Creato da: Ladridicinema il 15/05/2007
Blog di cinema, cultura e comunicazione

sito   

 

Monicelli, senza cultura in Italia...

 
 

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

tutto il materiale di questo blog può essere liberamente preso, basta citarci nel momento in cui una parte del blog è stata usata.
Ladridicinema

 
 

Ultimi commenti

Contatta l'autore

Nickname: Ladridicinema
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 39
Prov: RM
 
Citazioni nei Blog Amici: 28
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

FILM PREFERITI

Detenuto in attesa di giudizio, Il grande dittatore, Braveheart, Eyes wide shut, I cento passi, I diari della motocicletta, Il marchese del Grillo, Il miglio verde, Il piccolo diavolo, Il postino, Il regista di matrimoni, Il signore degli anelli, La grande guerra, La leggenda del pianista sull'oceano, La mala education, La vita è bella, Nuovo cinema paradiso, Quei bravi ragazzi, Roma città aperta, Romanzo criminale, Rugantino, Un borghese piccolo piccolo, Piano solo, Youth without Youth, Fantasia, Il re leone, Ratatouille, I vicerè, Saturno contro, Il padrino, Volver, Lupin e il castello di cagliostro, Il divo, Che - Guerrilla, Che-The Argentine, Milk, Nell'anno del signore, Ladri di biciclette, Le fate ignoranti, Milk, Alì, La meglio gioventù, C'era una volta in America, Il pianista, La caduta, Quando sei nato non puoi più nasconderti, Le vite degli altri, Baaria, Basta che funzioni, I vicerè, La tela animata, Il caso mattei, Salvatore Giuliano, La grande bellezza, Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Todo Modo, Z - L'orgia del potere

 

Ultime visite al Blog

alex.18trancoacer.250AVV_PORFIRIORUBIROSATEMPESTA_NELLA_MENTESense.8cassetta2surfinia60monellaccio19iltuocognatino1mario_fiyprefazione09LiledeLumiLMiele.Speziato0Ladridicinemarossella1900.r
 

Tag

 
 

classifica 

 

Messaggi del 17/08/2018

 

Il dottor stranamore da cinema del silenzio

Post n°14573 pubblicato il 17 Agosto 2018 da Ladridicinema
 

locandina del film IL DOTTOR STRANAMORE

Immagine tratta dal film IL DOTTOR STRANAMORE

Immagine tratta dal film IL DOTTOR STRANAMORE

Immagine tratta dal film IL DOTTOR STRANAMORE

Immagine tratta dal film IL DOTTOR STRANAMORE

Immagine tratta dal film IL DOTTOR STRANAMORE
 

"Il dottor Stranamore": ovvero come il mondo imparò a "preoccuparsi" e ad amare Kubrick.
Solo un giovane regista spregiudicato, ma dotato di genio immenso, poteva realizzare una commedia nera sulla distruzione della terra, proprio mentre il pianeta rischiava davvero di saltare in aria sotto la minaccia atomica... ovvero in piena guerra fredda.
La pellicola è un inno alla pace e una critica feroce alla follia e all'incompetenza dei politici, resa a mo' di satira pungente che smaschera la sufficienza e l'arroganza dei governanti americani e russi, richiamando quegli scenari catastrofici a cui siamo andati vicini quando la guerra fredda sembrava preludere alla terza guerra mondiale.
La sceneggiatura è studiata nei dettagli e rende la trama coinvolgente fino all'ultimo, tenendo lo spettatore con il fiato sospeso.

Jack Ripper, paranoico generale anticomunista, prende una decisione estrema: ordina alla sua flotta aerea di sganciare le bombe atomiche sul territorio russo, in modo da risolvere la situazione d'empasse a favore degli USA.
Il presidente degli Stati Uniti, all'oscuro dell'insano gesto del suo generale, tenta con gran difficoltà di annullare l'ordine, giacché il generale Ripper, pur di non rivelare il codice segreto che revocherebbe il suo comando, si toglie la vita.
E' assolutamente necessario impedire un attacco atomico, poiché questo innescherebbe il tanto temuto ordigno russo chiamato "fine del mondo", che si attiverebbe automaticamente in caso di bombardamento americano distruggendo gran parte del pianeta.
Gli aerei sono tutti richiamati, tranne uno, che riesce ad evitare i missili russi che cercano di abbatterlo e porta a compimento la sua missione.

Basandosi sul romanzo "Red Alert" di Peter George, Kubrick dà carta bianca alla sua vena ironica e dissacrante, creando un'opera tragicomica nella quale sono ridicolizzati tutti i più alti membri del governo, americano e russo indistintamente, evidenziando come alla fine le vere vittime delle follie dei politici siano le persone comuni, quelle che vivono la loro vita lontano dagli interessi e dalle strategie politico-militari.
Kubrick ridicolizza senza scrupoli tutti i personaggi politici e militari a partire dai loro nomi: il folle generale Jack T. Ripper (Jack Lo Squartatore), il generale impotente Turgidson (letteralmente "figlio del turgido"), il coaudiatore sottomesso che si chiama Mandrake (come il baffuto mago-supereroe), il maggiore King Kong e così via.
Mattatore assoluto è il camaleontico Peters Sellers, che interpreta magnificamente tre personaggi: il Dottor Stranamore, stratega paraplegico con ben poco celati cromosomi nazisti, il presidente Muffley e infine il colonnello Mandrake.

Abbiamo avuto modo di ammirare Peter Sellers nei panni di Clare Quilty nel precedente "Lolita", dove si era sdoppiato in molteplici ruoli, e Kubrick sembra non voler rinunciare alla sua vis comica per rendere ancora più surreale, a tratti ridicola, la vicenda: le maschere indossate da Sellers rimandano alle maschere che l'uomo (politico e non) tende ad indossare per adattarsi alle situazioni contingenti, perdendo infine la sua vera identità.
Ottime anche le interpretazioni di Sterling Hayden, che già collaborò con Kubrick qualche anno prima in "Rapina a mano armata", nei panni del folle Jack Ripper e dell'istrionico George Scott, che regala momenti davvero divertenti nelle vesti del generale frustrato e incompetente.
Nella vicenda non ci sono buoni o cattivi, entrambi gli schieramenti pensano al loro tornaconto personale e parlano delle conseguenze della guerra come se si trattasse di un gioco; Kubrick denuncia non tanto la guerra in sé, quanto l'umana tendenza all'autodistruzione, portata alle estreme conseguenze quando a decidere per tutti vi è uno stretto manipolo di uomini illuminati dalla follia.

In questa situazione l'uso dello humour nero, della deformazione grottesca al limite della farsa, e delle situazioni tragiche talmente esasperate da divenire ridicole, si rivela la scelta più sofisticata che Kubrick potesse fare per abbattere una dopo l'altra tutte le false ideologie pacifiste statunitensi.
Nel momento in cui è stato dato l'ordine di attaccare la Russia e gli aerei da guerra si preparano al bombardamento, le inquadrature che si susseguono evidenziano in maniera ossessiva sempre uno stesso manifesto, trionfante in ogni angolo della base americana, che recita: PEACE IS OUR PROFESSION (la pace è il nostro mestiere).
Immediato ritornare, con la mente, alla scelta sarcastica che Kubrick avrebbe poi fatto in "Full Metal Jacket", facendo indossare al soldato Joker un elmetto con il simbolo della pace affiancato dalla scritta BORN TO KILL (nato per uccidere), proprio ad evidenziare il dualismo dell'anima umana, divisa tra bene e male.
Le vicende si svolgono essenzialmente in tre ambienti principali: la base militare, l'aereo da guerra B-52 e la sala ovale del Pentagono dove sono riunite le più alte cariche politiche e militari degli Stati Uniti, volutamente isolati tra loro proprio per sottolineare ulteriormente come in ognuno di questi ambienti tutti agiscano in base alla propria "folle" iniziativa.

Proprio nella sala ovale, ambiente reso asettico e alienante da Kubrick, assistiamo ai dialoghi più grotteschi di chi dovrebbe garantire la pace e la sicurezza del mondo a tutti i costi; a partire dal paranoico generale Turgidson, che illustra affabilmente al presidente come le perdite umane degli Stati Uniti, in caso di conflitto atomico, saranno al massimo venti milioni!
Proseguendo poi con lo stesso presidente USA che cerca di evitare il conflitto chiamando telefonicamente il premier russo, che nel frattempo si trovava ubriaco in un bordello.
Tornando poi allo stesso Turgidson che non riesce a trattenere l'euforia quando viene a sapere che un bombardiere è sfuggito all'abbattimento e porterà a termine la sua missione, e salendo su una sedia mima il volo dell'aereo e il momento in cui sgancerà la bomba come se fosse un bambino.
Irresistibile infine il piano proposto dal Dottor Stranamore per ripopolare il pianeta dopo lo scoppio dell'ordigno sovietico "fine del mondo": rendere abitabili alcune miniere abbandonate dove poche migliaia di uomini, scelti per la loro carica politica, militare e civile avrebbe dovuto vivere fino a quando la nube atomica si fosse dissolta del tutto... ovvero nel giro di un centinaio d'anni!
Visto che l'intento sarebbe stato quello di ricreare la razza umana spazzata via dalla bomba, ad ogni uomo spettava una dote di dieci donne, scelte per la loro bellezza e fertilità.

Le fantasie del dottor Stranamore ci strappano un sorriso... un sorriso amaro, che ci porta a pensare quante volte il destino del mondo sia stato deciso da uomini animati da pazzia bellica e, come la storia c'insegna, il popolo è sempre stato considerato solo un numero su cui misurare le sconfitte.
Lo stato d'animo che la pellicola genera è particolare: da una parte lo spasso d'alcune scene buffe e dall'altra la tensione della tragedia incombente creano un'altalena d'emozioni contrastanti difficile da descrivere, che raggiunge l'acme quando il maggiore King Kong cavalca la bomba atomica come fosse un cavallo da rodeo da domare e agita, entusiasta, il cappello da perfetto cowboy mentre l'ordigno sta per raggiungendo il bersaglio.
Di grande effetto le scelte musicali che accompagnano la scena iniziale del rifornimento aereo del bombardiere e la scena finale in cui si susseguono le esplosioni atomiche... musiche dolci e avvolgenti, che rendono le scene quasi "teatrali": ci sembra di assistere ad un balletto, ad un musical piuttosto che a un disastro atomico.
Emblematiche le parole cantate dalla suadente voce di Vera Lynn durante le esplosioni finali che distruggono il pianeta: "Non so dove, non so quando, ma c'incontreremo di nuovo, in un giorno di sole".

E' chiaro l'intento di Kubrick di analizzare la debolezza e l'irrazionalità dell'uomo, che di fronte alle scoperte scientifiche tende quasi inesorabilmente all'autodistruzione piuttosto che al benessere collettivo; il regista non punta il dito contro le innovazioni tecnologiche dell'era atomica, anzi si nota una certa ammirazione durante le dettagliate inquadrature di tutte le apparecchiature letali del bombardiere: mettendo simili gioielli di tecnologia nelle mani di perfetti incompetenti che li manovrano come giocattoli, Kubrick ci crea un senso d'impotenza e di preoccupazione che ci pervade durante tutto il film.
Tutto ciò contribuisce a rendere "Il Dottor Stranamore" una delle migliori commedie fantapolitiche mai realizzate, un'opera sempre attuale che a distanza di molti anni dalla sua uscita conserva tutta la sua carica ironica e dissacrante e segna uno dei primi passi del giovane Kubrick verso il mito.
Mein fuhrer... io cammino!

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Good kill da mymovies

Post n°14572 pubblicato il 17 Agosto 2018 da Ladridicinema
 

Good Kill è quello che dicono i piloti e i militari americani quando un colpo è andato a segno, a "buon fine". Quelli dell'omonimo film di Andrew Niccol sono "sparati" da dei piloti speciali che comandano aerei speciali. Velivoli invisibili che sorvolano a 3 km dal suolo i territori della lotta al terrorismo, dall'Afghanistan allo Yemen, per eliminare con missili balistici ad alta precisione un uomo, una casa un drappello di persone, un camioncino in movimento... che siano sospettati di attentare alla sicurezza nazionale americana. Questi piloti muovono ali e armamenti comodamente seduti dentro un box con aria condizionata nel deserto vicino a Las Vegas. Non rischiano nulla, ad eccezione della loro salute mentale. Una guerra più che fredda: astratta, quasi metafisica, virtuale... se non fosse che i missili fanno saltare in aria corpi di uomini, donne e bambini veri, in carne e ossa.
Il comandante Tommy, un top gun che ha fatto sei "tour" (come vengono definite le missioni su campo sempre secondo l'agghiacciante lessico militare americano), è stato messo a terra, vicino alla famiglia, ed è uno dei piloti dei droni con i quali gli americani hanno aperto un nuovo e più preciso fronte di guerra. Tommy è in crisi perché vuole tornare a volare e perché la pratica virtuale da playstation della nuova guerra al terrorismo non gli piace affatto. Sebbene sia vicino ai suoi cari, in verità è più lontano che mai. La crisi, esistenziale e morale, si fa più cocente e drammatica dal momento in cui la sua squadra viene messa direttamente al "servizio" dei servizi segreti, la CIA, che agisce fuori dalle regole convenzionali di ingaggio. Una voce da Langley definisce i bersagli e chiede loro di sparare anche innanzi a donne e bambini, usati a loro dire, come scudi. Sono danni collaterali, vittime sacrificali e sacrificate dai Lords of War della guerra al terrorismo; le loro azioni, anche le più abiette, sono giustificate dalla logica della protezione preventiva.
Il pilota Tommy non regge più, inizia a bere e ad assumere un comportamento non consono al comando del suo joystick, e ne pagherà le conseguenze. Alla trama militare si aggiunge una sotto trama familiare che il pilota nelle vesti di marito assente e padre inaffettivo.
Se l'autore di Good Kill non fosse Andrew Niccol, regista di Gattaca e sceneggiatore di The Truman Show (tra le altre cose), avremmo liquidato questo film, che chiude quelli del Concorso di Venezia, come un'operazione irricevibile per quel tanto e tantissimo di ambiguità e di falsa coscienza. Seguire le spire del discorso morale di questo dramma militare è tutto sommato pericoloso perché si rischia di accettare, senza rendersene conto, delle premesse che andrebbero in verità analizzate nel profondo. Quali sono i limiti di un'azione militare preventiva portata nel cuore del territorio che nasconde i nemici tra folle di civili inermi? Andrew Niccol ci pare vittima in questo film della logica dei pro e dei contro, delegata a una sceneggiatura misurata fino alla noia con il risultato di un film piatto. Eppure molti erano gli elementi a disposizione, alcuni cari al discorso di questo regista di origine neo-zelandese. Ad esempio del controllo assoluto, cuore filosofico del film Truman Show, che qui viene declinato attraverso l'occhio militare dei droni che dall'alto tutto controllano. Un occhio non più umano, ma "divino" per quel tanto di punizione che dal cielo cade sotto forma di missili per colpire i cattivi, ritenuti tali, i presunti cattivi e gli innocenti, vittime collaterali. Degli ultimi film a tema, tra cui The Hurt Locker e Zero Dark Thirty entrambi della Bigelow, quest'ultimo è il più teorico e per questo ambiguo. Basti pensare che la crisi principale del pilota Tommy viene dal non poter più fare le missioni vere, quelle con gli aerei da caccia, dove si uccide ma si rischia anche di essere uccisi. Nostalgia per gli anni di Top Gun... di cui questo è un remake all'epoca del digitale.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Room

Post n°14571 pubblicato il 17 Agosto 2018 da Ladridicinema
 

Nel 2008 la scoperta del caso Fritzl fu uno shock di portata mondiale. Una figlia reclusa e abusata dal proprio stesso padre per 24 anni sembrava un orrore troppo inconcepibile per poterci credere, figurarsi metterlo in scena. Per fortuna il Room con cui l'irlandese Lenny Abrahamson torna in sala dopo il Frank con Michael Fassbender e Domhnall Gleeson nasce dal libro ispirato a quella vicenda: il romanzo 'Stanza, letto, armadio, specchio' (Room) scritto da Emma Donoghue nel 2010.

In questo caso il rapimento è dei più classici, e la prigionia decisamente 'ridotta' rispetto all'originale, ma tutto ciò nulla toglie allo sviluppo della storia. Decisamente toccante e ricca di implicazioni. Il merito è comunque della stessa Donoghue, sceneggiatrice e produttrice del film, nel quale si finisce per partecipare completamente delle diverse fasi attraversate dai due protagonisti. Dalle più immediate a quelle meno evidenti, ma facilmente immaginabili.


Inevitabilmente, la prima sezione è completamente dedicata all'organizzazione del tempo nella stanza e alla costruzione di una vita accettabile per un bimbo nato in cattività, fatta di bugie e giustificazioni. Il rapporto del piccolo con gli oggetti che lo circondano e con le regole imposte dell'aguzzino restituiscono una sensazione confusa, per il dover conciliare una sorta di simulata normalità con le inevitabili considerazioni di ognuno. Ma sarà davvero difficile per chiunque trattenere le lacrime, di rabbia - razionale per l'impotenza della giovane madre, costretta a contenere le proprie reali emozioni per non distruggere l'illusione creata per salvare il figlio - e di commozione, per gli struggenti momenti della nuova nascita del bambino.

Ed è l'inizio di un altro film. Che gioca proprio con l'empatia suscitata nello spettatore. Con le convizioni che ognuno di noi ha sull'essere genitore. E con l'esplorazione del trauma, tanto della madre quanto del figlio. Due creature dall'esperienza di vita talmente limitata da non avere gli strumenti per accettare e comprendere. Una ricostruzione che richiede ancor più coraggio e amore di quello mostrato durante la lunga convivenza forzata. Ma stavolta in un contesto completamente nuovo, fatto di memorie e scoperte, di nuovi spazi e chiusure psicologiche.

Non inedita invece la scioccante messa in scena del sistema mediatico statunitense, e della a tratti intollerabile solidarietà dei suoi partecipanti, ma è una parentesi. Ché feriscono di più certe dinamiche familiari o i giudizi che il film fa spontaneamente nascere nel suo incedere. Senza bisogno di indulgere nel 'Crime' o di sottolineare troppo alcuni accenni (tanto nei titoli di testa, intelligenti e anticipatori, quando nella citazione del Conte di Montecristo). Chiudendo, in compenso, la vicenda con una circolarità che in molti potranno trovare didascalica, ma che non è affatto priva di senso e di fascino.


Come la splendida protagonista (insieme al piccolo Jacob Tremblay) Brie Larson. La cui assenza dallo schermo - forse esagerata, per quanto breve - a un certo punto è decisamente necessaria alla completezza della narrazione. E della quale fa piacere poter evidenziare una interpretazione da nomination. E si sa che Toronto in questo senso è una mano santa, soprattutto per l'onda emotiva scatenata dal film proiezione dopo proiezione. Sarà "onda lunga"?

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Mamma o Papà

Post n°14570 pubblicato il 17 Agosto 2018 da Ladridicinema
 

Valeria e Nicola sono pronti a divorziare, d'accordo su tutto, e si preparano a comunicare la loro scelta ai tre figli: un adolescente no global, una pre-teen incollata allo smartphone e un piccolo nerd, tutti egualmente ostili nei confronti degli imbelli genitori. Ma quando viene accettata la richiesta di Nicola di esercitare la sua professione di ginecologo in Mali per sette mesi e contemporaneamente a Valeria, ingegnere edile, viene offerto un trasferimento in Svezia di analoga durata, quella che era una trattativa civile si trasforma in una lotta all'ultimo sangue non già per ottenere la custodia dei figli, bensì per rifilarla all'altro, e partire verso l'estero in tutta libertà. Mamma o Papà non decolla perché rincorre non uno ma due prototipi stranieri (Papa ou Maman e La guerra dei Roses), perdendo di vista la realtà specificamente nazionale. I problemi cominciano in sceneggiatura. Risulta ad esempio difficile capire perché Valeria non possa portare con sé in Svezia i ragazzi per un periodo di meno di un anno, non perché in quanto madre sia automatico che sia lei a prendersi cura della prole, ma perché in Svezia crescere i figli, anche da single, è reso molto più semplice che da noi. I figli, inizialmente villani e strafottenti, si trasformano inspiegabilmente in vittime imbelli non appena inizia la guerra per liberarsi di loro. I personaggi di contorno, fondamentali in una commedia, sono appena accennati e privi di un vero arco narrativo: la coppia degli amici, l'infermiera, il collega di Valeria, l'improbabile giudice sempre disposta a dare ascolto alla coppia (in Italia le consensuali si concordano con l'avvocato, non direttamente con il magistrato). Si salva solo il nuovo boss dell'ingegnera grazie alla bravura istrionica di Carlo Buccirosso, che ci fa (quasi) credere alle contorsioni laocoontiche del suo personaggio.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Mon Roi

Post n°14569 pubblicato il 17 Agosto 2018 da Ladridicinema
 


Tony, quarantenne e madre di un bambino, si infortuna gravemente un ginocchio sciando. Durante il lungo periodo necessario per la riabilitazione ha il tempo per ripensare al proprio rapporto con Georgio e a come dall'amore siano arrivati ai contrasti più accesi.
Maïwenn è finalmente riuscita a girare una storia che, per sua stessa ammissione, le girava intorno da anni. Le domande sono quelle di sempre: come è nato il loro amore? Cosa lo ha reso così intenso e poi così distruttivo? Come ha potuto rifiutare ma anche accettare atteggiamenti e azioni che la offendevano nel profondo?
Sono temi già trattati un infinito numero di volte dal cinema. Come trovare un modo originale per tornare a parlarne? Innanzitutto scegliendo di rappresentarlo attraverso una fascia d'età (i 40 anni) in cui si potrebbe, illusoriamente, presupporre che un uomo e una donna abbiano una maggiore consapevolezza dei propri sentimenti e della propria disponibilità verso un rapporto di coppia 'maturo'. Poi adottando il punto di vista femminile senza alcun manicheismo ma anche con la precisa intenzione di leggere il comportamento di un maschio capace di divorare, grazie anche alle proprie indiscutibili doti di seduttore a 360°, chi afferma di amare. 
Perché questo è un film che, scegliendo la struttura narrativa del flashback, ne fa un elemento di forza posizionandolo in parallelo con il percorso di rieducazione ortopedica della protagonista femminile. A Tony occorrono forza e costanza per credere di poter tornare a camminare normalmente dopo aver subito un trauma così serio al ginocchio. Il ripercorrere la propria vicenda sentimentale le consente di diventare definitivamente consapevole di quante fratture la sua vita di coppia ha dovuto affrontare e di come ciò che sembrava irreparabile si sia rivelato poi superabile. 
Mon Roi non è un film che piacerà agli uomini o, almeno, a un certo tipo di uomini che vedendosi ritratti con abbondanza di particolari finiranno con il desiderare di mandare in frantumi lo specchio che si trovano di fronte. Perché Cassel è straordinario nell'offrire tutte le sfumature possibili a un Georgio consapevole del proprio fascino ma anche fondamentalmente sincero quando afferma di amare, non riuscendo però a comprendere di amare di fatto solo la propria egoistica libertà di prendere e lasciare senza alcun senso positivo di legame. Maïwenn ci parla delle molteplici sfaccettature del rapporto di coppia riuscendo a definirlo (Tony avvocato, Georgio proprietario di ristorante con molti agganci nel mondo della moda) ma conferendogli anche l'universalità necessaria a far riflettere come delle straordinarie sintonie possano trasformarsi in devastanti conflittualità. Non solo sullo schermo.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Il sosia - The double

Post n°14568 pubblicato il 17 Agosto 2018 da Ladridicinema
 

Portare Dostoevskij al cinema: lo stai facendo bene. Il fatto che a riuscirci sia un giovane comico inglese (Richard Ayoade) non è un dettaglio di poco conto, perchè l’assurdo assunto di base di una pellicola come Il sosia – The double in mano ad un regista troppo serioso non avrebbe forse oltrepassato quel limite frustante che sta alla base di ogni opera del grande drammaturgo russo.

Il sosia - The Double - PosterNon è un film facile Il sosia, così come non è mai stata facile la lettura di Dostoevskij, al quale mi sono imbattuto (non per mia volontà) anni fa: ricordo le atmosfere che si ricreavano senza volerlo nella mia mente, quell’oppressione che ammorbava le pagine di un romanzo che sembrava non finire mai mentre desideravo finisse presto, e quasi mi sentivo uno stupido nel giudicare “kafkiane” le vicende che si dipanavano ai miei occhi, mentre invece probabilmente, non ero l’unico.

Perchè l’ombra di Kafka aleggia anche nella pellicola di Ayoade, cupa e allucinata, dalle atmosfere ai personaggi, all’interno del quale il faccione monoespressivo del Jesse Eisenberg della prima parte è la cosa che più si avvicina al mio stato d’animo di spettatore.

Jesse Eisenberg in “Il sosia – The Double“.

Il sosia è la storia del doppio, quello che nasce spontaneo in un mondo di frustrazione, quello che emerge quando nessuno ti vede: ed al protagonista Simon non lo vede proprio nessuno, invisibile ai colleghi del “sistema” (che sembra a pelle una sorta di mega ditta di fantozziana memoria), un numero per i superiori, un disagiato per la madre ed un collega al quale fare le fotocopie per Hannah (Mia Wasikowska), la ragazza del quale è segretamente innamorato.

Fino a quando James, il suo doppio (o doppelgänger come preferiscono chiamarlo “quelli bravi”) non esce fuori prepotentemente, sostituendosi nella vita di Simon in tutto e per tutto fino a portarlo alla disperazione: ma chi è “davvero” questo sosia che somiglia in maniera così impressionante al nostro protagonista?

Atmosfere surreali al limite del grottesco ammorbano una pellicola di difficile interpretazione, impossibile da decifrare pienamente, contorta in lunghi tratti, con un retrogusto amaro, il tutto ambientato in una sorta di cappa oscura che stringe al collo come un cappio: c’è però questa sorta di crescendo che accompagna lo spettatore lungo il percorso inverso del protagonista, e proprio mentre la commedia surreale si trasforma in qualcosa di molto vicino al thriller psicologico ci si rende conto che la pellicola di Richard Ayoade è molto più lucida e comprensibile di quanto si possa pensare, non è un bel film, ma è molto interessante.

 

Ed interessante è anche il messaggio cinematografico che Il Sosia lancia, perché per trovare qualcosa di umanamente simile dobbiamo “scomodare” pellicole come il Fight Club di David Fincher, solo che mentre il cult dei cult degli anni ’90 scindeva il doppio nella contrapposizione Brad Pitt/Edward Norton nel film di Ayoade c’è un bravissimo Jesse Eisenberg (in una delle sue prove migliori dai tempi di The Social Network) a giocare con le diverse personalità dei due protagonisti, mantenendosi sempre fedele allo Jakov Petrovič del romanzo pur dovendosi muovere in un contesto completamente diverso.

La redazione di Filmovie a questo punto, consiglia di andare a recuperare Il Sosia(rigorosamente in homevideo, dal momento che la pellicola non è stata distribuita in sala)?

Non lo so, Il Sosia è una scommessa, riuscire a dare una propria interpretazione trovandoci più di uno spunto interessante vuol dire vincerla, perdersi nelle ossessioni e nelle difficili articolazioni narrative che, specie nel finale, il regista costruisce senza rispetto alcuno per lo spettatore in difficoltà, al contrario non solo ti lascia sconfitto, ma anche abbastanza deluso e frustrato. Provare per credere.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963