L'atrabilioso

Only Theatre of Pain (*) - Prima parte


Quando cominciai a tenere dei laboratori teatrali facevo ancora il vecchio lavoro, part-time. Alla mattina preparavo smalti e colori per le piastrelle di ceramica, al pomeriggio andavo in una scuola a fare teatro coi ragazzi. Insomma, la seconda parte della giornata doveva essere quella più riposante.In teoria.L'etichetta più bonaria per quella scuola era "difficile". Capannoni industriali fuori da lì, un agglomerato di capannoni industriali la scuola stessa. Sostanzialmente in quel posto - naturalmente frequentato quasi solo da maschi - si imparava a diventare operai della ceramica cinque anni prima del dovuto. Il resto era un orpello inutile, a detta dei più. Alcuni insegnanti animati da un'ammirevole dose di buona volontà si impegnavano ad arricchire la preparazione degli studenti, inventandosi di tutto: laboratori di poesia (!), di cinema, di teatro. Venendomi ad accogliere, il primo giorno di lavoro, uno di loro mi sussurrò, quasi scusandosi: l'avverto, non sarà facile. Armato di quell'ottimismo che riempie i cuori degli ingenui, dissi: non credo, anzi vedrà che si divertiranno, e anch'io, ahah! E lui, ahah.La sera dopo il terzo incontro, rientrato a casa, mi sedetti su una sedia e considerai seriamente l'idea di mettermi a piangere.Non credo abbiate mai visto volare un banco di scuola ad altezza d'uomo. Io sì. Non era diretto a me, ma ad un insegnante: quello di Lettere, per la precisione. "Cozza" lo chiamavano, non so per quale ragione, ma lui lo sapeva e quando sentiva "Ehi, Cozza!" si voltava e rispondeva "sì?" giusto in tempo per schivare il banchetto volante. Mi diceva la cosa per la quale era entrato in aula ed usciva senza aggiungere altro: era tutto normale. Con me erano stranamente più tranquilli, non ero un vero insegnante, la mia autorità era scialba, non meritavo tutta quella attenzione. Non me ne sono mai lamentato. In compenso, fare teatro sembrava davvero un'impresa impossibile. Scelsi una cosa semplice: un racconto da una raccolta di Erri De Luca, un episodio scolastico, alla loro portata. Riscrissi il testo riadattandolo, con le battute e tutto. Feci delle copie e le distribuii. Prima della fine delle tre ore pezzi dei venti copioni erano disseminati in tutta l'area della scuola, financo nei bagni e nel parcheggio.Non so come sono arrivato al saggio, davvero. Saltando sui banchi, facendo il buffone, perdendo tre chili, credo, comunque ci sono arrivato e a volte penso che dovrei metterlo in curriculum. Ma se penso a quel periodo mi ricordo solo degli episodi: quando venne incendiato il registro ad esempio, e il piccolo rogo ancora acceso lanciato non so come sopra il tetto. Cozza s'arrampicò su per spegnere l'incendio e una volta sopra ricevette un'ovazione. Poi scese e tornò in classe: era tutto normale.E poi mi ricordo di Massimo. In seconda, ai miei occhi sembrava avere più di vent'anni. Doveva essere in quella scuola da secoli. Bestemmiava con la frequenza del respiro. Gli dicevo: "Massimo, al saggio non potrai bestemmiare, ok? In scena no. Non puoi, e basta""Ma prof! Porco qui e porco là!""Non mi chiamare prof, io sono Lorenzo""Ok, Lorenzo, porco su e porco giù!"C'è di bello che i piccoli (si fa per dire) bastardi, così sanguigni, sanno anche ripagarti delle tue fatiche, sapete? Il giorno del saggio furono formidabili, e credo che mi abbiano emozionato come forse un gruppo di liceali non avrebbe mai saputo fare. Come premio, li portammo fino a Bologna per ripetere la loro performance, in una due giorni di saggi che coinvolgeva scuole di tutta la regione.Quel giorno entrai nel teatro a fianco di Massimo. Dentro c'era già un mucchio di studenti. Massimo si guardò attorno ed urlò:"CAZZO LORENZO, MA E' PIENO DI FIGA, QUI!"Nessuna bestemmia: mi sentii orgogliosissimo.(continua)(*): Non c'entra niente, ma fu un grande album.