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CARNEVALE

Post n°23 pubblicato il 19 Febbraio 2009 da je_est_un_autre

Tra il tavolo degli stuzzichini e la vetrata, tra il parquet lucido e i tubi al neon - la vedo. Mi dà le spalle, e penso che è meglio così - lo sento, sta arrivando, eccolo qui: il guizzo alle viscere, il tuffo allo stomaco: si allarga, sempre più in profondità, in piccoli cerchi concentrici di dolore formicolante. E’ insieme alla sua amica di sempre, la sua sentinella sempre all’erta.

La Sentinella mi vede e fa “Oh, guarda guarda chi abbiamo qui” e mi sorride, ma di un sorriso che non coinvolge gli occhi; quegli stessi occhi che mi stanno dicendo: ti odio da sempre.

“Anch’io”

 “Anch’io, cosa?”

 “Niente, volevo dire: come va?”

 E qui si gira Lei. Ha lo sguardo splendente, quello di sempre.

 “Tu?”

 Prende un respiro, poi: “Ciao!”

 “Ciao”

 C’è un momento di silenzio, e la Sentinella capisce.

 “Vado, ci vediamo fra un po’” e le lancia un’occhiata che vuol dire, guardati da questo stronzo.

 “Come stai? E’ tanto tempo, vero?” chiede. Sì, lo è. “Non pensavo saresti venuto qui. Queste feste sono terribili”

 “E’ vero, ma non avevo ancora visto le nuove sale”

 Che musica terribile. Dove l’ho sentita? Credo,  in un trailer di uno stupido film di natale. O era uno spot di telefonini?

 “Sono belle, vero? Il posto è molto ben curato, i ragazzi hanno fatto un buon lavoro. Pare si riesca a lavorare molto bene, qui” dice.

 Strizzo gli occhi, ho un ronzio nella testa: “Dovrei vederlo di giorno, ma l’impressione è buona”

 Questo lato della sala deve essere circa 8 metri. La profondità, circa…cinque metri e mezzo. Ecco, ora disegno una riga, da un vertice all’altro, ecco, così, e poi da quello opposto all’altro vertice ancora e adesso…devo…devo guardare in alto, e cercare il punto mediano, perdonami, devo farlo…

 “Cosa guardi?” chiede.

 “Come? Nulla, queste luci. Fanno un po’ discoteca anni ’70, Giuliano ha un gusto un po’ antiquato”

 “E’ vero” sorride “Ho sentito che stai lavorando” dice “bene, no?”

 “Sì, bene”

 “E com’è?”

 “Mh”

 Il parquet ha le piastrelle grandi. Si chiamano piastrelle? Non credo. Se metto ad angolo retto il piede sinistro rispetto al piede destro, riesco a non pestare nessuna riga.

 “E tu?” chiedo, sfregandomi una tempia.

 “Il solito: via tutta la settimana, poi a casa nei weekend”

 Due metri e mezzo da qui alla vetrata, il punto mediano deve coincidere col lato inferiore del tavolo, o forse col bordo di quella bottiglia d’aranciata.

 “Ti trovo bene” dico.

 “Grazie” fa “anche tu stai bene”. Poi aggiunge “perché lo dici così serio?” e la sua voce trema appena, o forse così mi sembra.

 Duecentocinquanta centimetri diviso due, centoventicinque centimetri.

 “Come va col ragazzino?” sto dicendo questo, ed esce troppo in fretta, e poi quel ‘ragazzino’ ha un suono così cattivo, non volevo, non volevo.

 “Per favore” ed è solo un soffio, il suo.

 “E’ tornato?”

 “No”

 “Ma state insieme?”

 “Lo sai, che non si tratta di quello”

 “Non mi prendere in giro. Perché non è tornato?”

 “La sua vita è un casino. Ha combinato un sacco di guai, laggiù”

 “Ma guarda. E comunque basterebbe questo, per decidersi a partire. E dove vive ora, sotto un ponte?”

 “Ti prego…”

 “Vive sotto un ponte?”

 “Sta da suo fratello”

 “Oh, certo, gli fa da balia. Non ce la può fare a cavarsela da solo”

 Abbassa lo sguardo e scuote la testa, forse è spazientita, sta per dire qualcosa, ma in quella arriva il Direttore, che mi sorride largo e dice:

 “Ah, finalmente! Era ora che venissi a fare un giro qui da noi! Ebbene, che cosa mi dici? Bello qui, vero?”

 “Molto, davvero. Avete fatto un ottimo lavoro, devo farvi i complimenti”

 “Abbiamo messo in piedi questa serata, sai, è per l’autofinanziamento. Certo che Giuliano ha un gusto così antiquato”

 “Dici? Non ci avevo fatto caso”

 “E comunque dovresti vedere questo posto di giorno, ti sorprenderebbe”

 “Mi sembra un’ottima idea”

 “Vi lascio parlare. Non far passare un altro anno prima di farti vedere, ok?”

 “Ok”

 Se ne va, e noi rimaniamo zitti per un po’.

 Poi Lei d’improvviso mi fa “Non riusciamo a parlare di nulla che non sia quella cosa?”

 E io: “Mentre guidavo per venire qui, speravo di trovarti e speravo di non trovarti, e al centro esatto di entrambi questi pensieri ci sei tu. E se c’è il pensiero di te, è un pensiero sensuale e doloroso, da cui non riesco a liberarmi. Fino a ieri era così anche per te. Che cosa è successo?”

 “No, adesso basta”

 “Che cosa? Che cosa?” e non me ne rendo conto ma sto quasi urlando, perché lei mi dice:

 “Sei ubriaco. Hai bevuto prima di arrivare, vero?”

 “Che cosa è…”

 “Basta, vado via”

 E non so da dove, ma mi viene un sussulto che è un impasto di orgoglio e di nausea:

 “No, vado via io. Dimenticati di questa conversazione”

 “…”

Mi allontano, saluto qualcuno velocemente, e intanto penso che stiamo invecchiando e alle occasioni perdute e alle parole sbagliate, e a noi, sempre spostati, sempre di un poco spostati.

 Fuori, la notte è fredda e la luna splende lassù, del tutto inutile.

 Chiudo gli occhi per un momento e apro la bocca per sentire il sapore dell’aria.

 Vorrei prendere a cazzotti il cielo.

 

 

 

 

 
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