Creato da: je_est_un_autre il 04/11/2008
Date la colpa alla mia insonnia

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Messaggi di Giugno 2020

 

Dialoguccio tra un uomo e una pagina bianca

Post n°422 pubblicato il 29 Giugno 2020 da je_est_un_autre

UNA PAGINA BIANCA: (tra sé) Uff!...quest’uomo non la smette di fissarmi. Più di un’ora che mi tiene gli occhi addosso. Che impudenza. (più forte) Scusi, ma che ha da guardare?

UOMO: E dove altro dovrei mettere gli occhi, secondo te?

PB: Ma sentite che tono. Le par bello, rivolgersi così a una signora? E mi dia del lei, io le do del lei e lei mi sta dando del tu; mi dia del lei, lei.

U: Le darei del Lei, e anche del Voi, se mi diventasse più collaborativa.

PB: Collaborativa?

U: Eh, certo. Non vede? Sto aspettando un’idea, un’ispirazione qualunque, una frase, una parola, e invece niente; lei sempre lì, ferma, zitta: potrebbe pur aiutarmi in qualche modo.

PB: Ma guarda un po’ che razza di pretese. Lei si ritrova senza parole e viene a chiedere aiuto a me.

U: L'estro mi abbandona.

PB: Sì, però adesso non metta su quell’aria patetica che in un uomo adulto non sta bene.

U: Ma che devo fare?

PB: Beh, intanto si tiri su dalla sedia, la smetta di fissarmi e provi a guardare fuori dalla finestra. Come disse quel critico allo scrittore poi divenuto famoso, se lo ricorda? “Lasci stare l’invenzione, che non è affar suo: vada alla finestra e guardi fuori, che lì dove sta lei ce n’è da raccontare”.

U: D’accordo, vado alla finestra. Ma io fuori di solito vedo solo un merlo, o quando son fortunato, un pettirosso.

PB: E le par poco? Li faccia parlare, codesti uccelli, immagini un po’ le loro avventure, quante ne avranno viste, quei due? Si faccia accompagnare in giro, loro sono solo l’avamposto di un mondo immenso, lo vada a cercare e da dire ne avrà, eccome.

U: Sì, ma, la lingua? Troverò anche quella? Che suono ha?

PB: Questo poi, è quanto di più facile si possa immaginare.

U: Facile?

PB: Certo. Ha presente, lei, quando ci si mette a leggere un libro, da soli?

U: Sì. Quando si legge col pensiero.

PB: Bravo, col pensiero. Ma se lei ascolta bene, nel silenzio dei suoi occhi che si muovono sulla pagina, sentirà una voce,una voce senza suono, una voce interiore la chiamano. Ognuno ha la propria, ma non tutti se ne accorgono. Deve rintracciarla, e una volta trovata, assecondarla. Quello è il suono della sua lingua. La lasci libera, e la insegua. Cerchi il passo della sua lingua, lo faccia suo, ma senza intralciarlo. Sia accorto e gentile. Se saprete camminare insieme, allora capirà che cosa intendo quando dico che è facile.

U: Sembra bello.

PB: Lo è. Non perda tempo, vada, ora.

U: Vado. E grazie.

PB: Di nulla.

 

 
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Pensieri

Post n°421 pubblicato il 13 Giugno 2020 da je_est_un_autre

Soccia se son peso. Son peso anche per me.
Se c'è un pensiero peso con cui svegliarsi la mattina, a me viene proprio quello. Tipo stamattina mi son svegliato con questa domanda in testa: ma perchè alla parola "adoro" non si affiancano più i pronomi come si faceva una volta? O le particelle pronominali?
E dir che ce ne sono: mi, ti, ci, vi, lo, ne, li... Niente, queste paroline, se vedono la parola "adoro", spariscono nel nulla. Ma perchè, mi chiedevo.
Ancora la testa sul cuscino, e già quei pensieri lì.

 
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Il ritorno

Post n°420 pubblicato il 04 Giugno 2020 da je_est_un_autre

Insomma alla fine sono tornato a Chinatown.
Era vuoto. Meglio così. Meno rischi, meno pensieri, meno preoccupazioni.
(Mi accorgo adesso che Chinatown è un locale che adottava il distanziamento sociale già da prima: non ci va mai nessuno).
Il barista, ovviamente cinese, ne parlo ogni tanto qui, si chiama Fedelico. Non è possibile avere un gran dialogo con Fedelico - maneggia malino l’italiano ed è taciturno di suo, e con su la mascherina è impossibile capire quel che dice - ma mi son sentito di salutarlo affabilmente, entrando: “Ehi, Fedelico, che bello che avete riaperto, come va?”.
Lui ha risposto con simpatia: “Whhbedbehwbkjekzun”.
“Ahah!” ho detto io. Fedelico ha afferrato un bicchiere per servirmi quello che per me è “il solito” ma io l’ho bloccato.
Vetro, ho pensato. Germi, batteri insidiosi, ho pensato.
Che magari uno dice: c’è la lavastoviglie. Eh, sì, bravo lui: certo, ma nel frattempo? Chi l’ha toccato? Per la prima volta ho pensato a quante decine, centinaia di bocche si sono affacciate sull’orlo di quello stesso bicchiere e tra queste la mia e sono inorridito: mioddìo, che vita incosciente, la nostra di prima.
“No”, ho detto a Fedelico: “dammi una birra in bottiglia”. Ho riflettuto: la birra in bottiglia è perfetta, il tappo a corona difende il bordo su cui si posano le labbra: mi sono fatto i complimenti da solo, sono un campione di scaltrezza.
Fedelico ha afferrato la birra, l’ha stappata e prima di posarla sul bancone, come nulla fosse ha passato indice e pollice sull’orlo della bottiglia lentamente e con molta cura, per togliere gli ultimi residui di stagnola. Io guardavo la scena, agghiacciato. Ho valutato la possibilità di cospargere l’orlo della bottiglia con del gel sanificante - in fondo è alcool anche quello, tutto fa brodo - ma poi no, ho rimediato con un tovagliolino. A furia di essere strofinato, quel bordo di bottiglia era diventato lucidissimo.
Nel bar silenzioso, non uno straccio di cliente, e nemmeno di un giornale. Del resto è giusto: sono ricettacoli di batteri, i giornali, meglio stare alla larga. In altre epoche molto più facilone e superficiali di questa, a Chinatown, il quotidiano era lì sul bancone ad aspettarti - a meno che qualche raro frequentatore non lo scambiasse per un quotidiano da asporto, cosa che a volte succedeva.
Eh, ma adesso la musica è cambiata: niente giornale. E niente avventori. Perfetto, non c’è pericolo di distrarsi. Che qui l’attenzione è tutto.
A quel punto ho girato lo sguardo verso lo specchio alla parete.
Dallo specchio ha ricambiato l’occhiata un tizio con la mascherina fino agli occhi e una birra col bordo lucidissimo in mano.
Nel silenzio di Chinatown, stava lì.
Guardingo e solo.

Sarà ben bello, tornare al bar?

 
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