CONTROSCENA

Un Pirandello che sembra Petito


Virginio Liberti - regista dell'allestimento di «Questa sera si recita a soggetto» che lo Stabile di Torino presenta al Mercadante - nelle sue note mescola, con assoluta disinvoltura, l'inspiegabile e l'ovvio più eclatanti: per esempio, parla della «tendenza dei teatranti italiani a non frequentare le pagine di Luigi Pirandello» (mentre, come sappiamo, nei cartelloni nostrani il Girgentino letteralmente imperversa), afferma che «Questa sera si recita a soggetto» è una «riflessione sul teatro» (del che nessuno s'era mai accorto) e aggiunge che Pirandello «riconosce» in Verdi «una capacità di innovazione non offuscata dalla grande popolarità» (ciò che attribuisce al drammaturgo siciliano la fondamentale scoperta dell'acqua calda).   Ma ben altre considerazioni si possono e debbono fare a proposito di «Questa sera si recita a soggetto». Dopo «Sei personaggi in cerca d'autore» e «Ciascuno a suo modo», è il momento riepilogativo della trilogia del «teatro nel teatro». E dunque vi si accampano con particolare risalto lo scambio e lo scontro continui fra la realtà e la finzione, tra la forma (sotto specie del testo teatrale in sé) e la vita (sotto specie della messinscena). E la vita, sempre, s'incarica di contraddire e, alla fine, di distruggere quella forma. È perciò che il cuore abbandona Mommina mentre sta cantando per le sue due bambine «Tacea la notte placida» dal «Trovatore»: mentre, cioè, sta rifugiandosi, contro l'imprevedibilità della vita, nella forma codificata per antonomasia, giusto il melodramma.   Quindi, la vestizione di Mommina da parte delle sue tre sorelle è, in effetti, il tragico e perenne rituale inscenato dalle Parche. Ma nello spettacolo di Liberti Mommina non muore mentre canta il «Trovatore». Muore, davanti a due bambine ridotte a sagome di cartone, dopo che il marito, Rico Verri, l'ha violentata da tergo. Roba da Grand-Guignol. E per il resto Liberti - ulteriormente sconfessando le proprie alate ancorché scontate note di regia - pigia con ferrea decisione il pedale di una comicità dichiarata, attraverso l'aggiunta al testo originale (abbondantemente tagliato) di una congrua dose di gag e tirate sulla routine del teatro.   Paradossalmente, d'altronde, è appunto su questo piano che lo spettacolo si esalta, diventando perlomeno divertente. E in ciò ha un peso notevole la bravura degl'interpreti: fra i quali occorre citare soprattutto Michele Di Mauro (Rico Verri), Riccardo Lombardo (Sampognetta), Gisella Bein (la signora Ignazia) e Tatiana Lepore (Mommina). Ma, in conclusione, mi viene da pensare che Liberti non aveva bisogno di scomodare Pirandello. Poteva mettere in scena la «Francesca da Rimini» di Antonio Petito, che è - portata a termine nei confronti di Silvio Pellico - esattamente la sua stessa operazione.                                                      Enrico Fiore(«Il Mattino», 8 aprile 2011)