L'atrabilioso

Di cosa parliamo quando parliamo di maschi


Sto notando un'equazione rischiosa, per quanto comprensibile in queste ore: uomo uguale individuo violento. E' la solita, odiosa storia della dittatura di una minoranza: per via di qualche (molti, troppi, lo so, ma pochissimi nel mare maschile) assassino, mostro, violento, si rischia di far passare l'intero genere cui appartengo composto solo da persone potenzialmente pericolose per le donne. Non è così. Ve lo assicuro.Sono stato, anch'io, come tutti più o meno, lasciato, abbandonato, mollato. Che cosa facevo, in quei casi? Mi disperavo. Nient'altro. Una naturale inclinazione al melodramma mi faceva comportare in modi di cui adesso dovrei vergognarmi, ma che volete, è così che sono (ero?) fatto: piangevo davanti a tutti, sfrantumavo i maroni agli amici fino a sfinirli, mi buttavo sul letto piangente e lì rimanevo per ore a fissare il soffitto mentre mia sorella, pietosa, mi teneva la mano. Insomma cose che adesso a pensarci mi fanno sprofondare nel terreno per la vergogna. Ma mai, mai, mi sarebbe venuto da correre da lei per picchiarla o peggio. In quei momenti la mia attitudine allo strazio mi faceva solo pensarla abbracciata a un altro. E giù lacrime.Poi finalmente, un mattino, settimane o mesi dopo, così, senza nemmeno sapere come, lei non era più il primo pensiero. Si era allontanata. Si poteva tornare a respirare. Insomma se ne esce. Anche attraverso il dolore. Che addirittura può essere anche più sobrio di così.Come tanti altri, ho scoperto che si poteva risorgere.Sì, lo so. Non si può liquidare la "cosa" con un "non siamo tutti così" ma non ho le competenze di un sociologo per fare le valutazioni che qualcuno dovrà pur fare.Però voglio dire: non fate quell'equazione. E' sbagliata.