Quando, da ragazzo, ti sei scoperto addosso gli stessi odori di tuo padre, sei rimasto sgomento: e il fastidio che ne derivava ti sconvolgeva, anche se non potevi e non volevi ammetterlo.E' la tua stessa storia, una storia di rimozioni, silenzi e sensi di colpa. Allora ti sei armato di tutto punto e, pronto ad andare, hai dichiarato guerra a tutte le reticenze. Ma la guerra la fa solo chi è in grado di farla. E così, non sei mai veramente partito. I primi ricordi non sono miracolosamente precoci: nè bacinelle d'ottone, nè asciugamani, nè balie. Ci sono, piuttosto: un'aula di scuola elementare dal soffitto straordinariamente alto (lo era davvero?) con le lettere dell'alfabeto appese al muro (ti ricordi con precisione la "I", con un imbuto disegnato a fianco), l'odore dei cessi, ed una biciclettina color ruggine. O forse era ruggine. Il mondo padano, fuori, sembrava immutabile e rassicurante. Dalle finestre più alte i rami dei tigli te li ricordi neri e scheletrici, e novembre non finiva mai. Nei lunghi pomeriggi d'estate ti lanciavi su un viottolo di campagna fino a quello che chiamavate "il ponte rotto" (ed era un piccolo ponticello fatto di pietre sopra un fosso), e da lì una volta cadesti sulle ortiche. Poi vi spingevate ancora più in là, dai pioppi e sull'argine. E ogni giorno era un'avventura da ricordare a casa, da solo, da vivere ancora, ancora una volta prima di dormire.Dov'è finita, la tua capacità di stupirti?L'adolescenza ti ha sorpreso inadeguato, goffo, impaurito. Odiavi tutto quello che vedevi, ma in verità avresti fatto come tutti (e lo facevi!), qualunque cosa, per mendicare amore o affetto o amicizia; e avresti fin rinnegato te stesso per ottenere un minimo di riconoscibilità, per essere accettato dagli altri, da chiunque.La sera chiudevi la tua stanza senza possibilità di appello, e ti raccontavi ogni cosa. Ti sentivi unico e solo.Se pensi al silenzio di cui facevi trincea, nella luce del giorno e in famiglia, ti vengono i brividi.Tuo padre non riusciva nemmeno a parlarti - ma tu lo guardavi, eccome se lo guardavi - e smoccolava tra sè nell'impossibilità di capire. Come somiglia a te, adesso. Avevi messo un sistema solare, un universo intero fra di voi, e non potevi più tornare indietro.La mancanza di senso di ogni cosa, il vuoto che ne proviene, mi dà i capogiri. Ecco come sono. Mi attacco a un rimpianto per non andare alla deriva.
Retrospettiva (Terza Parte)
Quando, da ragazzo, ti sei scoperto addosso gli stessi odori di tuo padre, sei rimasto sgomento: e il fastidio che ne derivava ti sconvolgeva, anche se non potevi e non volevi ammetterlo.E' la tua stessa storia, una storia di rimozioni, silenzi e sensi di colpa. Allora ti sei armato di tutto punto e, pronto ad andare, hai dichiarato guerra a tutte le reticenze. Ma la guerra la fa solo chi è in grado di farla. E così, non sei mai veramente partito. I primi ricordi non sono miracolosamente precoci: nè bacinelle d'ottone, nè asciugamani, nè balie. Ci sono, piuttosto: un'aula di scuola elementare dal soffitto straordinariamente alto (lo era davvero?) con le lettere dell'alfabeto appese al muro (ti ricordi con precisione la "I", con un imbuto disegnato a fianco), l'odore dei cessi, ed una biciclettina color ruggine. O forse era ruggine. Il mondo padano, fuori, sembrava immutabile e rassicurante. Dalle finestre più alte i rami dei tigli te li ricordi neri e scheletrici, e novembre non finiva mai. Nei lunghi pomeriggi d'estate ti lanciavi su un viottolo di campagna fino a quello che chiamavate "il ponte rotto" (ed era un piccolo ponticello fatto di pietre sopra un fosso), e da lì una volta cadesti sulle ortiche. Poi vi spingevate ancora più in là, dai pioppi e sull'argine. E ogni giorno era un'avventura da ricordare a casa, da solo, da vivere ancora, ancora una volta prima di dormire.Dov'è finita, la tua capacità di stupirti?L'adolescenza ti ha sorpreso inadeguato, goffo, impaurito. Odiavi tutto quello che vedevi, ma in verità avresti fatto come tutti (e lo facevi!), qualunque cosa, per mendicare amore o affetto o amicizia; e avresti fin rinnegato te stesso per ottenere un minimo di riconoscibilità, per essere accettato dagli altri, da chiunque.La sera chiudevi la tua stanza senza possibilità di appello, e ti raccontavi ogni cosa. Ti sentivi unico e solo.Se pensi al silenzio di cui facevi trincea, nella luce del giorno e in famiglia, ti vengono i brividi.Tuo padre non riusciva nemmeno a parlarti - ma tu lo guardavi, eccome se lo guardavi - e smoccolava tra sè nell'impossibilità di capire. Come somiglia a te, adesso. Avevi messo un sistema solare, un universo intero fra di voi, e non potevi più tornare indietro.La mancanza di senso di ogni cosa, il vuoto che ne proviene, mi dà i capogiri. Ecco come sono. Mi attacco a un rimpianto per non andare alla deriva.