SalveminiCaulonia

In Grillo stat virtus


Il rammarico più grande è aprire “la Repubblica” e scoprire che un giornalista della portata di Eugenio Scalari, che tanto stimo e condivido, definisce Beppe Grillo un barbaro, un populista per le iniziative antipolitiche che ha assunto in questi giorni. Il rammarico è sentire le dichiarazioni di D’Alema e Fassino che vedono nelle posizioni del comico genovese un preludio a situazioni dittatoriali, perché solo i buoni partiti sarebbero i garanti della democrazia. Il rammarico è ascoltare alcuni italiani che, trascinati dall’onda lunga di alcuni media, considerano le parole di Grillo nient’altro che un’accozzaglia di becero e rozzo qualunquismo. Il termine “qualunquismo” sta ad indicare l’atteggiamento di chi considera una situazione, una persona, simile all’altra, appunto la qualunque, e, allo stesso tempo, denota un modo di valutare la realtà senza un minimo di analisi critica, con un profondo senso di rassegnazione. L’accezione “populista” designa la tendenza di taluni attori politici all’uso di un linguaggio poco ortodosso ed aggressivo che demonizza le elite ed esalta il popolo; spesso questa definizione viene usata per catalogare una grande varietà di regimi difficili da classificare in maniera più precisa ma nei quali è possibile ritrovare qualche elemento in comune, quali la retorica nazionalista ed antimperialista rivolgendosi alle masse attraverso un potere carismatico e del tutto personale del leader. Un altro significato di populismo (ma neanche questo tenta di dare al termine una definizione precisa) è quello che lo rende un “contenitore” per movimenti politici di svariato tipo (di destra come di sinistra, reazionari e progressisti, e via dicendo) che abbiano però in comune alcuni elementi per quanto riguarda la retorica utilizzata. Per esempio, essi (vedi Lega) attaccano le oligarchie politiche ed economiche ed esaltano le virtù naturali del popolo  (anch’esso mai definito con precisione, e forse indefinibile), quali la saggezza, l’operosità e la pazienza. Il populismo guadagna perciò consensi nei momenti di crisi della fiducia nella "classe politica". Populista, per gli effetti invadenti sulle masse, potrebbe essere anche il libro “La Casta”, scritto da Rizzo e Stella. Insomma, tutto ciò che configura ripetitività di concetti banali ed evidenti nella realtà sono affetti da questa patologia, definita anche demagogia. Siamo dunque demagoghi e banali quando sosteniamo che fumare fa male, che l’aria è inquinata, che i politici godono di privilegi disumani; che lo diciamo a fare ? E’ così e basta. Il punto è che dietro ogni affermazione esiste una persona con proprie caratteristiche, con una probabile coscienza o incoscienza, con uno spirito diverso da chi quella stessa affermazione usa. Ora, il fatto che Beppe Grillo gridi a squarciagola, al limite dell’infarto, che in Italia, spesso, i meritevoli finiscano col friggere patatine e i somari col sedere nei posti dirigenziali o in Parlamento o che molti signori accovacciati negli scranni di Montecitorio convivano con  pendenze penali, appare agli occhi di Scalfari, e di quanti di destra o di sinistra lo seguono nel suo ragionamento, un comportamento populista e denigratore; mandare a quel paese certa gente sarebbe quanto di più misero esiste, senza peraltro avviare il problema verso una risoluzione. Ebbene, se il ragionamento lo si figura da una visione leggermente diversa, il comico Grillo altro non è che un personaggio “popolare” e non populista, che gode di consenso per la sua storia di artista, che grida al mondo, lui che lo può fare, semplicemente la propria indignazione contro una cosca di privilegiati che a pensar bene, come da lui stesso detto, non sono altro che i nostri dipendenti politici. E’ chiaro che lo scandalo è evidente quando si toccano corde così delicate, che in molti pensano, ma che in pochi hanno il coraggio di affrontare. Grillo lo può fare, è affermato, è un superbenestante e si autoerge a megafono di una parte della società stanca di sopportare la schiavitù moderna. Che male c’è ? La piazza bolognese che lo ha acclamato, ha assunto i connotati di un boia che brama per mettere al palo i suoi governanti, non c’è che dire; ma quanti italiani desiderano in coscienza rendere  questo paese una “democrazia normale”? Di sicuro il populismo di Grillo si ridurrebbe e di molto, di fronte al populismo acefalo dei bisogni indotti dalle caste delle multinazionali, cui altre caste, di pochi eletti mestieranti della società, mandano segnali pilateschi con occhi di riguardo e di buon vicinato. E se si fosse aperta una guerra tra elite di onesti ed elite di manigoldi? E se la politica rappresentasse soltanto un’amministrazione neutrale di un paese e non un comitato di affari allargato a tutto, veramente tutto, il mondo civile? E se un giorno destra e sinistra rappresentassero, dopo secoli di splendide ideologie, soltanto forze politiche che si distinguono sui metodi di attuazione di un programma? Forse tutto ciò potrebbe apparire un avvilimento del significato che diamo ai massimi sistemi. O forse, perché no, un piccolo passo in avanti verso la gestione più sobria e meno ridicola del potere, che sempre più si confonde allegramente dietro bandiere di ogni sorta, sciogliendo nell’acido grigio la fantasia della diversità dei colori e delle idee. Un mondo diviso tra onesti e disonesti che possono riconoscersi e distinguersi. Decideremo noi, alla fine, da che parte stare.GIUSEPPE RACCO da la Riviera del 23.09.07