CONTROSCENA

Un'eroina fra Mazzini e l'hashish


A proposito di questo spettacolo - «La belle joyeuse», in scena al Nuovo - bisogna parlare soprattutto di fedeltà: quella dell'autore e regista, Gianfranco Fiore, a certi temi e a certe modalità di allestimento; e quella dell'interprete, Anna Bonaiuto, all'autore in parola e alle caratteristiche precipue dei suoi personaggi.   Qui c'imbattiamo in Cristina Trivulzio, quella principessa di Belgioioso che fu uno dei personaggi femminili più complessi e controversi del Risorgimento. Era egocentrica, autoritaria, stravagante, dedita all'hashish. E tuttavia - pur minata nel fisico prima dall'epilessia, poi dalla sifilide e dall'idropisia - costruì orfanotrofi, aderì alla Giovine Italia, finanziò la spedizione in Savoia, soccorse i profughi in Svizzera, lottò per l'indipendenza italiana organizzando a sue spese una compagnia di volontari che combatté in Lombardia, aprì a Parigi un salotto frequentato fra gli altri da Hugo, Heine, de Musset, Rossini, Chopin e dallo stesso Cavour, scrisse dissertazioni filosofiche su ponderosi argomenti (vedi l'«Essai sur la formation du dogme catholique» e l'«Essai sur Vico»), fondò battaglieri giornali, denunciò l'emarginazione delle donne e, per chiudere l'elenco con un ultimo esempio, diresse personalmente l'assistenza ai feriti durante l'assedio di Roma del 1849.   Un'attrice, insomma: per i tanti ruoli che si accollò e per le altrettante «maschere» che di conseguenza dovette indossare. E viene subito in mente il personaggio protagonista de «La notte di Beate», un altro monologo di Fiore tratto da una novella di Schnitzler e interpretato, nel '99, sempre dalla Bonaiuto. Era la vedova di un celebre attore, nel ricordo del quale pronunciava la battuta: «Non eri tu...! Erano gli eroi che tu interpretavi, quelli che io avevo amato!... Ogni notte uno diverso!... Non era te che baciavo!... era Amleto, era Cirano, era Re Riccardo!...».   Gianfranco Fiore potrebbe farla propria, quella battuta, e rivolgerla pari pari a Cristina Trivulzio. Così come, nell'inquadrare quest'ultima, adotta - stando, almeno, alle intenzioni che dichiara - lo stesso atteggiamento che secondo Giuseppe Farese, il suo maggiore biografo italiano, adottò Schnitzler nei confronti di Beate: «un tipo d'indagine realistico-esistenziale che rappresenti la condizione di alienante solitudine dell'individuo nella vita moderna».   Certo, è apprezzabile la prova di Anna Bonaiuto, inguainata come Beate in un lungo abito nero: una prova tramata d'ironia straniante per virtù dell'attrice e corredata, in virtù delle prevedibili scelte del Fiore regista, di un fondale che sale e scende, di un classico baule da tournée e persino di un teschio, per l'appunto molto amletico. Ma, come si sarà capito, l'insieme suscita l'impressione di qualcosa di già visto. E non mi riferisco, naturalmente, solo al fatto che la Bonaiuto ha interpretato il personaggio di Cristina Trivulzio anche nel film di Martone «Noi credevamo».                                           Enrico Fiore(«Il Mattino», 24 novembre 2011)