L'atrabilioso

Quando le cose belle durano troppo poco


Mi hanno detto che così conciato somiglio ad Aldo Maccione. Cioè, me l'hanno detto dopo, guardando una foto scattata sul set. L'ho preso come un grande complimento: mi piace, Aldo Maccione. Non so se l'avete presente, con quella sua tipica figura da italiano simpatico, fanfarone, un po' sfrontato e un po' goffo - non a caso amatissimo in Francia. Io invece, appena uscito dalle sapienti mani degli addetti al trucco e parrucco, mi sono guardato e non ho potuto non pensare a mio padre, che era un italiano timido e gentile. La scena non era niente di che, come dicevo: semplicemente un episodio della giovinezza del protagonista, che marginalmente incontra questo ingegnere che sono poi io, e con uno scambio di battute che, credo, dovrebbe risultare leggero e divertente. Sulla lingua e gli accenti mi ero fatto fin troppi problemi: nessuno sul set capiva veramente la differenza tra emiliano e romagnolo, come parlavo io gli andava benissimo, e l'assistente al dialetto (esiste, giuro: ama presentarsi come la "dialect coach") non  ha avuto nulla da ridire - e comunque aveva il suo daffare col protagonista, che di emiliano non ha nulla, ma è bravissimo e farà molto bene.Per concludere posso dire che le cose belle durano troppo poco; che il regista si fa ben volere, è giovane e sempre sorridente, non ho percepito nessuna tensione e non è affatto scontato; che l'alberghetto in cui mi hanno riportato la sera dopo le riprese, a Roma, era perfetto, malinconico il giusto; e che forse, forse, è un peccato che abbiamo smesso quasi del tutto di usare la giacca e la cravatta.