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L'incontro. Bar Caffetteria.

Post n°21 pubblicato il 02 Febbraio 2009 da je_est_un_autre

“Lolezo, tu volele gualdale Bolonia ogi? No ploblema, ogi apelto, tu venile tle e un qualto e vedele paltita qui, va bene Lolezo?”

 

Ad essere appassionati di calcio sembrerebbe una bella fortuna avere il pomeriggio libero nel recupero di campionato (che ieri a Bologna è caduto un centimetro di neve, cosa vogliamo fare: giocare la partita? ma siamo matti?), dicevo: sembrerebbe una bella fortuna, non fosse che:

 

1 si è tifosi della squadra più sfigata del sistema solare, ovvero, vedi punto 2

2 si perde spesso, si soffre sempre

3 il baretto dei cinesi che trasmette la partita è pieno di vecchi inaciditi, sputazzanti e litigiosi.

 

La parte migliore sono i baristi cinesi. Il gestore ha un nome impronunciabile e si fa chiamare Mario. Io mi sono mostrato disponibile ad imparare il suo vero nome, ma lui appare sfiduciato sulle mie capacità di apprendimento. “No Lolezo, mio nome Malio”.

E’ un buon diavolo, Malio, e oggi mi sono chiesto che cosa si prova ad affrontare un viaggio di 15000 km, partendo da Shangai, per poi arrivare in un buco di paese dell’Emilia più profonda, e ritrovarsi un bel giorno a sedare un inizio di rissa scoppiata tra Cecco Parpalete e lo Zio.

 

Cecco Parpalete è l’etilista del paese. Non sempre nei bar gli servono da bere e allora lui ha aggirato il problema e si porta la bottiglia da casa. Lo Zio ha centocinquant’anni e vanta una carriera da giocatore di serie A (“ho giocato nel Legnano!”) mai verificata da nessuno.

Poi c’è il Muto. Che fa più casino degli altri, perché batte le mani per attirare l’attenzione e picchia i pugni sul tavolo e soffia e fa il gesto di estrarre il cartellino giallo contro tutti, ma soprattutto rompe i maroni.

 

 E poi Clavdio. Con la “v”. Clavdio è l’unico essere umano capace di sbriciolare la mia mitezza in sole due parole. Il problema è che durante una partita di calcio di parole ne dice due milioni (e sono due milioni di cazzate, potete credermi). Clavdio demolisce tutto e tutti parlando senza sosta: qualità del gioco, calciatori, tifosi, avventori del bar, baristi cinesi: nulla sfugge alla sua forza distruttrice.

E’ in mezzo a questa fauna che mi sono seduto alle tle e un qualto, pieno di foschi presagi.

Al primo gol di Mutu, Clavdio aveva già annientato la già derelitta difesa rossoblu. Io, silenziosamente, rivalutavo la tortura. Al secondo gol dello stesso Mutu, Clavdio, dimostrando un’assoluta indifferenza nei confronti delle pause di respirazione, aveva messo una pietra tombale sulla storia centenaria del Bologna, e anche sui prossimi cento anni a venire. Io fantasticavo su ferri arroventati, ma anche, più modestamente, su coltelli piantati vigliaccamente nella schiena.

 

Poi è stato il coma di una squadra che sembrava, a differenza degli altri, giocare su una pista saponata - fino alla fine, giunta come sempre dopo 90 minuti. Che a me sono sembrate 90 ore.

Per la prima volta in vita mia mi è quasi venuto da dare ragione a Clavdio.

Al triplice fischio finale ha fatto la prima pausa dall’inizio della partita e ha proferito le sue ultime, meditate parole:

“Tanto a me non mi piace il calcio. A me mi piace il basket”.

 

 
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