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Eduardo, centodieci anni dalla nascita

Post n°289 pubblicato il 24 Maggio 2010 da arieleO
 

Si compiono oggi centodieci anni dalla nascita di Eduardo De Filippo. E giustamente il sindaco, Rosa Iervolino Russo, ha osservato che «il suo ricordo rimane più che mai vivo e radicato nel cuore della città di Napoli e nella sua cultura». Ma occorre chiedersi a che cosa, soprattutto e in concreto, si leghi quel ricordo: voglio dire al di là della frequenza con cui i testi di Eduardo continuano ad essere portati in scena e del persistente successo che senza flessioni ancora riscuotono presso il pubblico.
   Penso a quel che mi sussurrò Valeria Moriconi, che con Eduardo aveva cominciato, a bordo di una delle cento gondole che alla luce delle fiaccole discesero il veneziano Canal Grande la sera del 3 ottobre dell'85, dopo che al Goldoni, a un anno dalla morte del grande autore e attore, era stata data dalla compagnia marionettistica dei Colla «La tempesta» da lui tradotta in napoletano. Mi sussurrò Valeria: «Adesso sappiamo che è veramente morto, ma sappiamo pure che vivrà di una vita più autentica dentro di noi».
   Valeria Moriconi si riferiva, evidentemente, all'autenticità che la lezione del drammaturgo Eduardo De Filippo può innescare, per l'appunto, anche sul piano della vita, quella morale prima e quella sociale poi. E tanto a partire dal rigore e dalla severità.
   Ricordo, nel merito, una «procedura» che non molti conoscono. Quando uno degli attori che erano in scena con lui commetteva un errore per distrazione o pigrizia, Eduardo immediatamente si bloccava, e pronunciava, come se niente fosse, la frase: «È muorto Oreste». Ovviamente, la pronunciava in maniera tale che il pubblico in sala la prendesse per una battuta del testo. Ma si trattava di un preciso segnale indirizzato a chi aveva commesso l'errore, e significava: tu hai fatto lo sbaglio e tu devi trovare il modo di correggerlo, altrimenti non si va avanti. E infatti, da quel momento Eduardo restava completamente immobile, in qualunque punto della scena si trovasse, finché il colpevole non aveva ristabilito il corretto andamento della recita.
   Per questo giova sottolineare, come ha fatto il sindaco, «l'attenzione verso i minori a rischio di devianza e la volontà fortissima di offrire loro un'opportunità di riscatto» manifestate da Eduardo. Durante la visita che fece ai ragazzi del carcere «Filangieri», la sua prima uscita pubblica dopo la nomina a senatore a vita, disse loro: «Dovete contare solo su voi stessi, non dovete aspettarvi l'aiuto di nessuno. Non dico qua dentro, ma quando sarete fuori. Dovrete cavarvela da soli. E per riuscirci dovrete avere buona volontà. Se io non avessi avuto la buona volontà, non sarei diventato senatore. Questa carica, adesso, la metto a vostra disposizione».
   Già. La carica di senatore a vita, ossia la forma, l'ufficialità, Eduardo la rinvigoriva - conferendole il suo esatto valore - con l'«abbassarla» al livello dei bisogni della gente, e in particolare degli umili e degli «esclusi». Sergio Bruni, «la sua voce», mi disse una volta che Eduardo non aveva fatto altro che tenere sempre sotto osservazione la vita, spiandola dal buco della serratura. Io aggiungo che più di una volta spinse la porta con un calcio, e irruppe nella vastissima stanza del mondo per denunciare ogni convenzione e falso moralismo.

                                              Enrico Fiore

(«Il Mattino», 24 maggio 2010)

 
 
 
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