Creato da rbx1dgl il 16/04/2012

come le rondini

di tutto un pò comprese le mie riflessioni

GOTIC

 

 


CIAO SE CI SEI

ME LO LASCI UN

SALUTINO!!! GRAZIE

-

 

 

 

AREA PERSONALE

 

ULTIME VISITE AL BLOG

rbx1dglcassetta2elyravpaperino61toacer.250m12ps12Cris_Zannagasiorekgiannisiviero55crista09romualdodesimoneiltuocognatino2amici.futuroieriDesert.69
 

ULTIMI COMMENTI

Salve
Inviato da: rbx1dgl
il 29/03/2024 alle 07:07
 
:) buongiorno
Inviato da: elyrav
il 28/03/2024 alle 12:46
 
Ciao grazie
Inviato da: rbx1dgl
il 27/03/2024 alle 10:39
 
Meglio fare sempre piccoli passi :) buongiorno
Inviato da: elyrav
il 27/03/2024 alle 10:06
 
Ciao Ely miglioro ma faccio un passo alla volta, grazie
Inviato da: rbx1dgl
il 26/03/2024 alle 10:26
 
 

FACEBOOK

 
 

CONTATTA L'AUTORE

Nickname: rbx1dgl
Se copi, violi le regole della Community Sesso:
Età: 11
Prov: LT
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Maggio 2018 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
  1 2 3 4 5 6
7 8 9 10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20
21 22 23 24 25 26 27
28 29 30 31      
 
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore di questo Blog può pubblicare messaggi,

salvo esclusive eccezioni, moderate dall'autore,

e  gli utenti registrati possono pubblicare commenti.

I commenti sono moderati dall'autore.

 
Citazioni nei Blog Amici: 14
 

 

 

 

Messaggi di Maggio 2018

Crisi di sistema

Post n°1029 pubblicato il 28 Maggio 2018 da rbx1dgl
 

Le prove di forza si fanno soltanto quando si è sicuri di vincere. E Sergio Mattarella ha perso. Anche perché l’esito era già segnato: Matteo Salvini aveva deciso da tempo di tornare alle elezioni per rafforzare il controllo sul centrodestra, fagocitare quel che resta di Forza Italia e neutralizzare le opposizioni interne alla Lega di chi – come Roberto Maroni e Luca Zaia – contestano da sempre la scelta di trasformare un partito regionalista in un movimento sovranista e nazionalista.

Che Salvini non avesse il governo Conte come priorità era intuibile dal rifiuto netto a indicare Giancarlo Giorgetti come ministro dell’Economia, come auspicato da tutti gli investitori, dal Quirinale e perfino da molti dei Cinque Stelle che avrebbero preferito di gran lunga il pragmatico senatore leghista all’81enne, imprevedibile, Paolo Savona.

 

La prima matrice della crisi istituzionale che in queste ore scuote la democrazia italiana è dunque tutta politica. Tattica. Matteo Salvini è riuscito in un colpo solo a costruire un nuovo bipolarismo intorno alla sua figura e alla Lega (sovranisti contro europeisti), a mettere in crisi la leadership del suo concorrente Luigi Di Maio, ora attaccato sia da chi lo considera troppo propenso ai compromessi per aver trattato con la Lega sia da chi lo giudica un irresponsabile per aver chiesto la messa in stato d’accusa di Mattarella. E, capolavoro finale, mentre Salvini innesca la crisi si presenta anche come suo argine, il più responsabile tra gli irresponsabili perché a differenza dei Cinque Stelle non chiede le dimissioni di Mattarella e difende il presidente della Bce Mario Draghi da chi segue logiche complottiste in cerca di capri espiatori.

Stabilito chi è il vincitore e quali sono i suoi moventi, vediamo la distribuzione delle responsabilità nella trasformazione di una crisi “nel” sistema in una crisi “di” sistema.

Una buona dose di colpe se la deve prendere proprio il tandem Lega-Cinque Stelle. Nella bozza di contratto di governo rivelata qualche giorno fa dall’Huffington Post era indicata l’ipotesi dell’uscita dall’euro: un tema che i Cinque Stelle avevano espunto esplicitamente dalla loro agenda come parte della svolta moderata decisiva per attirare consensi sul Movimento. Come ci era finita quella proposta – non certo un dettaglio – in un documento così delicato? Che si sia trattato di una (gravissima) ingenuità o di una sottile manovra di Salvini per destabilizzare, quella fuga di notizie ha minato in modo irreversibile la credibilità dell’esecutivo gialloverde: poiché non si può uscire dall’euro con un democratico dibattito pubblico e una lunga discussione parlamentare, elettori e investitori si sono fatti l’idea che Lega e Cinque Stelle considerassero l’uscita improvvisa dalla moneta unica come uno degli sbocchi possibili della loro politica economica.

Il secondo indizio che il governo Conte sarebbe stato molto più destabilizzante di quanto dichiarato è arrivato proprio con la versione finale del contratto di governo: nessun accenno all’uscita dall’euro, ma impegni di spesa e di riduzione delle tasse incompatibili non soltanto con il rispetto dei vincoli di bilancio (europei, ma pure italiani, addirittura di rango costituzionale) ma anche con la credibilità dell’Italia come debitore sui mercati obbligazionari. Mentre tutti si chiedevano da dove sarebbero arrivate le risorse per rispettare quel programma, esponenti leghisti come Claudio Borghi dicevano senza ambiguità che il debito non è un problema, che tutto si può fare. Sottinteso: se si esce dall’euro.

Terzo segnale preoccupante: l’indicazione di Paolo Savona al ministero. Le sue posizioni euro-critiche sono state sviscerate. Ma Savona dice e pensa cose molto più moderate dei parlamentari leghisti e di molti Cinque Stelle, non è certo il più radicale tra gli economisti che discutono di cose europee e, dopo un’intera vita nel cuore dell’establishment italiano, difficilmente si sarebbe comportato da dilettante irresponsabile. Però un ministro euroscettico per applicare un programma che, se preso sul serio e non come la solita lista di promesse elettorali non realizzabili, suggerisce una rottura completa con l’Unione europea ha spinto il Quirinale a reazioni drastiche.

Qui finiscono però le responsabilità della coalizione “Salvimaio” e cominciano quelle di Mattarella.

Con le intenzioni di sostenere le ragioni dell’europeismo, Mattarella è diventato il testimonial di ogni rivendicazione sovranista. E’ andato in televisione a dire che per nominare il ministro dell’Economia serve il via libera dello spread, ha sostenuto che erano in corso (inesistenti) effetti a catena che minacciavano i mutui e i risparmi degli italiani. Una esagerazione speculare a quella degli anti-euro che attribuiscono alla moneta unica la responsabilità di ogni male. Ora il Quirinale si prepara ad affidare il Paese a un governo estraneo al risultato elettorale e privo perfino della fiducia del Parlamento, guidato da un ex dirigente del Fondo monetario internazionale, Carlo Cottarelli. Se Steve Bannon o Alberto Bagnai avessero potuto scrivere i discorsi del capo dello Stato, non avrebbero potuto immaginare un testo più funzionale alla causa sovranista.

Come ha scritto sul Fatto il politologo di Oxford (convinto europeista ma critico) Jan Zielonka, “i frequenti riferimenti dei critici all’aumento dello spread e ai cali della Borsa di Milano suggeriscono che debbano essere i mercati, invece che gli elettori, a decidere il destino degli italiani. Questa è una sentenza capitale per la democrazia, non importa sotto quale bandiera politica sia pronunciata”.

Per proteggere l’Italia e l’Europa dalle derive sovraniste Mattarella avrebbe dovuto far partire il governo Conte, accettare la nomina di Savona (che poteva essere bilanciata da quello di un tecnico di grande reputazione come Enzo Moavero agli Affari europei) e assecondare la richiesta degli elettori di avere “non soltanto politici diversi ma anche politiche diverse”, come ha riassunto sempre Zielonka. Al via libera avrebbe però dovuto accompagnare un messaggio fermo e inderogabile, in linea con il suo discorso che il capo dello Stato ha tenuto a Firenze: nessuna legge anti-europea o incompatibile con i trattati dell’Ue, ratificati dal Parlamento e legittimati dalla Costituzione, avrebbe mai visto la firma del Quirinale. Basta applicare le regole che ci sono, in piena trasparenza, senza scivolare nella zona grigia della discrezionalità.

E se il problema era davvero soltanto Savona, c’erano mille altre ragioni per contestarne la nomina diverse dal disaccordo sulle idee: la sua disinvoltura da presidente di una società quotata (Impregilo), le intercettazioni imbarazzanti, gli attacchi alla Banca d’Italia nel suo ultimo libro, l’età avanzata che rende difficile sopportare i ritmi di lavoro richiesti a un ministro dell’Economia.

Mattarella ha causato un altro danno alla causa che vuole difendere: ha scelto il momento sbagliato per innescare lo scontro finale tra sovranisti ed europeisti. Il campo a lui avverso è saldamente presidiato da Salvini e, ora, di nuovo anche dai Cinque Stelle. Dal lato europeista c’è il deserto: il Pd, che ha cavalcato ogni demagogia eurocritica con Matteo Renzi, cerca ora di candidarsi a baluardo del buonsenso e dell’Europa recuperando Paolo Gentiloni. Ma è un tentativo già fallito il 4 marzo e ora il Pd è ridotto a spettatore senza possibilità di tornare protagonista. L’esperimento di +Europa di Emma Bonino si è dimostrato un dei mille esempi della politica di testimonianza che ha sempre appassionato i Radicali e la sinistra estrema. E qualcuno crede davvero che Forza Italia, con l’impresentabile Silvio Berlusconi, possa incarnare i valori del manifesto di Ventotene e di Jean Monnet?

L’unico argomento che un fronte europeista – tutto da costruire – può usare contro Salvini e, forse, contro i Cinque Stelle è che le loro politiche rischiano di condannare l’Italia all’irrilevanza in Europa e nel mondo. Ma questo fronte, nell’attesa di trovare il proprio campione, deve elaborare un messaggio convincente, trovare ragioni condivisibili da offrire a elettori rancorosi e spaventati (talvolta giustamente).

Pensare di imporre le idee – anche le più nobili – agitando la minaccia dello spread, dell’irritazione degli hedge fund, e delle ritorsioni di Bruxelles è la garanzia per assicurare la vittoria ai sovranisti. La Brexit lo ha dimostrato.

dal web




 
 
 

Crisi di sistema

Post n°1028 pubblicato il 28 Maggio 2018 da rbx1dgl




  
 
 

  



 
 
 
 La crisi del sistema ItaliaIl


Il Parlamento è stato svuotato da anni, 
il governo è assente, la presidenza della Repubblica è coinvolta nell’impasse. 
Lo stallo politico è diventato istituzionale. E può avere effetti gravissimi

di Marco Damilano

07 maggio 2018


Una crisi che si trascina da due mesi. L’impossibilità di trovare una maggioranza. La prospettiva concreta che dopo questo passaggio elettorale ne arriverà a breve un altro, ancora più traumatico, come ipotizzò L’Espresso con la sua copertina di undici mesi fa: il gioco del Voto e Ri-Voto con una legge elettorale che non avrebbe consegnato vincitori e avrebbe riportato subito alle urne. In più, il coinvolgimento di tutte le istituzioni, compresa la più alta, la presidenza della Repubblica.

Per sessanta giorni abbiamo pensato che in queste settimane fosse decisivo provare a formare un governo, trovare il nome di un presidente del Consiglio, comporre una maggioranza parlamentare, ma ora appare evidente che la lunga crisi che stiamo vivendo non è come tante altre, non si chiuderà semplicemente con la nascita di un ministero balneare, come avveniva nella Prima Repubblica. Quella attuale non è una crisi di governo, ma qualcosa di ben più allarmante: una crisi di sistema. La messa a rischio di tutte le istituzioni previste dalla Costituzione entrata in vigore settant’anni fa. Il pericolo concreto della caduta, del crollo, del crack finale, che porta con sé i settori economici e produttivi che più hanno bisogno di istituzioni funzionanti per competere. La conclusione di un processo che non è cominciato con le elezioni del 4 marzo, come scrive Massimo Cacciari sull'Espresso in edicola, e neppure con il fallito referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, come pensa il revenant Matteo Renzi, in un intervento che ha avuto il merito di portare la crisi alla dimensione giusta, non solo politica ma istituzionale, e la colpa di essere legato interamente alla parabola di un’esperienza politica (la sua, quella di Renzi), con l’effetto di devastare quel che rimaneva del Pd.

La crisi del sistema Italia


Ma lo stallo attuale non si risolve soltanto con la richiesta di nuove riforme: l’ultima modifica della Costituzione è stata sonoramente respinta dal voto degli italiani, l’ultima riforma elettorale, il Rosatellum, approvata a colpi di voti di fiducia parlamentari, è la causa prossima di questo disastro. E la crisi di sistema non comincia né il 4 marzo 2018 né il 4 dicembre 2016.

Di crisi di sistema aveva parlato il segretario del Partito socialista Bettino Craxi in un famoso editoriale sul quotidiano del partito Avanti!: «Piuttosto che inseguire le polemiche quotidiane che si aggirano in ambiti sempre più ristretti, converrà forse allargare lo sguardo allo stato di salute della nostra democrazia... Si apre il varco verso una fase più oscura della crisi politica e della crisi di sistema, il fossato della sfiducia che separa ed allontana i cittadini dalle istituzioni si allargherà ancor più e pericolosamente... Quando tutto si riduce alla alchimia delle formule, alla manovra attorno alle combinazioni, alla lotta per un potere in gran parte corroso, paralizzato o male utilizzato, siamo ad un passo dal cretinismo parlamentare e due passi dalla crisi delle istituzioni». Era il 28 settembre 1979 e quell’articolo si intitolava “Ottava legislatura”. Era l’intervento con cui Craxi aveva lanciato la Grande Riforma istituzionale: «Una legislatura già nata sotto cattivi auspici vivrà con successo se diventerà la legislatura di una grande Riforma che abbracci l’ambito istituzionale, amministrativo, economico-sociale e morale».

 

Il nostro Paese è arrivato all'ultimo atto di una catastrofe istituzionale che matura da anni. E sarebbe troppo facile prendersela solo con i "nani" che occupano la scena oggiOggi di legislature ne sono passate dieci, siamo alla diciottesima, e i passi per affondare nella crisi sono stati ampiamente compiuti. Nulla è stato fatto, neppure dal segretario socialista: nel decennio successivo divenne il leader che più aveva da guadagnare dalla paralisi del sistema, coltivando la sua rendita di posizione, la rocca di Ghino di Tacco del dieci o del quattordici per cento del suo Psi da cui tutti dovevano passare. Ma la crisi era cominciata ancor prima, nel cuore degli anni Settanta, resa irreversibile dal fallimento del progetto di Aldo Moro e dall’eliminazione violenta del suo protagonista. «Ogni volta che c’è una difficoltà politica obiettiva, sembra sbucare lo strumento elettorale che dovrebbe permettere di superarla. Ma senza negare che in qualche caso (v. Francia) un sistema elettorale possa consentire di raggiungere certi obiettivi, in generale si può dire che si tratta di false soluzioni di reali problemi politici e che è opportuno non farsi mai delle illusioni. Non si accomodano con strumenti artificiosi situazioni obiettivamente contorte». Lo aveva scritto con stupefacente lucidità, date le sue condizioni, il prigioniero delle Brigate rosse nel suo memoriale stilato nei 55 giorni della sua prigionia.

«In verità c’è stata in Italia una serie di momenti caratterizzati dalla valorizzazione di una riforma strutturale. Altrove ho ricordato il favore di taluno per il maggioritario e l’uninominalismo. C’è stata l’epoca della repubblica presidenziale, come forma di massimo ed efficace accentramento dell’esecutivo. Ma che dire ora che questi metodi si mostrano di dubbia validità nei paesi di loro origine? A che è valso il presidenzialismo di Nixon? E quello, che pareva trionfare, dello stesso Carter? A che è servito davvero il sistema maggioritario a Giscard, Callaghan e in un certo senso Schmidt? Mi pare che la prefigurazione del domani, più che in ragione di nuove istituzioni perlomeno ancora non inventate, debba consistere, ovviamente nell’attesa che esse vengano alla luce, nella preparazione migliore degli uomini nei partiti e nella vita sociale ed in una più accurata soluzione».

Una «più accurata soluzione» non è mai arrivata. Si è continuato a provare ad accordare con «strumenti artificiosi situazioni obiettivamente contorte». E ora, a quarant’anni dall’omicidio di Moro il 9 maggio, la crisi del sistema si è attorcigliata in modo letale. In questi anni la prima istituzione a venire meno, non solo in Italia, è stata il Parlamento. La frase di Craxi sul cretinismo parlamentare fu interpretata all’epoca come un segno di autoritarismo, ma i decenni successivi hanno trasformato quella previsione in un affettuoso buffetto. Il Parlamento è stato svuotato di ogni potere e contenuto, a colpi di voti di fiducia e di maxi-emendamenti, nella costruzione di una classe parlamentare sempre più mediocre e priva di autorevolezza, fino ad arrivare all’ultima legislatura, quella 2013-2018, con tutti i principali leader (Matteo Renzi, Matteo Salvini, Beppe Grillo, Silvio Berlusconi) extra-parlamentari, nessuno di loro era deputato o senatore.

La centralità del Parlamento è stata sostituita dalla centralità dell’esecutivo e della personalità del premier, un processo non solo italiano. Ma oggi il governo non c’è, o meglio c’è il governo guidato da Paolo Gentiloni, invisibile agli occhi ma presente e in testa nei sondaggi di gradimento, e c’è un governo che il Quirinale sta cercando a fatica di mettere in piedi. Tutto fa immaginare che il prossimo governo e i futuri presidenti del Consiglio saranno politicamente molto più deboli dei loro predecessori, saranno costretti a trovarsi di volta in volta i voti in Parlamento necessari per governare. L’esecutivo diventa così materialmente imprescindibile, perché un Paese democratico, moderno, occidentale, non può restare neppure un istante senza governo (come dimostrano i meccanismi immediati di trasmissione del potere nei sistemi presidenziali in caso di impedimento del vertice), ma politicamente è evanescente, e in questo paradosso c’è l’ipotesi di scuola che Gentiloni possa scavallare da una legislatura all’altra.

In mezzo al marasma, è rimasta in piedi una sola istituzione, la presidenza della Repubblica. Il motore di riserva, chiamato ad accendersi quando l’aereo sta precipitando: così è successo per Oscar Luigi Scalfaro nel 1992-93 e per Giorgio Napolitano nel 2011, quando chiamò il professor Mario Monti a Palazzo Chigi, e nel 2013, quando la sua rielezione sbloccò una crisi che appariva insolubile. Sergio Mattarella è più sfortunato dei suoi predecessori. Non ha potuto contare finora neppure su un residuo di senso di responsabilità dei partiti e dei loro leader nevrotici, narcisisti, egocentrici, convinti di essere l’alfa e l’omega di ogni svolta politica. E così l’inquilino del Quirinale è stato rispettoso fino allo scrupolo della volontà degli elettori espressa il 4 marzo e dei tempi di scelta dei partiti, attento a non interferire nelle loro decisioni, ma anche a garantire al Paese un governo nella pienezza dei suoi poteri, eppure rischia di essere trascinato suo malgrado nella crisi del sistema e nell’incapacità di ritrovare un principio d’ordine istituzionale, nell’assenza della politica.

Nella crisi di sistema viene meno il partito che più di ogni altro lo ha incarnato, il Pd, così come nel 1993, al passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica, venne giù il partito-architrave del cinquantennio precedente, la Dc. Perché in un partito del 30 o del 40 per cento possono, anzi, sono costrette a convivere personalità diverse e differenti strategie, ma in un partito elettoralmente così ristretto non sono più conciliabili. Nel 1995 gli ex democristiani si spaccarono tra i popolari, che andarono con il centrosinistra, i Ds e l’Ulivo di Romano Prodi, tra loro c’erano anche Mattarella e Dario Franceschini, e il Cdu di Rocco Buttiglione, che andò con il centrodestra, Berlusconi e la Lega. Così potrebbe succedere che il Pd attuale si spacchi tra il centro-destra a trazione leghista, Salvini e Giorgetti, e il Movimento 5 Stelle, verso il prossimo turno elettorale.

In una situazione, però, molto diversa dal passato. Della crisi di sistema fa parte, a pieno titolo, lo stato di dissoluzione in cui si trovano i partiti, i sindacati, i corpi intermedi che sono il nemico comune di Renzi, Di Maio e Salvini. Il primo maggio si è svolto senza sindacati, o quasi. Nei partiti la lotta politica tra capi-corrente è stata sostituita da quella tra i capi-hashtag, che snocciolano i numeri dei loro followers come un tempo si mettevano sul tavolo i pacchetti di tessere, anche in questo caso non mancano le anime morte, gli iscritti fantasma, sia pure virtuali. Tra i capi e la società non c’è più nulla, solo un pugno di seguaci nella rete dediti a insultare, criminalizzare, espellere i compagni di partito. I #senzadime che non capiscono perché molti elettori facciano #senzadiloro: cinque milioni di voti persi dal Pd tra il 2014 e il 2018, M5S che in Friuli in meno di due mesi passa da 169mila a 29mila elettori come voti di lista. E nella crisi istituzionale si rischia che a sostituire i partiti e i vecchi canali di mediazione restino i media, la tentazione di opinionisti e giornalisti non a orientare l’opinione pubblica, ma a sostituirsi a leader e partiti, nel vuoto.

Da una crisi di governo si può uscire con qualche mossa e rinuncia dettata da saggezza, per risolvere una crisi di sistema che va avanti da decenni serve un supplemento di fantasia, immaginazione, determinazione politica. Tutte virtù di cui il presidente della Repubblica è dotato in buona misura. Se c’è la buona volontà degli altri, s’intende. Altrimenti, qualsiasi sia la soluzione di breve periodo per la crisi di governo, la crisi di sistema è destinata ad aggravarsi sempre di più.


dal web

 

 
 
 

Sacchetti bio, tre su quattro sono irregolari.

Post n°1027 pubblicato il 05 Maggio 2018 da rbx1dgl

Sacchetti bio, nei mercati tre su quattro sono irregolari: "Zero controlli"

Sacchetti bio, nei mercati tre su quattro sono irregolari: "Zero controlli"

Il Codacons ha realizzato una approfondita indagine nelle principali città italiane, veSacchetti bio, nei mercati tre su quattro sono irregolari: "Zero controlli"

Quasi 3 sacchetti su 4 utilizzati da banchi di mercato e frutterie per imbustare frutta e verdura risultano fuorilegge. Lo denuncia il Codacons, che ha realizzato una approfondita indagine nelle principali città italiane, verificando la tipologia di shopper forniti al di fuori dei supermercati.

3 sacchetti su 4 fuorilegge

La ricerca – spiega l’associazione – è stata condotta in 15 città italiane (Roma, Milano, Torino, Genova, Firenze, Bologna, Napoli, Catania, Bari, Senigallia, L'Aquila, Cagliari, Reggio Emilia, Padova e Trieste) analizzando i sacchetti della spesa utilizzati da 300 banchi di mercato e 100 frutterie su strada. Da tale indagine è emerso come la percentuale più alta di irregolarità si riscontri presso i mercati locali, con il 72,1% dei banchi che utilizza sacchetti di plastica non biodegradabile e quindi non in regola con la normativa vigente entrata in vigore lo scorso 1 gennaio. Presso le frutterie la percentuale di irregolarità scende al 67%.

Vi sono poi gli shopper “fallaci”, quelli cioè spacciati per compostabile ma in realtà di plastica comune, riscontrati nell’11,8% dei banchi esaminati e nel 13,5% delle frutterie.Indicando la tipologia di shopper forniti al di fuori dei supermercati.

i bio, nei mercati tre su quattro sono irregolari: "Zero controlli"

Al mercato solo il 16% regolare

Sui banchi dei mercati solo il 16,1% dei sacchetti è risultato regolare, cioè compostabile (biodegradabile in 3 mesi e trasformabile in fertilizzante compost), contro il 19,5% di regolarità delle frutterie.

"Mancano i controlli"

“Il vero problema è la mancanza di controlli sul territorio – afferma il presidente Codacons, Carlo Rienzi – Prima si introduce una legge che rivoluziona la spesa, ma poi non si effettuano le dovute verifiche per accertare che tutti si adeguino alle nuove disposizioni. Una situazione che determina danni sia sul fronte ambientale che su quello tributario, considerato che i sacchetti irregolari spesso sono venduti in “nero”. Scarsa anche l’informazione resa agli utenti sul tema, al punto che il 73% dei cittadini non saprebbe riconoscere uno shopper non a norma e il 34% che dichiara di non essere a conoscenza delle novità introdotte lo scorso 1 gennaio” – conclude Rienzi.



 

 

 

dal web

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Buon 1 maggio!!!!

Post n°1026 pubblicato il 01 Maggio 2018 da rbx1dgl
 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963