L'atrabilioso

Andarsene così


Durante la funzione, la foto sulla bara mi ha ipnotizzato. L'ho guardata tutto il tempo, ascoltando con poca attenzione il prete, che ha avuto almeno il merito di usare un tono piano, non urtante. Tanto l'urto era comunque arrivato, deflagrante, inaudito, inaspettato, quattro giorni prima, con uno squillo del telefono.Dicevo della foto. E' uno scatto in cui sembra sereno, mentre da dentro la cornice dà l'impressione di restituire il mio sguardo. Deve essere stata scattata dagli spalti dello stadio di San Siro, si vedono i gradoni e lui indossa una felpa con lo stemma rossonero e la stella. Da bambini eravamo stati milanisti e lui lo era rimasto, mentre io passavo presto a tifare la squadra della mia città. Quasi coetanei, da bambini eravamo sempre insieme, io e mio cugino. In un paesino di campagna, 45-50 anni fa i genitori non si curavano troppo di sapere in ogni momento dove si trovassero i figli. Questo ci dava una libertà di cui forse non eravamo consapevoli ma che vista con gli occhi di oggi sembra irripetibile.Rimanevamo nella "fetta" (un pezzo di prato dietro la piazza) a giocare a pallone fino all'ora di cena, in qualunque stagione e soprattutto con quei clamorosi nebbioni che ora, nella pianura bolognese, non si vedono praticamente più. Oppure, come cavalieri senza paura, ci perdevamo nelle straducole di campagna ad esplorare i vecchi casali abbandonati. Oppure ancora, all'indomani di certe abbondanti nevicate, ci trovavamo con altri sotto il "monumento" a cercar di colpire a palle di neve il soldato in bronzo che celebra la prima guerra mondiale, o ad ingaggiare interminabili e innocue battaglie a pallate tra noi. Tornavamo a casa solo quando ci ricordavamo di averla, una casa, o quando qualche adulto veniva a cercarci. Rientravamo accaldati, stanchi, io spesso totalmente senza voce.Non so se infanzie così esistono ancora. Mi sembra tutto cambiato. Ma forse è il destino di ogni generazione, rimpiangere un passato che è sempre, invariabilmente, migliore del presente.Ci divertimmo, vero, Enrico? E' stato bello.Ma era finito così tanto tempo fa.Quel bambino dal caschetto biondo, dal sorriso largo, era diventato un adulto scontroso, chiuso, afasico, cupo. Le strade da adulti si separano, si sa, e così successe anche a noi. Quando a qualche riunione familiare (assai rara a dire il vero) ci trovavamo, scambiavamo poche parole, un saluto, poco più di un sorriso, non senza imbarazzo. Negli ultimi anni non so che cosa sia successo, non so che cosa abbia tenuto nascosto perchè tutto precipitasse così, in una malattia che deve essersi protratta per anni e di cui nessuno nulla sapeva, o almeno così pare; ma già da tanto, da molto prima, mi sembrava di intravvedere in lui una pulsione negativa, una voglia di allontanamento, in una scontentezza muta e scostante.Ma c'è qualche mistero, qualcosa che non so e se lui voleva il silenzio forse - anzi sicuramente - è meglio non andare oltre, anzi è più giusto fare un passo indietro, con quel nodo alla gola che da ieri non riesco a sciogliere.E il passo indietro ha quasi cinquant'anni, dove ci sono due bambini, due avventurieri felici, liberi, nella campagna aperta, che giocando abbracciano la vita.