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NAPOLI VELATA – LA RECITAZIONE DI GIOVANNA MEZZOGIORNO da il cinematografo

Post n°14204 pubblicato il 14 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 

di Gianni Canova

Come catatonica. Come in trance. Come sospesa. Come se non fosse lei ad agire, ma fossero i fatti, gli accadimenti e gli incontri ad agire in lei. È straordinario il lavoro di “sottrazione” che Giovanna Mezzogiorno ha messo in atto per creare il personaggio di Adriana, protagonista di Napoli velata di Ferzan Ozpetek. In un contesto narrativo dai tratti marcatamente melò, alle prese con una sceneggiatura e una regia che non temono di far propri gli eccessi (drammaturgici, ma anche ritmici, sintattici e visivi) che del melò sono costitutivi e irrinunciabili, lei lavora in direzione opposta. Quanto più la regia eccede, tanto più lei recede. Cioè leva, sottrae, riduce. Quasi a creare una sorta di attrito (un controcanto?) fra il suo corpo e il contesto – narrativo, ma anche sociale, culturale ed emozionale – in cui il suo corpo agisce. Meglio: viene agito. Perché fin dall’inizio il personaggio di Adriana non sceglie. Viene scelto. Non decide, accetta che altri decidano per lei.

Prendete anche solo la prima scena, quella in cui lei assiste insieme a tutti gli altri personaggi al rito apotropaico della “figliata” dei femminielli. Uno sconosciuto, da lontano, la guarda fisso negli occhi, poi le si avvicina e le dice: “Tu passerai la notte con me”. Lei non replica, non risponde, non reagisce. Il suo viso è come una maschera impenetrabile. Un mix di titubanza, sorpresa, compiacimento, desiderio, paura, curiosità. Ma è il suo corpo a rispondere. La vediamo camminare di spalle, al fianco dello sconosciuto, in una piazza di Napoli, e poi, subito dopo, appena entrati in casa, abbandonarsi rapinosamente al sesso che lui le offre e le chiede. Il sesso, finalmente. Come scomparso dal cinema italiano degli ultimi anni, continuamente alluso, evocato, raccontato, ma mai visto e vissuto, irrompe con spavalda energia nell’incipit del film di Ozpetek. Senza preamboli, senza preliminari. Appassionato, divorante, vorace. E Giovanna Mezzogiorno vi si abbandona con un’intensità di cui non molte altre attrici italiane sarebbero capaci. Senza paura di mettere in gioco e in campo la nudità, il corpo, la bocca, il seno, i glutei, la pelle, la lingua, gli ansimi e i gemiti di ogni relazione d’amore. Lei vi si getta a capofitto, spudorata e innocente al tempo stesso. E solo qui, in questa scena davvero esemplare, abbandona quello stato di sospensione che caratterizza il suo personaggio per tutto il film. Qui e nel sorriso con cui si sveglia il mattino dopo, quando assapora l’aroma del caffè bollente che lui le mette sotto il naso. Per tutto il resto del film Adriana è come distaccata. Emotivamente prosciugata. Simile, in questo, alle statue di cui il film è punteggiato. O ai cadaveri di cui lei si prende cura (è anatomo-patologa all’ospedale di Napoli).

La statue, i cadaveri: corpi inorganici, corpi senza vita. Tra loro, il corpo vivo di Adriana si aggira come compresso e sperduto, lasciando intuire le tempeste interiori che lo devastano solo attraverso un’accuratissima microfisica dei gesti (un battito di ciglia, un abbozzo di sorriso, uno smarrimento dello sguardo). Mentre altri attori del cast, a cominciare dai bravissimi Peppe Barra e Luisa Ranieri, conformano la loro recitazione all’esuberanza tipica del melò (o della napoletanità…), Giovanna Mezzogiorno – in sintonia con Alessandro Borghi, chiamato come lei a interpretare un doppio ruolo – oscilla tra freddezza e incandescenza, facendo proprio del suo volto e del suo corpo di attrice il luogo in cui queste due pulsioni contrastanti si incontrano e si neutralizzano. I primi piani di Adriana diventano così il luogo di massima ambiguità dell’intreccio, simili – in questo – alla scala a spirale su cui si apre il film, senza che si capisca se è inquadrata dal basso o dall’alto, e se sia occhio o utero o coscienza, ma simili anche alla maschera antica dietro cui si nascondono le due algide archeologhe interpretate da Lina Sastri e Isabella Ferrari, che proprio grazie alla maschera al contempo si celano e si rivelano. Perché proprio la maschera è il cuore del mistero che il film mette in scena. La maschera o le maschere. Perché tutti i personaggi ne hanno una. Tutti, anche i fantasmi partoriti dalla mente della protagonista. Ma nessuna ha la potenza di senso di quella che Giovanna Mezzogiorno fa indossare proprio ad Adriana: lei è l’unica che trasmette a noi spettatori lo stesso turbamento della statua settecentesca che appare nel finale, quella del Cristo velato nella cappella Sansevero di Napoli: una superficie di marmo in cui le passioni tanto più affiorano e si rivelano quanto più sono nascoste e trattenute.

Velate, per l’appunto: come se Ozpetek e la Mezzogiorno avessero applicato alla creazione del personaggio una loro personale, sensuale ed efficacissima estetica della velatura.

 
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Una stella per Gina da cinecittànews

Post n°14203 pubblicato il 14 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 
Tag: news

Una Stella per Gina. Era stata annunciata in occasione del 90° compleanno lo scorso 4 luglio, e il 1° febbraio, Gina Lollobrigida sarà a Los Angeles per la posa della sua stella sulla Walk of Fame di Hollywood e per ricevere il Filming On Italy Award.   

La cerimonia si terrà il 1° febbraio alle 11.30 a Hollywood e Vine Boulevard, nell’ambito di Filming on Italy a Los Angeles: il festival nato grazie ad un accordo tra Agnus Dei di Tiziana Rocca, l’Istituto Italiano di Cultura Los Angeles e il suo direttore Valeria Rumori, e il Consolato Generale d’Italia a Los Angeles, la manifestazione è in programma dal 31 gennaio al 2 febbraio.   

E' stata proprio Tiziana Rocca a segnalare alla Hollywood Chamber of Commerce il nome della Lollobrigida per inserirla tra i candidati all’assegnazione della Stella più ambita dalle personalità di tutto il mondo. Quella della Lollobrigida, votata all’unanimità, è la 14esima Stella che porta il nome di un italiano illustre.   

“Sono felice che la Hollywood Chamber abbia accettato la mia segnalazione – sottolinea Tiziana Rocca -, credo che una personalità come Gina Lollobrigida rappresenti meglio di chiunque altro la cultura e il cinema di un’Italia ricca di arte. La carriera di Gina dimostra come bellezza e talento possano convivere nel loro intreccio di emozioni e creazioni. Il mio ringraziamento va anche, e soprattutto, a Gina che ha creduto in me e che ha deciso di essere a Los Angeles al Filming On Italy, un Festival che in poco tempo è cresciuto moltissimo. Ringrazio anche la Direzione Cinema del MiBACT che ci ha sostenuto in questa bellissima avventura ”.  

In America la Lollobrigida è un’icona di stile, dopo il suo film d’esordio negli States, Il tesoro dell'Africa di John Huston (1954), l’anno successivo il Time le dedica la copertina. Ora con una straordinaria filmografia che conta oltre 60 titoli con i più grandi del cinema internazionale e una straordinaria carriera di pittrice e scultrice, Gina Lollobrigida arriva a Los Angeles per assistere alla posa della stella che porterà il suo nome.  

In questa occasione, l’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles consegna alla Lollabrigida il premio IIC Los Angeles Creativity Award, riconoscimento all’eccellenza italiana nel mondo. Il premio consiste in un’opera originale creata appositamente per l’Istituto da Emilio Cavallini, artista e stilista noto internazionalmente, ed ispirata al soffitto del Pantheon di Roma.   

Il Filming On Italy inoltre dedica alla Lollobrigida un’intera giornata all’Istituto Italiano di Cultura di LA con la proiezione di due suoi film e un incontro con il pubblico moderato da Claudio Masenza, direttore artistico di Filming On Italy.   Filming on Italy è prodotto e organizzato da Agnus Dei di Tiziana Rocca con l’Istituto Italiano di Cultura a Los Angeles, sotto gli auspici del Consolato Generale Italiano Los Angeles, con il sostegno della Direzione Cinema del MiBACT, ICE Los Angeles, ANICA. Partner: MEI. Partner tecnico Crystal Couture. Media Partner: Cinecittanews.it, FRED Film Radio, Variety.      

 
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Un pezzo di libertà in Sicilia oggi viene meno da articolo21

Post n°14202 pubblicato il 14 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 

Cari amici di Tribù, caro Direttore (Ettore Ursino), caro Editore (Antonio Fiumefreddo), caro Redattore (Valerio Musumeci),

la Vostra decisione di “chiudere i battenti” della testata giornalistica mi angoscia, da cittadino, da collega e da Presidente di Articolo Ventuno.
Anche io, spesso, ho avuto momenti di sconforto, temuto che non ne valesse la pena e che fosse meglio “gettare la spugna”.
Tanti sono stati (purtroppo sono e, temo, saranno) i momenti di solitudine e di paura, ma è nella “libertà” che si tiene la democrazia, proprio quella libertà che voi – da quasi un anno – cercate di assicurare al territorio di cui vi occupate.
Ecco, quindi, che la notizia della chiusura di Tribù Press mi addolora e mi angoscia.
Informare oggi è sempre più difficile, stretti come siamo tra la velocità della notizia e i bavagli che si vorrebbero mettere ai giornalisti che, in maniera scomoda, fanno il proprio lavoro per onorare una professione e con il sogno della libertà.
Una politica – mai generalizzare, ma gli esempi sono sotto gli occhi di tutti – sempre più attenta ad attaccare il giornalista prendendolo a capo espiatorio per i propri insuccessi (e le proprie inefficienze); un giornalismo che dovrebbe essere “cane da guardia della democrazia” e che invece è spesso svilito a cane da compagnia.
Voi siete stati (e spero sarete) dei pitbull, pronti ad “azzannare” la notizia, dopo averla verificata. Lo avete fatto non guardando in faccia nessuno, né gli amici né, tantomeno, i potenti.
Gioirà qualcuno oggi, certamente.

Gioirà qualche politicante ed anche qualche mafioso, staranno brindando i “colletti bianchi” che avete a più riprese attaccato, ma non gioiranno i vostri lettori, convinto come sono che, se dovesse venir meno la vostra “gamba informativa”, noi cittadini saremo più poveri.
Un popolo informato è un popolo libero di scegliere da che parte stare, senza il vostro contributo (come senza il contributo di molte colleghe e colleghi liberi, nonostante tutto, in questa dannata ma meravigliosa Terra di Trinacria) il popolo siciliano sarà meno libero e meno indipendente.
La Sicilia, ancora oggi, rimane una Terra difficile, popolata da persone – noi siciliani – spesso sbadati e pronti a lamentarci, senza cercare soluzioni.
Leoni da tastiera ma cittadini sbadati nella quotidianità.
Una terra “irredimibile”, diceva Sciascia, capace di eleggere una quantità enorme di ineleggibili alle ultime elezioni regionali, di indignarsi ad intermittenza e di vendere il proprio voto per una manciata di spiccioli.
Si, è vero. Ma è anche una Terra che ha dato i natali a donne e uomini liberi, penso a Falcone e Borsellino, ma anche a Libero Grassi, Don Pino Puglisi, Giuseppe Fava, Peppino Impastato e Giovanni Spampinato e la lista sarebbe lunghissima.
Pensatori, Magistrati, Giornalisti, Imprenditori, Sacerdoti, insomma, persone libere, cittadini nella pienezza del termine, non sudditi.
Cari Antonio, Ettore, Valerio, se voi oggi getterete la spugna farete vincere chi ha sempre malignato e chi ha sperato nel vostro sfinimento.
Sono convinto che se le cose sono andate così fino ad oggi, non è detto che debbano continuare ad andare in questo modo. E cambieranno con l’impegno di ognuno di noi, soprattutto con l’attenzione dell’informazione libera. Quella libertà che è ossigeno!
Vi prego di ripensarci e di rilanciare con più forza e vigore la vostra azione libera.

Con sincera stima, verso voi e verso tutte le colleghe ed i colleghi liberi che in Sicilia lavorano con la schiena dritta!

 
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Il risveglio di Hollywood in total black, ai Golden Globes l'Italia resta a secco da huffingtonpost

Post n°14201 pubblicato il 14 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 

L'ombra di Harvey Weinstein sulla 75° edizione. Miglior film “Tre manifesti a Ebbing Missouri”, miglior serie "Big Little Lies"
 08/01/2018 08:18 CET | Aggiornato 08/01/2018 08:28

Eleganza, solidarietà alle donne, speech indimenticabili e delusione, almeno per l'Italia. Ricorderemo così i Golden Globes Awards 2018, una 75esima edizione caratterizzata da un red carpet con tutte le star presenti in total black per protestare contro le violenze sessuali a Hollywood. A ricordare Harvey Weistein ("magari tra vent'anni faremo una celebrazione in memoriam in negativo") e Kevin Spacey ("Plummer è libero? Potrebbe fare il presidente di House of Cards e magari avrebbe un accento del sud migliore del suo"), ma solo all'inizio, è stato il comico Seth Meyers, che ha presentato la serata trasmessa dal Beverly Hills Hotel di Los Angeles. Per il resto, è stata una cerimonia che – nonostante tutto – è stata una festa, ma non per l'Italia, visto che su cinque candidature, non ha portato a casa neanche un premio.

Non ce l'ha fatta Luca Guadagnino e il suo "Chiamami col tuo nome" (era candidato come miglior film drammatico, per il migliore attore protagonista e il migliore attore non protagonista); non ce l'ha fatta Helen Mirren – candidata come migliore attrice protagonista per Ella & John - The Leasure Seeker di Paolo Virzì – e nemmeno Jude Law - candidato come migliore attore protagonista in una serie o film per la tv per la sua interpretazione in The Young Pope, la serie originale Sky di Paolo Sorrentino.

La Hollywood Foreign Press Association ha deciso di premiare come Miglior Film "Tre manifesti a Ebbing Missouri", l'acclamata pellicola diretta e scritta dal Premio Oscar Martin McDonagh (In BrugesSeven Psychopaths) e straordinariamente interpretata da Frances McDormand che, vestendo i panni di una madre alla ricerca dell'assassino che ha messo fine in modo tragico all'esistenza della figlia, si è aggiudicata il premio per la migliore attrice. "Di solito tengo per me le mie idee politiche, ma è stato fantastico essere qui stasera e partecipare a questo spostamento teutonico: le donne che sono qui non certo perché si mangia gratis", ha detto l'attrice durante il suo discorso con quella sua solita pacatezza che la contraddistingue. Il film – in uscita nelle sale italiane l'undici gennaio prossimo per la 20th Century Fox - ha vinto anche quello per il miglior attore non protagonista – assegnato a Sam Rockwell (nei panni di un agente violento) - e per la migliore sceneggiatura, bissando così quello già ricevuto all'ultima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, dove è stato presentato in anteprima.

Il regista messicano Guillermo Del Toro è invece il miglior regista grazie al suo La forma dell'acqua, la storia dell'incontro tra una donna delle pulizie muta e un uomo pesce, una divinità per il popolo amazzonico e un mostro da sfruttare per il governo americano della Guerra Fredda. "I film, questi strani giocattoli mi hanno salvato la vita", ha dichiarato stringendo forte il suo primo Golden Globe. "Fin dall'infanzia sono stato salvato dai mostri perché sono lo specchio delle nostre imperfezioni".

Miglior commedia è Lady Bird di Greta Gerwig - un film che racconta il difficile rapporto tra una giovane ragazza che cerca di realizzare i suoi sogni e i suoi genitori – interpretato dalla ventitreenne Saoirse Ronan, premiata come migliore attrice. "Big Little Lies"- la miniserie tv che racconta un piccolo mondo a Monterey di madri che si trovano a condividere dolori e segreti e ad affrontare insieme le violenze domestiche – ha vinto invece come migliore serie drammatica e per le sue protagoniste: Nicole Kidman e Laura Dern. "Mia madre è stata una femminista e grazie a lei sono qui oggi", ha ricordato la Kidman, dopo aver ricordato sua sorella e le colleghe sul set: Reese Witherspoon, Shailene Woodley, Zoë Kravitz e la stessa Laura Dern, premiata per il suo ruolo di "una donna scandalosa e terrorizzata", come l'ha definita l'attrice preferita di David Lynch, perché la sua bambina ha subito una violenza e ha paura di alzare la voce. "A tutte noi – ha aggiunto - è sempre stato detto di non fare pasticci e invece è arrivato il momento di migliorare la vita dei nostri figli insegnando loro che si può alzare la voce per denunciare violenze e abusi senza paura di avere conseguenze".

Momento clou della serata, il discorso di Oprah Winfrey, poco più di nove minuti che sono già nella storia di Hollywood, un vero e proprio manifesto politico apprezzato da milioni di spettatori che si sono scatenati sui social network dichiarandole la voglia di vederla candidata alle elezioni americane del 2020. Standing ovation per il suo discorso sulle donne, dopo quella per Kirk Douglas, 101 anni, accompagnato dalla nuora Catherine Zeta Jones, e per Barbra Streisand, nel ruolo di presenter.

Tra gli attori, il miglior in una miniserie o tv movie è Ewan McGregor per "Fargo" e . Per lui il primo Golden Globe e il Miglior attore in una serie drammatica è Sterling K. Brown per "This is us", primo attore afroamericano a vincere in questa categoria. Alexander Skarsgård ha vinto per il suo ruolo di marito violento in Big Little Lies mentre Aziz Ansari ha vinto come miglior attore in una serie tv a commedia o musical per Master of None - quella in cui ha lavorato anche Alessandra Mastronardi, bellissima sul red carpet in Chanel.

Gary Oldman ha ritirato il Golden Globe come miglior attore drammatico per L'ora più buia in cui interpreta il Cancelliere Winston Churchill – "un film che mostra come le parole e le azioni possono cambiare il mondo, e sappiamo quanto ne abbiamo bisogno oggi" – mentre al compositore Alexander Desplat è andato quello per la miglior colonna sonora del film di Guillermo Del Toro La forma dell'acqua. La migliore canzone invece è stata giudicata This is me dal musical The greatest showman, i compositori Benj Pasek, Justin Paul (vincitori lo scorso anno dell'Oscar per La La Land) e il miglior attore per la commedia "The Disaster Artist" è James Franco che l'ha diretta, la storia vera dell'attore Tommy Wiseau, poi chiamato sul palco.

La serata verrà poi ricordata anche perché c'è stata la prima uscita pubblica del movimento Times Up, il progetto volto a prevedere un fondo per il sostegno legale a donne e uomini molestati sessualmente sul lavoro e sostenuto da Meryl Streep, Cate Blanchett, Ashley Judd, Natalie Portman, Reese Witherpoon e molte altre, compresi gli attori – alcuni dei quali in total black persino nella camicia (da Ralph Fiennes a RickyMartin, da Ewan McGregor Guillermo Del Toro) e con la spilletta del movimento in bella mostra sull'occhiello della giacca. Hollywood si è svegliata e non perdona, questo è certo.

 
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Direttrice di RT risponde alle nuove accuse della CIA su ingerenza russa nelle elezioni da sputnik

Post n°14200 pubblicato il 14 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 

Margarita Simonyan

Tra cinque anni negli Stati Uniti capiranno che non c'è stato alcun intervento russo nelle presidenziali del 2016, ha dichiarato la direttrice del network televisivo Russia Today (RT) Margarita Simonyan.

Durante un'intervista sulla CBS, alla Simonyan è stato chiesto cosa pensasse della valutazione dei servizi segreti statunitensi, che hanno preso atto "dell'ingerenza russa" nelle elezioni negli Stati Uniti e del coinvolgimento di RT in questo processo.

"Voi ci credete. Proprio come credevate che ci fossero armi di distruzione di massa in Iraq. Forse non ci credevate? Continuate ad essere convinti che ci sia stata l'ingerenza russa nelle elezioni americane. Tra cinque anni scoprirete che non c'era nulla", ha affermato la Simonyan.

Ha inoltre negato il fatto che RT abbia sostenuto Donald Trump durante la campagna elettorale.

"Il nostro errore è stato che RT non ha appoggiato Hillary Clinton", ha ironizzato la Simonyan.

Allo stesso tempo ha sottolineato che molti media britannici e francesi si sono schierati apertamente per la Clinton durante la campagna elettorale, tuttavia la loro posizione non è stata considerata in America come un'ingerenza nel processo elettorale.

Nel Congresso americano sono in corso inchieste indipendenti "sull'intervento russo" nelle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, in cui ha vinto Donald Trump. L'indagine sul Russiagate è condotta dal procuratore speciale Robert Mueller. Nei media statunitensi regolarmente vengono pubblicate notizie con riferimento a fonti anonime relative ai contatti dei membri dello staff elettorale di Trump con funzionari e uomini d'affari russi.

La Russia ha ripetutamente smentito le accuse di ingerenza nelle elezioni americane: il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov le ha definite "assolutamente infondate".

 
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Molestie sessuali, Deneuve: “Stop alla caccia alle streghe, provarci è un diritto dell’uomo” da la stampa

Post n°14199 pubblicato il 14 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 
Tag: news

Lettera aperta su Le Monde di cento artiste e intellettuali. L’ira delle femministe: fanno apologia dello stupro

L’attrice Catherine Deneuve

L’ondata di denunce contro le molestie sessuali seguita allo scandalo di Harvey Weinstein ha suscitato la contro-reazione di un centinaio di donne francesi, tra cui Catherine Deneuve, che si sono schierate contro questo nuovo «puritanesimo». La famosa attrice, insieme a scrittrici, artiste e accademiche, ha aderito alla lettera aperta, pubblicata da Le Monde, nella quale si condanna la «caccia alle streghe» che è seguita allo scandalo a Hollywood e che minaccia la libertà sessuale. 

 

LEGGI: LA LETTERA APERTA PUBBLICATA SU LE MONDE  

 

«Lo stupro è un crimine, ma tentare di sedurre qualcuno, anche ostinatamente o in maniera maldestra, non lo è, come la galanteria non è un’aggressione machista», si legge.  

 

Per le firmatarie, pur lodando «una legittima presa di coscienza delle violenze sessuali esercitate sulle donne, in particolare in ambito professionale», «questa liberazione della parola è diventata oggi il suo contrario: intimidiamo le persone affinché parlino “correttamente”, mettiamo a tacere chi non si allinea e quelle donne che rifiutano di conformarsi sono considerate traditrici e complici». 

«Gli uomini - aggiungono - sono stati puniti sommariamente, costretti alle dimissioni quando tutto quello che hanno fatto è stato toccare il ginocchio di qualcuna o cercare di rubare un bacio, parlato di argomenti intimi durante cene di lavoro o aver inviato messaggi a connotazione sessuale a donne per la quale l’attrazione non era reciproca». 

La tribuna su Le Monde ha fatto infuriare le femministe francesi, che hanno replicato a Deneuve & C. con parole durissime. A capeggiare la rivolta è la militante Caroline De Haas, che ha raccolto una trentina di firme. Intervistata da France Info, ha detto fra l’altro: «Le firmatarie della tribuna su Le Monde sono per la maggior parte delle recidive in materia di difesa di pedocriminali o di apologia dello stupro». «Questa tribuna - si legge nel testo delle femministe - sembra un po’ quel collega fastidioso, quello zio noioso che non capiscono quello che sta succedendo. Appena si fa un passo avanti nell’eguaglianza, anche se di mezzo millimetro, delle anime pure ci mettono subito in guardia sul fatto che rischiamo di cadere nell’eccesso. Ma nell’eccesso ci siamo in pieno, in Francia ogni giorno centinaia di migliaia di donne sono vittime di molestie, decine di migliaia di violenze, centinaia di stupri». Insomma, «i maiali e i loro alleati/e si preoccupano - concludono le femministe - e fanno bene. Il loro vecchio mondo sta per scomparire. Lentamente, troppo lentamente, ma inesorabilmente. Qualche reminiscenza polverosa non cambierà niente, anche se pubblicata su Le Monde». 

 
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The Day After – Il giorno dopo (1983)

Post n°14198 pubblicato il 14 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 

sabato 8 giugno, 2013 | di Lisa Cecconi
The Day After – Il giorno dopo (1983)

SPECIALE APOCALISSE AL CINEMA
L’Apocalisse senza redenzione

“La gente è stupida ma non fino a questo punto”. Russell Oakes, medico del Missouri, scarta l’ipotesi di una guerra nucleare. I telespettatori del 1983 non si sentivano altrettanto ottimisti. Quando videro The Day Aftersu ABC – un’audience di circa 100 milioni – un apposito numero verde fu istituito per tranquillizzarli.

Reazione comprensibile considerato il momento storico. La Guerra Fredda era ancora in corso e il primo mandato di Reagan aveva acceso toni ben lontani dal successivo clima di distensione. Evacuazioni simulate e costruzione di rifugi atomici erano realtà tutt’altro che sconosciute.mediacritica_the_day_after1a Ma se il film di Nicholas Meyer turbò a tal punto i suoi spettatori non lo si deve soltanto a questo. Film del dopo, del pulsante schiacciato, The Day Aftermette in scena il disastro atomico con tetro disincanto. Un orrore senza discernimento che travolge l’umanità con ferocia ineluttabile. La lunga sequenza apocalittica, con l’esplosione dei missili nucleari, è una sinfonia di morte ancora impressionante. Non soltanto per l’efficacia degli effetti speciali, comunque premiati con un Emmy, ma soprattutto per il realismo impietoso con cui falcidia indistintamente famiglie e bambini, città e fattorie, nullificando ogni forma di esistenza. “Il giorno dopo” in questione non è certo quello di Emmerich, con un manipolo di eroici superstiti che si riabbracciano nella luce aurorale. È piuttosto una carrellata di disperata desolazione. Il sermone di un prete ha il suono irritante delle promesse tradite per una sparuta comunità agonizzante colpita dalle radiazioni. Le parole di un presidente invisibile cianciano di vittoria e di perdite contenute, mentre squallore e devastazione si susseguono nel montaggio. Il mito di un’America “in missione per conto di Dio” si rivela come menzogna al servizio del potere. Con il Vietnam sulla coscienza e una profonda sfiducia nei vertici, il soldato che diserta non è più simbolo di vigliaccheria ma di buon senso e lungimiranza. Il medico e il padre di famiglia completano il quadro delle figure idealmente intese a guida e protezione, adesso costrette all’impotenza. Altrettanto significativa la scelta di concentrarsi sulla popolazione di Kansas City. Niente Washington D.C. né imponenti Statue della Libertà, ma miglia e miglia di periferia ridotta a un’uniforme landa desertica. Non c’è quindi da stupirsi se il film suscitò polemiche e costernazione. Un’accoglienza che sconta tutt’ora, troppo spesso liquidato come l’ennesimo blockbuster privo di interesse se non per lo spettacolo. Decisamente, nulla di più falso.

The Day After – Il giorno dopo [The Day After, USA 1983] REGIA Nicholas Meyer.
CAST Jason Robards, JoBeth Williams, John Cullum, John Lithgow, Steve Guttenberg.
SCENEGGIATURA Nicholas Meyer. FOTOGRAFIA Gayne Rescher. MUSICHE David Raksin, Virgil Thomson.
Drammatico, durata 126 minuti

 
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Benedetta follia

Post n°14197 pubblicato il 14 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Benedetta follia

Post n°14196 pubblicato il 14 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 

Benedetta follia è un film di genere commedia del 2018, diretto da Carlo Verdone, con Carlo Verdone e Ilenia Pastorelli. Uscita al cinema il 11 gennaio 2018. Durata 109 minuti. Distribuito da Filmauro di Luigi e Aurelio De Laurentiis.

Poster

Scritto, diretto e interpretato da Carlo VerdoneBenedetta Follia segue le vicende di Guglielmo (Verdone), uomo di specchiata virtù e fedina cristiana immacolata, proprietario di un negozio di articoli religiosi e alta moda per vescovi e cardinali. I valori su cui l'uomo ha fondato la sua esistenza crollano all'improvviso quando sua moglie Lidia (Lucrezia Lante della Rovere) lo abbandona dopo venticinque anni di matrimonio, proprio nel giorno del loro anniversario. La vita però riserva ancora qualche sorpresa allo sfortunato Guglielmo, che in una giornata come tante nel suo negozio riceve la visita di un'imprevedibile candidata commessa: Luna (Ilenia Pastorelli), una ragazza di borgata sfacciatissima e travolgente, volenterosa ma altrettanto incapace, e adatta a lavorare in un negozio di arredi sacri come una cubista in un convento. Luna traghetterà l'abbottonato datore di lavoro attraverso un mondo proibito di single allo sbaraglio, fatto di appuntamenti al buio, app di incontri come "Lovit", la più hot del momento, ed esilaranti tentativi di donne disposte a tutto pur di trovare l'anima gemella. Letizia, Raffaella, Adriana: incontri imbarazzanti, buffi e sorprendenti o incontri casuali come quello con Ornella (Maria Pia Calzone). 
E visto che la realtà supera l'immaginazione, le vite di Guglielmo e Luna avranno dei risvolti totalmente inaspettati. Perché, come quelle del Signore, anche le vie dell'amore sono infinite.


Dal 2006 Carlo Verdone è passato nella scuderia di De Laurentiis, e sotto l'egida FilmAuro arriva in sala anche questo Benedetta Follia. Nonostante una sostanziale continuità produttiva, Verdone nel corso dei suoi quasi quarant'anni di carriera cinematografica si è sempre rimesso in gioco seguendo una precisa strategia: associarsi agli autori e agli attori del momento, cogliendo la doppia occasione di aggiornarsi sugli interessi del pubblico e arricchirsi con esperienze diverse. Benedetta follia non fa eccezione, perché è il primo copione che Carlo Verdone scrive con Nicola Guaglianone e Menotti, già coautori di quel piccolo fenomeno che si è rivelato Lo chiamavano Jeeg Robot. Una new wave romana per un artista fieramente romano, senza peraltro uscire troppo dal seminato, perché Guaglianone ha dato il suo contributo anche a una commedia satirica come L'ora legale di Ficarra & Picone. 

Da Lo chiamavano Jeeg Robot viene comunque anche l'ex-modella Ilenia Pastorelli, vincitrice nel 2016 del David di Donatello come migliore attrice proprio con quel film che rappresentò il suo esordio cinematografico, dopo essere arrivata sino alle semifinali della dodicesima edizione del Grande Fratello nel 2011-2012. 
Più rodati gli abituali recenti collaboratori di Verdone: Lele Marchitelli, apprezzato autore di musiche per programmi storici della gang Guzzanti-Dandini, cominciò il suo viaggio con Carlo (non continuativo) oltre vent'anni fa, col lungometraggio un po' amaro Sono pazzo di Iris Blond (1996), nel quale la musica aveva un ruolo di rilievo, così come ha un ruolo di rilievo per il Verdone uomo e artista. Meno di lunga data il rapporto col direttore della fotografia Arnaldo Catinari, che per la regia di Carlo Verdone si è occupato delle luci solo del precedente L'abbiamo fatta grossa. 

Le riprese sono state effettuate a Roma durante la torrida estate del 2017, quando il termometro ha spesso toccato (e superato) i 40 gradi, costringendo la troupe di Verdone a qualche stop per le riprese in esterni. Il personaggio interpretato da Carlo ha una bottega di oggetti sacri in Via dei Cestari, zona realmente famosa in città per queste attività.

Le coreografie della sequenza di ballo sono di Luca Tommassini.

FRASI CELEBRI:

 

Dal Trailer Ufficiale di Benedetta Follia

Guglielmo (Carlo Verdone): Sono 25 anni di matrimonio, ma ci amiamo come se fosse il primo giorno. 
Lidia (Lucrezia Lane della Rovere): È da un anno che io mi vedo con un'altra persona. 
Guglielmo: ... Eh? ...Chi è questa persona? 
Lidia: Silvana! 

Guglielmo al figlio: Tua madre c'ha una relazione con la mia commessa ed è una cosa normale?! 

Luna (Ilenia Pastorelli): So' venuta p'aa annuncio. L'inglese lo mastico, eh! [mentre mastica una chewing gum] 
Guglielmo: Eh, lo vedo... 
Luna: Hambuger, all inclusive. Che dice, so' assunta? 

Guglielmo: Mia moglie mi ha lasciato per una donna. 
Luna: Ah vabbè, è lesbica! 
Guglielmo: Sarò senza speranza... 
Luna: Ah, però, dove non c'è speranza ci sta... Lovit! 

Luna: Ma guardi che bel profilo che gli ho fatto, eh! 

Luna: Sua moglie sa'a deve dimentica'! 26 chiamate in uscita! Solo ieri sera. 
Guglielmo: Non trovavo il libretto d'istruzioni dell'asciugapanni. 
Luna: Alle 3 de notte? Ma dai... 

Luna: Io la cambio da così a così. Se fida? 

Guglielmo: Io voglio vivere. Mi sono stufato! Devo recuperare quello che ho perso. 

Guglielmo: La posso invitare a bere una cosa? 
Dottoressa: Ma che, ce sta a prova'? 

Guglielmo: Mi ha scambiato sicuramente per un drogato e un depravato. 
Luna: Ah, vabbè, come tutti l'ex mia! Quello se recupera, dai. 

Guglielmo: Ma dove l'hai messo? 
Donna con cui è a un appuntamento: Nel posto più bello del mondo... 
Guglielmo: Ridamme il telefono! 
[vibrazione] 
Donna: Non posso...

 

 
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