L'atrabilioso

Volterra


E' stata una giornata attesa, immaginata, lunga, estenuante. Iniziata varcando quei cancelli.Per ragioni di sicurezza funziona così: tu entri alle 9 di mattina e fino alle 8 di sera, orario d'inizio dello spettacolo, non hai niente da fare. Stai nel cortile dove è montato il palco, circondato da sbarre da ogni lato, e aspetti. Libertà di movimento limitatissima. Anche per andare in bagno devi chiamare un secondino - sempre gentilissimo, sempre di pochissime parole - che ti apre almeno un cancello e una porta. L'ambiente si presenta in questo modo: un enorme cortile diviso in tanti piccoli cortiletti ognuno separato dall'altro da sbarre altissime. Vent'anni di attività della Compagnia della Fortezza all'interno del carcere hanno lasciato il segno, e così ogni cortiletto ha un nome letterario o teatrale: "Spazio Artaud", "Spazio Kafka" e così via. I contatti coi detenuti sono pochi. Li guardi oltre le sbarre, ma l'effetto zoo mette a disagio. Più noi di loro, mi pare.Pure, li abbiamo visti. Molti 41bis, molti fine pena mai, diversi a tempo, anche. Quello stesso panorama di sbarre ogni minuto di ogni ora di ogni giorno forse per sempre. Prima di mettere piede lì dentro non è che lo capisci tanto cosa possa significare. Facevano l'ora d'aria. Qualcuno giocava a bocce, i più camminavano avanti e indietro come si vede nei film, altri facevano flessioni. La mattina un nero gigantesco in un cortile tutto per sè faceva un allenamento al sacco, quello dei pugili. Ci sono anche alcune facce dure che dopo te le ricordi, e una concentrazione di tatuaggi mai vista prima. La sera i detenuti si mescolano agli spettatori normali e vedono lo spettacolo. Ed è lì che salta fuori un lato inatteso, sorprendentemente umano. Sono, come dire, sono davvero senza filtri, come un pubblico di bambini. Ti amano, gli piaci? Te lo fanno sentire eccome. Pestano i piedi, ridono, applaudono, fanno commenti a voce alta. Non gli piaci? Te lo dicono, te lo urlano proprio, e lasciano la platea senza porsi problemi.Per fortuna siamo piaciuti.C'è una frase ricorrente, nello spettacolo: "Toni, sei libero". Ce la urlavano ridendo, con gli occhi accesi, mentre se ne tornavano in fretta alle celle, dopo lo spettacolo.Noi, chissà se ci avevamo pensato fino in fondo. Ma per loro, non è che non voglia dir niente.