Creato da: je_est_un_autre il 04/11/2008
Date la colpa alla mia insonnia

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Una gita allo sportello

Post n°569 pubblicato il 21 Gennaio 2024 da je_est_un_autre

A volte i miei simili mi stupiscono. Tu pensi di averne viste tante poi arriva qualcuno che ne fa un'altra che non ti aspetti proprio.
Tipo ieri al bancomat ho visto questa coppia con un bambinetto, e cosa hanno fatto questi due? Hanno appoggiato il frugoletto (due, tre anni al massimo) sulla sbarra di ferro prospicente lo sportello, e hanno cominciato a scattargli delle fotografie, col papà tutto orgoglioso che urlava "Dai, fai l'operazione!" e il bambino presumibilmente inconsapevole che pigiava sui tastini. Poi hanno prelevato il bambino e se ne sono andati.
Insomma dicevo che ecco, non so voi, ma a me 'ste cose mi stupiscono.

 
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Che cosa vuol dire

Post n°568 pubblicato il 01 Gennaio 2024 da je_est_un_autre

Che cosa vuol dire, la gioventù! Siete pronti ad ascoltare la storia di un ultimo dell'anno ad alto rischio? E allora allacciate le cinture.

Cena alle ore 19.30.
Menù:
Petto di pollo alla piastra.
Radicchio.
Una fetta di pandoro.
Il tutto annaffiato da sidro di mele, alc. 4,5°

Poi via, davanti al computer (che non abbiamo la tv) a vedere un film di Frank Capra di quelli in rassegna su raiplay, titolo "Accadde una notte".
E cosa accade appunto, la notte? Niente, perchè non riusciamo nemmeno ad arrivare alla fine del film, e neanche al brindisi di mezzanotte, che alle undici siam già cotti.
Beata gioventù.

Però, detto per inciso, "Accadde una notte", che abbiamo finito di vederlo stamattina, è talmente bello, e Clark Gable e Claudette Colbert talmente bravi, che io alcune scene (quella dove si fingono marito e moglie davanti ai detective, ad esempio) le farei studiare obbligatoriamente nelle scuole di recitazione.

A quei tre viandanti che passano ancora di qua, anche ai silenti, auguro un buon 2024 (non esagero con gli aggettivi, di 'sti tempi un "buon" anno sarebbe oro).

 
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Andarsene così

Post n°566 pubblicato il 06 Dicembre 2023 da je_est_un_autre

Durante la funzione, la foto sulla bara mi ha ipnotizzato. L'ho guardata tutto il tempo, ascoltando con poca attenzione il prete, che ha avuto almeno il merito di usare un tono piano, non urtante. Tanto l'urto era comunque arrivato, deflagrante, inaudito, inaspettato, quattro giorni prima, con uno squillo del telefono.
Dicevo della foto. E' uno scatto in cui sembra sereno, mentre da dentro la cornice dà l'impressione di restituire il mio sguardo. Deve essere stata scattata dagli spalti dello stadio di San Siro, si vedono i gradoni e lui indossa una felpa con lo stemma rossonero e la stella. Da bambini eravamo stati milanisti e lui lo era rimasto, mentre io passavo presto a tifare la squadra della mia città.
Quasi coetanei, da bambini eravamo sempre insieme, io e mio cugino.
In un paesino di campagna, 45-50 anni fa i genitori non si curavano troppo di sapere in ogni momento dove si trovassero i figli. Questo ci dava una libertà di cui forse non eravamo consapevoli ma che vista con gli occhi di oggi sembra irripetibile.
Rimanevamo nella "fetta" (un pezzo di prato dietro la piazza) a giocare a pallone fino all'ora di cena, in qualunque stagione e soprattutto con quei clamorosi nebbioni che ora, nella pianura bolognese, non si vedono praticamente più. Oppure, come cavalieri senza paura, ci perdevamo nelle straducole di campagna ad esplorare i vecchi casali abbandonati. Oppure ancora, all'indomani di certe abbondanti nevicate, ci trovavamo con altri sotto il "monumento" a cercar di colpire a palle di neve il soldato in bronzo che celebra la prima guerra mondiale, o ad ingaggiare interminabili e innocue battaglie a pallate tra noi. Tornavamo a casa solo quando ci ricordavamo di averla, una casa, o quando qualche adulto veniva a cercarci. Rientravamo accaldati, stanchi, io spesso totalmente senza voce.
Non so se infanzie così esistono ancora. Mi sembra tutto cambiato. Ma forse è il destino di ogni generazione, rimpiangere un passato che è sempre, invariabilmente, migliore del presente.
Ci divertimmo, vero, Enrico? E' stato bello.
Ma era finito così tanto tempo fa.
Quel bambino dal caschetto biondo, dal sorriso largo, era diventato un adulto scontroso, chiuso, afasico, cupo. Le strade da adulti si separano, si sa, e così successe anche a noi. Quando a qualche riunione familiare (assai rara a dire il vero) ci trovavamo, scambiavamo poche parole, un saluto, poco più di un sorriso, non senza imbarazzo. Negli ultimi anni non so che cosa sia successo, non so che cosa abbia tenuto nascosto perchè tutto precipitasse così, in una malattia che deve essersi protratta per anni e di cui nessuno nulla sapeva, o almeno così pare; ma già da tanto, da molto prima, mi sembrava di intravvedere in lui una pulsione negativa, una voglia di allontanamento, in una scontentezza muta e scostante.
Ma c'è qualche mistero, qualcosa che non so e se lui voleva il silenzio forse - anzi sicuramente - è meglio non andare oltre, anzi è più giusto fare un passo indietro, con quel nodo alla gola che da ieri non riesco a sciogliere.
E il passo indietro ha quasi cinquant'anni, dove ci sono due bambini, due avventurieri felici, liberi, nella campagna aperta, che giocando abbracciano la vita.

 
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Di cosa parliamo quando parliamo di maschi

Post n°565 pubblicato il 19 Novembre 2023 da je_est_un_autre

Sto notando un'equazione rischiosa, per quanto comprensibile in queste ore: uomo uguale individuo violento. E' la solita, odiosa storia della dittatura di una minoranza: per via di qualche (molti, troppi, lo so, ma pochissimi nel mare maschile) assassino, mostro, violento, si rischia di far passare l'intero genere cui appartengo composto solo da persone potenzialmente pericolose per le donne. Non è così. Ve lo assicuro.
Sono stato, anch'io, come tutti più o meno, lasciato, abbandonato, mollato. Che cosa facevo, in quei casi? Mi disperavo. Nient'altro. Una naturale inclinazione al melodramma mi faceva comportare in modi di cui adesso dovrei vergognarmi, ma che volete, è così che sono (ero?) fatto: piangevo davanti a tutti, sfrantumavo i maroni agli amici fino a sfinirli, mi buttavo sul letto piangente e lì rimanevo per ore a fissare il soffitto mentre mia sorella, pietosa, mi teneva la mano. Insomma cose che adesso a pensarci mi fanno sprofondare nel terreno per la vergogna. Ma mai, mai, mi sarebbe venuto da correre da lei per picchiarla o peggio. In quei momenti la mia attitudine allo strazio mi faceva solo pensarla abbracciata a un altro. E giù lacrime.
Poi finalmente, un mattino, settimane o mesi dopo, così, senza nemmeno sapere come, lei non era più il primo pensiero. Si era allontanata. Si poteva tornare a respirare.
Insomma se ne esce. Anche attraverso il dolore. Che addirittura può essere anche più sobrio di così.
Come tanti altri, ho scoperto che si poteva risorgere.
Sì, lo so. Non si può liquidare la "cosa" con un "non siamo tutti così" ma non ho le competenze di un sociologo per fare le valutazioni che qualcuno dovrà pur fare.
Però voglio dire: non fate quell'equazione. E' sbagliata.

 
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Kafkianamente

Post n°564 pubblicato il 10 Novembre 2023 da je_est_un_autre

Per qualche ragione faccio quasi sempre solo sogni in cui mi trovo in estrema difficoltà, in situazioni complicate e ansiogene. Anche se si tratta di sogni affollati di gente, l'unico incapace di cavarsela sono sempre solo io. Immagino sia una tipologia di sogno abbastanza diffusa, ma mi piacerebbe sapere cosa c'è sotto, e perchè a me succeda sempre così.
A suo tempo mi cimentai anche nella lettura non semplice de L'interpretazione dei sogni, ma al di là dell'apprezzamento per la magnifica arte scrittoria del vecchio Sigmund, io tra sogno latente, sogno manifesto, camuffamento dovuto al lavoro onirico e tutte quelle storie lì, ecco, mi perdevo e soprattutto trovavo impossibile l'autointerpretazione. Per di più mi dicono che il lavoro di Freud lo si ritiene ormai abbastanza superato. E non saprei dove altro guardare, per capire il sogno di stanotte. Comunque eccolo qua.

Mi richiamavano a fare il militare. Di nuovo a Trieste. Si dirà: è un sogno indotto dalla situazione mondiale. Può darsi, ma lì sembravano tutti tranquilli. Tranne me.
C'era un sacco di gente, conoscevo quasi tutti, gente della mia età soprattutto, uomini e donne. La promiscuità tra i sessi però sembrava non turbare nè interessare nessuno, anche perchè tutti avevano il loro bel daffare, una volta arrivati in caserma. Io non riuscivo neanche a trovare la mia camerata.
La caserma era molto diversa da quella vera in cui feci il mio militare, sembrava piuttosto una sterminata fortezza kafkiana, piena di scale e camerate e corridoi infiniti. Tutti trovavano il loro posto letto, io naturalmente no. Mi affacciavo sulla soglia delle camerate, consultavo l'elenco appeso alla porta ma il mio nome non c'era mai. Facevo su e giù nei vari piani, sempre più affannato, quando una specie di superiore, tranquillo, mi diceva: ma lei non deve stare qui, deve andare al distaccamento poco lontano.
Andavo al distaccamento poco lontano.
In macchina. Ma non trovavo parcheggio. Vi giuro, era impossibile parcheggiare, lì. E poi c'erano le striscie blu. Non potevo parcheggiare nelle striscie blu, per qualche ragione lo sentivo come un azzardo pericolosissimo. E così giravo e giravo, e si faceva sempre più tardi. Ad un certo punto mi fermavo di fianco a un capannello di ragazzi coi capelli lunghi, cui chiedevo: non siete militari, vero? Loro ridacchiavano commentando in una lingua tipo ungherese. Poi chiedevo se c'era un parcheggio che non fosse striscie blu, e uno biondo e riccioluto mi guardava con compatimento, indicando una strada più in là. Ricominciavo a girare, ed era quasi notte. E dappertutto, solo striscie blu. Sempre e solo striscie blu.
Poi dice che uno si sveglia stanco.

 
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