco, plasma in modo diverso l'ovvio e sposta molto poco, risolvendo con soluzioni e soluzione prevedibili. La condizione psicologica, richiamata dal titolo e incarnata dagli interpreti, rientra molto presto tra gag e sentimentalismi borgatari, 'imbarcati' su autobus e assediati da un product placement sfacciato. Con un occhio al Caruso Pascoski diFrancesco Nuti, di cui Confusi e felici riproduce l'avvicendamento dei pazienti nello studio di psicanalisi, e l'altro al botteghino, Massimiliano Bruno scrive, dirige e interpreta una commedia fiacca e poco preoccupata di inquadrare storicamente (e criticamente) il disagio esistenziale dei suoi personaggi. Privo di rabbia, se non quella incontrollata del telecronista di Papaleo, e di consapevolezza della realtà, Confusi e felici è l'ennesima commedia confortante e confortata da momenti svenevoli e musica italiana, qui addirittura incarnata da Daniele Silvestri, Max Gazzè e Niccolò Fabi, in modalità serenata ed edulcorata sotto il balcone di una periferia fiabesca.

 
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Super fast e super furious

Post n°13062 pubblicato il 04 Marzo 2016 da Ladridicinema
 

Locandina Superfast, Superfurious

Lucas White è un poliziotto infiltrato nel giro delle corse clandestine: ha messo gli occhi su Vin Serento (in italiano tradotto con Torello), per poter arrivare a incastrare il boss Juan Calos de la Sol. Tra Lucas e Vin nasce una sincera amicizia e i due uniranno le proprie forze contro le gang e la polizia che li inseguono senza mai raggiungerli.
L'esposizione al ridicolo di un franchise come Fast and Furious è insita nello spirito stesso dell'operazione. Una serie di film basata sull'eccesso e sull'ostentazione di muscoli, cromature e curve femminili è destinata fatalmente a generare parodie che possano ricamarci su, tra una strizzata d'occhio e l'altra alla matrice originaria. E così, con una puntualità da ragionieri, ecco arrivare la premiata ditta Friedberg & Seltzer (Epic Movie3ciento) con Superfast, Superfurious, uno spoof che fa quasi da volano per il settimo episodio della serie, il fatidico capitolo postumo con le ultime gesta su grande schermo di Paul Walker. 
Una produzione girata in fretta e sceneggiata ancor più approssimativamente, con un budget da Z-movie, forse proprio per arrivare in tempo per la coincidenza con l'evento di FF7: una realizzazione così evidentemente raffazzonata da poter quasi meritare la firma di Alan Smithee. Il fatto che Jason Friedberg e Aaron Seltzer appongano i propri nomi in calce all'opera dimostra il loro (coraggioso?) disinteresse nel tutelare una qualsivoglia forma di reputazione autoriale, che probabilmente non si costruiranno mai, nemmeno in un'epoca di sdoganamento coatto di tutto ciò che sia trash. 
Come e più che nelle precedenti parodie del duo, la fonte di ispirazione principale è la tecnica della ZAZ, ossia Zucker-Abrahams-Zucker, e in particolare deUna pallottola spuntata, madre di ogni spoof su polizieschi e action movie. Inventarsi nuove situazioni comiche su temi usurati come l'incapacità dei poliziotti o il nonsense dei loro rituali, sulle sagome tracciate in caso di omicidio o gli scarsi stipendi di fronte a una prospettiva di corruzione è un compito impossibile, che richiede una vis comica di livello troppo superiore rispetto alle capacità di Friedberg e Seltzer. Che infatti preferiscono adeguarsi al canone e riproporre per chi ha scarsa memoria, così come per le gag metacinematografiche sulla prevedibilità della colonna sonora o del casting dei film di genere, che prevede la presenza obbligata di un Rapper Cameo, un Asiatico Fico e una Modella Aspirante Attrice. Il paradosso è che l'inquadratura della modella, usata per ridicolizzare le scelte di sceneggiatura degli action, finisca per tornare nel film tante, troppe volte, in un riciclo continuo: sottile ironia sul riutilizzo insensato degli stessi stilemi o spia rossa di budget terminato? Difficile propendere per la prima ipotesi, anche per il più inguaribile degli ottimisti. 
Nel mare magnum di stanche riproposizioni l'unico tema che presenta una blanda forma di originalità e attualità riguarda i social network e il loro utilizzo insensato, ideale per ridicolizzare i villain del film. Ma anche per il target più accondiscendente resta molto meno del minimo richiesto per attribuire una qualunque forma di interesse alla più inutile delle parodie fin qui realizzate su un franchise di successo. 
Il film è uscito in Italia in prima mondiale, un mese prima del suo debutto negli Stati Uniti.

 
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Spy

Post n°13061 pubblicato il 04 Marzo 2016 da Ladridicinema
 

Locandina Spy

Susan Cooper, agente della CIA senza licenza di uccidere, è relegata dietro alla scrivania da un machismo duro a morire. Analista brillante, Susan 'teleguida' gli agenti su campo da un ufficio underground infestato da ratti e pipistrelli. Innamorata di Bradley Fine, agente charmant che abusa del suo ascendente, Susan fatica a trovare il suo posto nel mondo. Intelligente e competente, è minata da un'insicurezza atavica che affonda le radici nella relazione materna. La morte improvvisa di Fine, per mano della perfida Rayna Boyanov, boss in capi sinuosi ossessionata dai suoi capelli e decisa a vendere un ordigno nucleare a un pericoloso criminale, vince le sue resistenze. Ma la vita fuori dal bureau si rivela presto vorticosa e complessa, a complicarla poi intervengono un agente dimissionario dall'ego ipertrofico e un agente 'italiano' col vizio del palpeggiamento. Arruolata per monitorare senza avvicinare il suo bersaglio, Susan finirà per confrontarsi con Rayna in un casinò di Roma, innescando un'operazione che la vedrà indiscussa protagonista sotto improbabili parrucche e deprezzanti coperture. 
Paul Feig insiste, le donne fanno ridere come gli uomini e come loro seducono il pubblico in sala. Dopo Le amiche della sposa eCorpi da reato e prima del suo Ghostbusters con un cast tutto femminile, il regista americano cresciuto all'ombra di Judd Apatowprosegue il processo di femminilizzazione della commedia d'azione e realizza una versione 'femminista' di James Bond. Al centro della sua missione impossibile c'è Melissa McCarthy, di cui intuisce presto il talento oversize offrendole un ruolo 'a misura' ne Le amiche della sposa. Corpo in esubero che trasforma l'eccesso in espressione artistica, Melissa interpreta un'analista della CIA affrancata dalla scrivania e precipitata nell'azione accanto a un superlativo Jason Statham, che dispiega tutta la sua energia comica nei panni di un collega fanatico e irriducibilmente misogino che boicotterà puntualmente le sue operazioni. 
Con Le amiche della sposa, Feig aveva dimostrato che l'avvenire della commedia americana, seppellita sotto le sue macerie, passava attraverso le donne.Spy riformula il concetto con evidenza, promuovendo la protagonista da assistente di agenti, narcisi e stilosi come il Fine di Jude Law, a spia dentro un film di spionaggio con nuance comiche. Feig elude la parodia e sposa azione e commedia grazie ai 'tempi' della McCarthy, credibile nel ruolo di agente e dotata della sua abituale attitudine caustica. Piena di un umorismo straripante e di una comicità iperbolica che non teme il confronto sullo schermo col tipo fisico perfetto, in Spy la radiosa e 'inarticolata' Rose Byrne, la McCarthy ha fatto pratica negli stand-up comedy e superato il senso di inadeguatezza incentivato da colleghe sottili e dai paradigmi hollywoodiani. Infiltrata nell'azione dietro a un travestimento ingrato, Susan Cooper si rivela un genio, un prodigio che lei stessa ignora e sminuisce costantemente. Capace più di uno specchio di afferrarne l'immagine, Feig intende il suo valore e lo rivendica in un film che a sua volta ripara uno squilibrio di genere, converte i codici della spy story in analisi comica, smaschera il sessismo nei luoghi di lavoro e la condiscendenza paternalista con la quale vengono assegnati alle donne ruoli subalterni. 
Adottando la forma della commedia popolare, Feig ribadisce la sua passione per gli outsiders con cui ridiamo ma di cui non ridiamo. A essere ridicolizzato è piuttosto l'eroismo trionfante, ipercinetico e virile di Jason Statham, meglio, dei personaggi incarnati dall'attore. Feig avvalora l'outsider, gli restituisce le sue competenze, gli garantisce spazio, campo d'azione e riscatto. Perché se nessuno corre al cinema come Tom Cruise, potete giurarci che nessuno stramazza a terra come Melissa McCarthy, una caduta che fa pouf, un tracollo esemplare che produce un suono sordo, una capitolazione che abbraccia il principio di gravità e fa di un chilo di piombo un chilo di piume. Perché la massa di un (s)oggetto non ha alcun peso sulla sua qualità e sulla velocità di collasso verso il suolo.

 
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Appuntamento a Belleville

Post n°13060 pubblicato il 04 Marzo 2016 da Ladridicinema
 

Locandina Appuntamento a Belleville

Champion è un bambino orfano che ricorda i genitori scomparsi attraverso una fotografia che li ritrae in bicicletta, e da quella foto nasce l'unica cosa che gli dia gioia: pedalare. Quando Madame Souza, nonna e tutrice del bambino, scopre questa passione, gli regala un triciclo e diviene sua infaticabile allenatrice. Passano gli anni e Champion è pronto per entrare nella leggenda: correre - e magari vincere - il Tour de France. Madame Souza e il fedele cane Bruno gli danno il ritmo della scalata più difficile dal tettuccio del furgoncino del Pronto Soccorso, ma qualcosa va storto. Champion cede alla stanchezza e, assieme ad altri due partecipanti crollati, viene rapito da due loschi figuri e portato oltreoceano, nella megalopoli chiamata Belleville. Madame Souza e Bruno non si danno per vinti e si mettono sulle sue tracce: randagi e perduti nell'enorme città straniera, i due si imbattono in un trio di vecchiette piuttosto bizzarre che danno loro ospitalità. Le tre assurde megere sono delle vecchie glorie della rivista, il trio canterino "Le triplettes de Belleville": Madame Souza riscopre il suo talento per la musica e si unisce a loro nelle serate musicali che tengono in giro per i ristoranti di Belleville, ed è proprio in una di queste serate che Bruno ritrova le tracce di Champion...

Trionfale a Cannes, Appuntamento a Belleville ha inoltre collezionato il massimo riconoscimento per il cinema d'animazione, vincendo il prestigioso festival di Annecy. E indubbiamente Belleville è un film molto al di sopra della media dei film d'animazione dei nostri giorni. Chomet viene dai fumetti e lo testimonia la cura del disegno, che è strabiliante lungo tutto il film - e non a caso gli ci sono voluti cinque anni per realizzarlo. Il film è ricco di citazioni e di trovate geniali, di momenti spassosi e di personaggi memorabili: le tre megere che pescano rane con le bombe a mano, Madame Souza che cerca di rinverdire le sue origini portoghesi al pianoforte ma scopre di essere un talento naturale per la sperimentazione rumorista, e soprattutto Bruno. Paradossalmente è proprio questa specie di bracco dal ventre gonfio il personaggio meglio caratterizzato del film, soprattutto attraverso la messa in scena dei suoi sogni: incubi in bianco e nero a dir poco memorabili e che faranno certamente riflettere quanti hanno un amico a quattro a zampe e si siano mai domandati cosa sognino i loro cani. 
Ma nella bella caratterizzazione di Bruno c'è anche tutto il limite di Appuntamento a Belleville: perché purtroppo gli altri personaggi risultano alla fine solo abbozzati, e le relazioni tra loro al limite dell'inesistente. Champion in particolare, dopo esserci stato introdotto quale protagonista, si perde nel nulla e diviene un'ombra indistinta. Così tutti gli altri, dai malavitosi alle Triplettes, sono personaggi che non lasciano il segno: certo originali, certo caricaturali e grotteschi, ma psicologicamente trasparenti. 
Il film è certamente meritevole di ogni lode, per la raffinatezza estetica e per la sua genuinità artistica, ma nell'inseguire citazioni e risvolti "nonsense" perde in ritmo e freschezza, e infatti per tutti gli 80 scarni minuti di Appuntamento a Belleville si ha la sensazione di assistere ad una gigantesca masturbazione intellettuale di un autore che non ha niente di preciso da argomentare. Dunque, le ipotesi sono tre: se il film è una prova di stile, allora è semplicemente superbo; se il film è la storia del cane Bruno, allora è un film acuto ed esilarante, ma non si capisce perché mettere tanti comprimari; se invece il film è la storia di un ragazzo che voleva vincere il Tour de France e di sua nonna che lo allenava, allora deve essere finita la pellicola e Chomet ha potuto girare solo il primo tempo.
In ogni caso speriamo che Appuntamento a Belleville rappresenti un momento di rinascita di certo cinema di animazione: che la smetta di confezionarsi da "cinema per bambini" quando per bambini non è e che abbia il coraggio di presentarsi come cinema adulto e per adulti, di cui Belleville è un bellissimo esempio.

 
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BATMAN V SUPERMAN: ZACK SNYDER SPIEGA PERCHÉ SUPERMAN NON VINCERÀ PIÙ da movieplayer

Post n°13059 pubblicato il 04 Marzo 2016 da Ladridicinema
 

Visionando i trailer di Batman v Superman: Dawn of Justice è chiaro a tutti che il film riprende alcuni dei temi critici toccati in L'uomo d'acciaio. La distruzione di Metropolis sarà uno dei punti chiave del film e Superman sarà costretto, nonostante la percezione di eroe che lo circonda, a rispondere dell'accaduto.

Parlando del trattamento riservato al suo eroe, il regista Zack Snyder rivela che la critica nei confronti del personaggio non è limitata ai cittadini di Metropolis, ma il mondo intero si rivolterà contro di lui. Questa è una battaglia che Superman non può vincere.

Batman v Superman: il ghigno di Ben Affleck in una scena del nuovo trailer

"Negli ultimi due anni è stato Superman nell'accezione pop che abbiamo del personaggio. Ha difeso i deboli, ha perseguitato i criminali, ci sono state alluvioni, miniere e ponti sono crollati, chiese hanno preso fuoco. Superman è stato un eroe ed è intervenuto per salvare le persone. Quando lo ritroviamo, lo vediamo intento a confrontarsi con il peso del suo ruolo. Le sue azioni hanno avuto effetti collaterali disastrosi e lui comincia a vedere ogni azione come una reazione. E' come se salvi un gatto dall'albero e poi il botanico ti avverte che hai danneggiato il ramo su cui si trovava il gatto. Superman non vincerà più."

Zack Snyder prosegue illustrano il conflitto centrale del film, il quale riguarda la percezione che Batman ha di Superman: "E' interessante vedere come Batman percepisce Superman, perché di fatto non sa chi sia. Tutto ciò che conosce è la sua immagine pubblica. E se ti sei fatto un'idea su qualcuno e cominci a dubitare delle sue intenzioni, puoi leggere cosa dicono i media, puoi conoscere il giudizio superficiale e trovare conferma alla tua idea. Batman ha assistito alla distruzione di Metropolis. E questo è un fatto. E' giusto che migliaia di persone siano morte? Che accadrà in futuro? Moriranno in milioni? Va tutto bene questo? Ecco, questo è il punto di vista di Batman."

Batman v Superman: Dawn of Justice arriverà nei cinema il 24 marzo.

 
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The danish girl

Post n°13058 pubblicato il 04 Marzo 2016 da Ladridicinema
 


Pittore paesaggista della Danimarca dei primi anni del '900 Einar Wegener ha vissuto due vite, la prima con una moglie a Copenhagen, e la seconda a Parigi come Lili Elbe. Infine ha tentato la prima operazione chirurgica della storia finalizzata al cambio di sesso. Attratto dall'abbigliamento femminile dopo un gioco erotico con la moglie e sempre meno capace di smettere di vestirsi e atteggiarsi da donna, nel corso di diversi anni Einar vuole lasciare il posto a Lili, che percepisce come un'entità separata. Aiutato e supportato attraverso molte difficoltà da una moglie da cui è sempre meno attratto, Einar fugge dalla medicina del proprio tempo che lo vuole internare o dichiarare schizofrenico e si rifugia nella chirurgia sperimentale, conscio che quella che intende provare è un'operazione mai tentata prima e dai rischi immani.
Per una storia di un corpo che si trasforma Hooper sceglie l'incorporeità; per un racconto di uno spirito intrappolato in una gabbia fisica che non riconosce come propria, sceglie di concentrarsi sul primo e trascurare la seconda. Il travaglio e la lenta presa di coscienza di Einar Wegener di voler diventare Lili Elbe, passa tutta per lo specchio dell'anima, per gli occhi e il volto di Eddie Redmayne e non per il suo corpo. I movimenti che Einar trasferisce ad Elbe, che impara dalle altre donne e che si sente obbligato ad assumere, sono solo una piccola parte del film, la prima. Quando però l'esigenza di essere donna cresce e si fa potente, i corpi e la carne scompaiono. Paradossalmente più diventano protagonisti, cioè più la mutazione deve diventare fisica, meno si vedono e più sono i volti ad essere inquadrati, i lineamenti che si addolciscono e le espressioni che si fanno tenui, quasi virginali in un tripudio anche eccessivo di recitazione e assoli.
Si tratta di una vera e propria festa per Eddie Redmayne, attore espressionista dalle tinte forti che qui spazia e dà il proprio meglio con un non trascurabile compiacimento nell'interpretare quello che, per antonomasia, viene considerato un grande ruolo, uno di pura mimesi e mutazione. Eppure, accanto a lui, meno sotto i riflettori ma capace di guadagnare da sola l'attenzione del film sta Alicia Vikander, attrice meno nota e meno premiata di Redmayne, che con un personaggio non protagonista riesce a determinare le sorti di ogni scena. Senza pretendere il proscenio è attraverso i suoi piani d'ascolto e attraverso le molte maniere in cui rende la propria subalternità che il film vive i suoi momenti più onesti. Alla fine è lei, da una parte, il vero motore emotivo di questa storia e non il protagonista sempre inquadrato.
Pensato per piacere, essere innocuo e non sconvolgere proprio nessuno, The Danish Girl è un film dal tocco dolcemente retroguardista, cosa che stupisce poco da un regista "di corte" come Tom Hooper (I MiserabiliIl discorso del re), avvezzo all'alta società e profondo conoscitore dei meccanismi di accettazione delle novità e delle storie poco concilianti da parte della frangia meno progressista del pubblico, ovvero la sua maggioranza. Per attenuare le componenti disturbanti del proprio film, Hooper lo infarcisce di grandi pennellate, sfondi e interni meravigliosi, dalla composizione cromatica impeccabile e, non a caso, pittorica.
Scenografia, costumi e fotografia lavorano come un comparto solo, con un'armonia d'intenti che si trasforma in puro piacere visivo analogico e digitale.
Soffice e lieve nel tocco con cui narra il tormento del protagonista The Danish Girl riesce quindi nell'impresa di far dimenticare il più possibile le sue componenti più dure e aspre, sfuma sui baci omosessuali, compie ellissi sul sesso e cerca il garbo maggiore per inquadrare i fisici, specie se nudi, con un pudore che (dato il tema) appare spesso fuori luogo o quantomeno eccessivo. Non meraviglia quindi che il risultato finale sia un film di testa su una storia di mutamenti della carne, una storia che prevede anche un'operazione chirurgica!
Che il proprio sesso sia una questione di spirito è il presupposto fondamentale di tutta l'avventura di Einar Wegener. Tuttavia, quando una trama simile diventa un film di questo tipo è impossibile non notare l'assordante silenzio dei corpi.

 
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Italiano medio

Post n°13057 pubblicato il 04 Marzo 2016 da Ladridicinema
 

Locandina Italiano medio

Giulio Verme reagisce fin da piccolo all'appiattimento dei genitori sui non-valori televisivi con una preoccupazione insistente per l'educazione civica e l'ambiente, ma il suo atteggiamento integralista lo confina ad un lavoro di smistamento rifiuti, che conferma la sua "tormentosa consapevolezza del lerciume che ci circonda". Anche il rapporto con la fidanzata Franca è logoro: lei lamenta che lui parli molto e concluda poco (e siccome siamo in un film di Maccio Capatonda, fenomeno mediatico politically incorrect, la metafora che usa Franca è assai più greve). Poiché "fra il dire e il fare c'è di mezzo il male", il cittadino modello Giulio cederà ad una tentazione banale: assumere una pasticca, fornitagli dall'amico Alfonzo, che dovrebbe aiutarlo ad usare ben più di quel 20% del proprio cervello accessibile agli esseri umani. Peccato che Alfonzo gli allunghi una pillola che riduce il suo 20% a un misero 2%, trasformando il Verme in un egoista lascivo e sfrenato che pensa solo al sesso, ai vizi e al proprio tornaconto. Un italiano medio, insomma, giacché l'assunto di Maccio Capatonda è che vent'anni di dominio incontrastato della televisione commerciale abbiano ridotto al 2% il cervello della maggioranza dei cittadini della Penisola. 
Italiano medio è un esercizio sulle contraddizioni del nostro Paese che trova il suo coronamento ironico nella distribuzione del film stesso, ad opera di Medusa. Ciò nonostante il lungometraggio di esordio di Capatonda, al secolo Macello Macchia, possiede una sua coerenza interna che si esprime in termini di tono, spinto all'eccesso fin dalla prima scena, e di contesto, quello satirico che si nutre di paradossi e parodie. Macchia attinge infatti a piene mani dal cinema di cui ha fatto infinite caricature, in primis quel Fight Club citato esplicitamente in (almeno) una scena ma che sottende l'intera narrazione, per continuare con Arancia MeccanicaHunger Games e, ovviamente, Limitless. Del resto la commedia inizia con un ciclo di lavatrice, metafora del modo con cui il regista-sceneggiatore-attore-montatore "frulla" la cultura pop del nostro tempo in cerca di una sua forma espressiva originale. E inItaliano medio la trova: volgare, corrotta, iconoclasta, isterica, lunare - come l'Italia di oggi, insomma.
Il bestiario c'è tutto: docenti universitari decrepiti e vicine zoccole, Grandi Fratelli e Mastervip, calciatori e veline, complottisti e vegani, disoccupati che mendicano una password per tornare a galla e precari disposti a fare i tassisti, i piazzisti, i testimoni di guru improvvisati, e ci sono anche i guru improvvisati, le pacifiste violente e i cumenda senza scrupoli alla Ruggero De Ceglie: ma la pietra cinematografica di paragone non sono I soliti idioti, perché qui la volgarità non è mai fine a se stessa e non c'è compiacimento autoreferenziale. Piuttosto, c'è l'indignazione ironica del Nanni Moretti prima maniera, quello diIo sono un autarchico, mixata con l'irriverenza comica postmoderna di Checco Zalone.
In Italiano medio ci sono attori di comicità clownesca e di segreta dolcezza come Luigi Luciano (alias Herbert Ballerina) e Barbara Tabita, e c'è il talento pirotecnico di Maccio Capatonda, omino buffo vagamente ripugnante capace di creare macchiette spassose, giochi di parole esilaranti, qui pro quo fuori di testa. Capatonda è esattamente l'antieroe tragicomico che ci meritiamo, in questi tempi scellerati. 
Il Macchia regista (assistito da Paolo Massari) da un lato si attiene ai dialoghi campo-e-controcampo e alle riprese elementari, dall'altro lavora di montaggio (con un veterano come Giogiò Franchini) e controllo del colore per velocizzare la storia, e soprattutto lavora alla storia stessa (insieme al suo team di cosceneggiatori) evitando quello che sarebbe stato il rischio maggiore: inanellare una serie di gag senza creare un percorso narrativo degno di questo nome. Il percorso narrativo invece è chiaro, e accresce la comicità per accumulo - prova ne è che le scene del film, isolate su Youtube, non sono altrettanto efficaci, mentre nel film raggiungono l'effetto valanga. Anche i personaggi importati dalla Rete vengono incanalati efficacemente nel contesto filmico, rimanendo "rimandi ad altro", non riassunti incompleti di un universo parallelo. 
Italiano medio è una parabola comica sulla parte trash di ognuno di noi in lotta titanica con la propria parte decorosa, una denuncia degli integralismi come delle derive qualunquiste, una galleria di mostri contemporanei e di quotidiane nefandezze, di cui ridere senza mai potersene chiamare fuori, in quanto italiani medi.

 
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