L'atrabilioso

Ultima conversazione. Dialogo. (II)


 LUI: A me i santoni non sono mai piaciuti. Mi ricordo che c’era uno, una volta, che si credeva un santone. E invece era solo uno di questi fatui cantanti pop. Una mattina si svegliò, si guardò allo specchio e si disse: ehi, ma io sono un santone. Io fino a quel momento credevo mi piacesse, avevo tutti i suoi dischi, poi andai a vederlo ad un concerto. Non sorrideva mai, studiava il pubblico con lo sguardo serio e faceva pesare i silenzi più delle sue mediocri canzoni. Così andai a casa e tentai di spaccare un vinile, e scoprii in quell’occasione che si tratta di un’impresa difficilissima. Ma sì, forse sono io che manco di spiritualità, di profondità. E così ti eri innamorata di un aspirante santone. Non lo sapevo. Com’era, aveva una gran barba? Una gran barba è un accessorio fondamentale per essere dei mistici di buon livello. Non lo so, naturalmente non lo posso sapere com’era il tuo santone. Lo vedi che non è un caso se ti faccio tutte quelle domande sul tuo passato? Mi mancano un mucchio di pezzi. C’è un buco qui, un altro là, un’enorme falla laggiù. Pazienza. Certo potresti cercare di essere più delicata con le mie delicatezze. Delicatezze che si rincorrono, non è una bella immagine? Perché, intendo dire, non è forse una delicatezza stirare una piccola ruga di preoccupazione? E poi ci sto attento, i miei polpastrelli si posano morbidi, non li trovi morbidi? Mi hanno sempre fatto i complimenti per la morbidezza dei miei polpastrelli, sono sicuro che non lo sapevi. Ci mancano un mucchio di pezzi l’uno dell’altra, e tu ti muovi nella vita come se questo non volesse dir nulla.