Chemisette

Uomini veri - Una pagina di Manfredi Borsellino dal libro: “Era d’estate” di Roberto Puglisi e Alessandra Turrisi


di MANFREDI BORSELLINO 
  Il primo pomeriggio di quel 23 maggio studiavo a casa dei miei genitori,preparavo l'esame di diritto commerciale, ero esattamente allo"zenit" del mio percorso universitario. Mio padre era andato,da solo e a piedi, eludendo come solo lui sapeva fare iragazzi della scorta, dal barbiere Paolo Biondo, nella viaZandonai, dove nel bel mezzo del "taglio" fu raggiunto dallatelefonata di un collega che gli comunicava dell'attentatoa Giovanni Falcone lungo l'autostrada Palermo-Punta Raisi.Ricordo bene che mio padre, ancora con tracce di schiumada barba sul viso, avendo dimenticato le chiavi di casa bussòalla porta mentre io ero già pietrificato innanzi la televisioneche in diretta trasmetteva le prime notizie sull'accaduto.Aprii la porta ad un uomo sconvolto, non ebbi il coraggiodi chiedergli nulla né lui proferì parola. Si cambiò eraccomandandomi di non allontanarmi da casa si precipitò,non ricordo se accompagnato da qualcuno o guidando luistesso la macchina di servizio, nell'ospedale dove primaGiovanni Falcone, poi Francesca Morvillo, gli sarebberospirati tra le braccia.Quel giorno per me e per tutta la mia famiglia segnò unmomento di non ritornoEra l'inizio della fine di nostro padre chepoco a poco, giorno dopo giorno, fino a quel tragico 19 luglio,salvo rari momenti, non sarebbe stato più lo stesso, quell'uomodissacrante e sempre pronto a non prendersi sul serio che tutticonoscevamo.Ho iniziato a piangere la morte di mio padre con lui accantomentre vegliavamo la salma di Falcone nella camera ardenteallestita all'interno del Palazzo di Giustizia. Non potrò maidimenticare che quel giorno piangevo la scomparsa di uncollega ed amico fraterno di mio padre ma in realtà è come se conlargo anticipo stessi già piangendo la sua.Dal 23 maggio al 19 luglio divennero assai ricorrenti i sogni diattentati e scene di guerra nella mia città ma la mattina rimuovevotutto, come se questi incubi non mi riguardassero e soprattuttonon riguardassero mio padre, che invece nel mio subconscioera la vittima.Dopo la strage di Capaci, eccetto che nei giorni immediatamentesuccessivi, proseguii i miei studi, sostenendo gli esami di dirittocommerciale, scienze delle finanze, diritto tributario e diritto privatodell'economia. In mio padre avvertivo un graduale distacco, lostesso che avrebbero percepito le mie sorelle, ma lo attribuivo(e giustificavo) al carico di lavoro e di preoccupazioni che loassalivano in quei giorni. Solo dopo la sua morte seppi da padreCesare Rattoballi che era un distacco voluto, calcolato, perchégradualmente, e quindi senza particolari traumi, noi figli ciabituassimo alla sua assenza e ci trovassimo un giorno inqualche modo "preparati" qualora a lui fosse toccato lo stessodestino dell'amico e collega Giovanni.La mattina del 19 luglio, complice il fatto che si trattava di unadomenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzaiabbastanza tardi, perlomeno rispetto all'orario in cui solitamentesi alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno(compresa la domenica) alle 5 del mattino per "fottere" il mondocon due ore di anticipo. In quei giorni di luglio erano nostri ospiti,come d'altra parte ogni estate, dei nostri zii con la loro unica figlia,Silvia, ed era proprio con lei che mio padre di buon mattino ci avevaanticipati nel recarsi a Villagrazia di Carini dove si trova la residenzaestiva dei miei nonni materni e dove, nella villa accanto alla nostra,ci aveva invitati a pranzo il professore "Pippo" Tricoli, titolare dellacattedra di Storia contemporanea dell'Università di Palermo e storicoesponente dell'Msi siciliano, un uomo di grande spessore culturaleed umano con la cui famiglia condividevamo ogni anno spensieratestagioni estive.Mio padre, in verità, tentò di scuotermi dalla mia "loffia" domenicaletradendo un certo desiderio di "fare strada" insieme, ma non ci riuscì.L'avremmo raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre.Mia sorella Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassareuna materia universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativoesame il giorno successivo (cosa che fece!) a casa di una sua collega,mentre Fiammetta, come è noto, era in Thailandia con amici di famigliae sarebbe rientrata in Italia solo tre giorni dopo la morte di suo padre.Non era la prima estate che, per ragioni di sicurezza, rinunciavamoalle vacanze al mare; ve ne erano state altre come quella dell'85,quando dopo gli assassini di Montana e Cassarà eravamo stati"deportati" all'Asinara, o quella dell'anno precedente, nel corsodella quale mio padre era stato destinatario di pesanti minaccedi morte da parte di talune famiglie mafiose del trapanese.Ma quella era un'estate particolare, rispetto alle precedentimio padre ci disse che non era più nelle condizioni di sottrarsiall'apparato di sicurezza cui, soprattutto dolo la morte di Falcone,lo avevano sottoposto, e di riflesso non avrebbe potuto garantirea noi figli ed a mia madre quella libertà di movimento che negli anniprecedenti era riuscito ad assicurarci.Così quell'estate la villa dei nonni materni, nella quale avevamotrascorso sin dalla nostra nascita forse i momenti più belli espensierati, era rimasta chiusa. Troppo "esposta" per la suaadiacenza all'autostrada per rendere possibile un'adeguataprotezione di chi vi dimorava.Ricordo una bellissima giornata, quando arrivai mio padre si eraappena allontanato con la barchetta di un suo amico per quelloche sarebbe stato l'ultimo bagno nel "suo" mare e non possodimenticare i ragazzi della sua scorta, gli stessi di via D'Amelio,sulla spiaggia a seguire mio padre con lo sguardo e a godersiquel sole e quel mare. Anche il pranzo in casa Tricoli fu unmomento piacevole per tutti, era un tipico pranzo palermitanoa base di panelle, crocché, arancine e quanto di più pesante lacucina siciliana possa contemplare, insomma per stomaci forti.Ricordo che in Tv vi erano le immagini del Tour de France mamio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo,dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel"tenere comizio" come suo solito, decise di appisolarsi in unacamera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto,trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicchedi sigarette che lasciava poco spazio all'immaginazione.Dopo quello che fu tutto fuorché un riposo pomeridiano miopadre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno(restituitoci ancora bagnato dopo l'eccidio) e l'agenda rossadella quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopoavere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiatasul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta.Mia madre lo salutò sull'uscio della villa del professoreTricoli, io l'accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina,sapevo che aveva l'appuntamento con mia nonna per portarladal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla.Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore cisaremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.Ho realizzato che mio padre non c'era più mentre quelpomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto ilvolto funereo di mia cugina Silvia, aveva appena appresodell'attentato dalla radio. Non so perché ma prima di decidereil da farsi io e mia madre ci preoccupammo di chiudere la villa.Quindi, mentre affidavo mia madre ai miei zii ed ai Tricoli, sonosalito sulla moto di un amico d'infanzia che villeggia lì vicino eda grande velocità ci recammo in via D'Amelio.Non vidi mio padre, o meglio i suoi "resti", perché quando giunsiin via D'Amelio fui riconosciuto dall'allora presidente della Corted'Appello, il dottor Carmelo Conti, che volle condurmi presso ilcentro di Medicina legale dove poco dopo fui raggiunto damia madre e dalla mia nonna paterna.Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo vollevedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anchericomporre e vestire all'interno della camera mortuaria.Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte delpadre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciandoincredula la commissione, ci riferì che nostro padre è mortosorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuligginedell'esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorrisodi sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorellaha tratto una grande forza da quell'ultima immagine del padre,è come se si fossero voluti salutare un'ultima volta.La mia vita, come d'altra parte quella delle mie sorelle e dimia madre, è certamente cambiata dopo quel 19 luglio, siamocresciuti tutti molto in fretta ed abbiamo capito, da subito,che dovevamo sottrarci senza "se" e senza "ma" a qualsivogliasollecitazione ci pervenisse dal mondo esterno e da quellomediatico in particolare. Sapevamo che mio padre nonavrebbe gradito che noi ci trasformassimo in "familiarisuperstiti di una vittima della mafia", che noi vivessimocome figli o moglie di ....., desiderava che noi proseguissimoi nostri studi, ci realizzassimo nel lavoro e nella vita, e glidessimo quei nipoti che lui tanto desiderava. A me in particolaremi chiedeva "Paolino" sin da quando avevo le prime fidanzate,non oso immaginare la sua gioia se fosse stato con noi il20 dicembre 2007, quando è nato Paolo Borsellino, il suo primoe, per il momento, unico nipote maschio.Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimastigli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorsole nostre strade senza "farci largo" con il nostro cognome,divenuto "pesante" in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostrefamiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzionicome lui ci ha insegnato, non ci siamo "montati la testa", rischiopurtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l'onore di avereun padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra.E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suoprincipale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza,senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmentenessuno di noi tre ce l'avrebbe fatta. Mi piace pensare che oggisono quello che sono, ovverosia un dirigente di polizia appassionatodel suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propriconcittadini come, in una dimensione ben più grande edimportante, faceva suo padre, indipendentemente dall'eventodrammatico che mi sono trovato a vivere.D'altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventaredopo la morte di mio padre, ovverosia una persona che in unmodo o nell'altro avrebbe "sfruttato" questo rapporto di sangue,avrebbe "cavalcato" l'evento traendone vantaggi personali nondovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quantofiglio di .... o perché di cognome fa Borsellino. (...) Ai miei figli,ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del nonno,vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnamenti,raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i qualitrasmettergli i valori portanti della sua vita. Caro papà,ogni sera prima di addormentarci ti ringraziamo per il donopiù grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere.Il testo di Manfredi Borsellino è ospitato nel volume "Era d'estate" edito da Pietro Vittorietti