L'atrabilioso

Perchè si scrive


Perchè si scrive? Mi sono posto la domanda quando finalmente qualche anima buona (un paio tra amici e colleghi) ha avuto la bontà (appunto) di leggere una commedia che ho scritto e della quale parlai qui sopra, tempo fa. Cioè, la cosa che più mi ha fatto pensare, tra le diverse osservazioni ricevute, è stata "ma che cosa volevi veramente dire, con questo lavoro?" e questo, io credo, non perchè non si capisca cosa c'è scritto dentro, ma la domanda, comune tra noi teatranti, voleva dire "che cosa ti ha mosso a scrivere? dove sta l'urgenza? qual è la domanda centrale che sta sotto a questo testo?". Ed è una domanda che io comprendo bene, ma che non ha risposta, perchè la questione, per me, ha preso una vaga forma solo alla fine, quando in fondo alla pagina ho scritto "Sipario" e ho cominciato a riflettere veramente su quello che avevo realizzato. Ma è meglio fare un passo indietro. Il primo momento in cui abbiamo cominciato a parlare della commedia è stato qualche minuto prima di un "Chi è di scena", quando io e l'altro attore con cui collaboro sempre ci siamo detti: "ma perchè invece di fare sempre dei testi scritti da altri, non ne buttiamo giù uno noi, veramente comico, pensato proprio per noi stessi?", e l'idea, paradossale, assurda, che ci venne in quel momento era fare una commedia in cui due gemelli diversissimi sono nella pancia della mamma e nell'attesa, parlano tra loro. Dopodichè, ci è stato dato effettivamente il "chi è di scena" e non ci abbiamo pensato per un po'. Poi, qualche giorno dopo, ci siamo messi al lavoro. A casa sua (del mio collega) di giorno discutevamo del lavoro ancora in embrione (è il caso di dirlo) parlando e parlando (soprattutto lui) e mangiando cioccolatini (soprattutto io); la sera, a casa, io scrivevo. E ne è venuta fuori una cosa dove la parte in cui i gemelli sono nella pancia della mamma si è ridotta a pochissime scene, mentre la gran parte dello spettacolo si svolge in un giorno importante della vita dei due fratelli, attorno all'età di cinquant'anni. Ed ecco, solo quando ho messo la parola "fine" mi sono accorto che il testo sembrava avere qualche ambizione in più, che in verità non c'è, o non pensavo ci fosse. Ovvero solo lì ho capito che, senza volerlo del tutto, mi ero affezionato alla vicenda di due fratelli che vorrebbero volersi bene e ogni volta che arrivano lì non hanno l'umiltà, o il coraggio, o l'intelligenza di lasciarsi alle spalle le ruggini e finalmente abbracciarsi. In sostanza, quasi sorprendentemente, ne è venuta fuori una storia sulle zavorre emotive, sul coraggio che manca, sulle occasioni perdute. Ma io, in fondo, so che volevo solo far ridere la gente.Credo che risponderò così, alla domanda dei miei amici. Sì, credo sia più onesto dire così.