L'atrabilioso

Gufi


Ieri ho visto dei gufi. Molti gufi. Fermi, su un albero alla fine del viale, al paesello. Non so nemmeno se ne avevo mai visto uno, e tutto in una volta eccone lì una colonia, una legione, una moltitudine. Poco prima di arrivare lì, sempre lungo il viale, un conoscente mi aveva preannunciato la cosa: "Bàin, èt vést? l'é péin ed gufi!" e io ho pensato che mi prendesse in giro, o che usasse il termine "gufi" in quel modo esecrabile e molto in voga in cui l'animale è sinonimo di annunciatore di sventura. Invece no, aveva ragione. Erano tutti lì. Immobili. Mi sono sorpreso.In effetti il mio unico contatto con questi volatili notturni, se ben ricordo, risale a tanti anni fa. Tornavamo a tarda notte da un locale e ci fermammo in aperta campagna per espletare certe necessità legate soprattutto al considerevole consumo di birra. E insomma sono sotto quest'albero e d'improvviso, a due metri da me, vedo questo gufo (o forse era un barbagianni?) che mi guarda. Voi lo sapete che facce hanno. Belle, ma un po' severe, sempre accigliate. Silenzioso, mi guardava come un vecchio professore che ti interroga. Io non avevo studiato e me la sono filata in fretta.Anche ieri, in mezzo a questo villaggetto di gufi, ce n'era uno che mi guardava fisso, come quello di un tempo. Forse era lo stesso. Lo stesso professore di tanti anni fa. Mi guardava come a dire: "e stavolta hai studiato?" Molto in colpa, ho guardato il cane Spike sperando in un suggerimento, ma quello figurati, guardava da tutt'altra parte. "Niente", ho detto io. E il professore, che porta molto bene i suoi anni, in quel momento ha aperto le ali ed è volato via, due ali grandi così, bellissime.Adesso studio che se lo incontro voglio fare bella figura.